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Paolo Valera La folla IntraText CT - Lettura del testo |
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— E non te ne meravigli? — Che tu sia stato a Caravaggio coi tuoi del Casone? Io che ti spingo a essere più ambientista che filosofo, mi meraviglierei del contrario. Ci sono stato io stesso l'anno scorso, nel giorno dell'apparizione, con mia madre, la quale, come tu sai, è bigotta quanto una poveretta del Casone. Vi sarei andato volentieri una seconda volta. Dovevi farmelo sapere. C'è sempre da imparare in mezzo a una moltitudine che si riversa con tutte le sue malattie in una chiesa per genuflettersi e aspettare la grazia da una Madonna che continua a guarire da più di tre secoli. — Guarire! — È la fama che lo dice. Io non credo neanche dopo che certi miracoli si sono compiuti sotto i miei occhi. Uno di essi, per quello che mi è stato detto, è un miracolo di tutti gli anni e te lo racconto. Mia madre era in chiesa e io ero di fuori che davo una occhiata alla struttura del santuario composto di due fabbricati uniti da una cupola. Pensavo all'idea strana dell'architetto che lo aveva edificato di fianco invece che di facciata. Non appena gli si è girato intorno si sente il bisogno di voltargli la fronte verso il grandioso viale lungo due chilometri e ombreggiato da quattro filari di maestosi ippocastani, da dove vengono tutti i pellegrini. Vidi due contadini che venivano alla volta della chiesa con una paesanotta che tenevano in piedi per le ascelle. Dietro loro era una coda di uomini e donne malvestiti e mal pettinati che salmodiavano. La ragazzotta, la quale di tanto in tanto tentava di fermarsi, poteva avere diciotto o diciannove anni. Era tutta assieme un tronco vigoroso di donna che avrebbe potuto sbarazzarsi degli individui che la tenevano con un semplice spintone. Puntando le gambe si vedeva il donnone dalle cosce enormi, dai fianchi enormi, dalle braccia enormi. Il suo viso era il ritratto della salute. Pienotto, rotondo, colorito. I suoi occhioni lucenti si rovesciavano come sotto l'azione di un dolore spasmodico, le sue trecce voluminose, attorcigliate l'una sull'altra e trapassate dalle spadine della nubile, davano alla sua testa un non so che di superbo. Giunta ai gradini del tempio la ragazza incominciò a impuntarsi con delle grida che passavano per le orecchie come saettate. La folla le fece largo e s'inginocchiò a invocare la grazia dello Spirito Santo col Veni creator spiritus. La ragazza pareva invasa dagli spiriti. Col cavo dei piedi puntato sui gradini e il corpo rovesciato indietro sugli uomini, si sbraccava, digrignando i denti con le palpebre calate, tutta rossa dalla colluttazione. Uno degli uomini tentò di chiudersela in un braccio e di levarla di peso con l'altro. Ma la contadina divenne furiosa. Si morsicava i pugni e si dibatteva con tanta forza che si dovettero chiamare due altri uomini. L'energumena sembrava assolutamente incosciente. Tutti i suoi atti erano della indemoniata che si sarebbe buttata in una voragine di fuoco. Vociava, si strappava la veste del busto come se avesse avuto qualcosa nel seno che le bruciasse e, nell'impotenza di liberarsene, sgolava parole incomprensibili. Giunti gli altri due le staccarono le gambe e la presero per le braccia, mentre gli altri la sollevarono avviandosi verso l'entrata. Le donne che seguivano la spiritata si battevano il petto come contrite e preparate alla morte. Qua e là si udivano le litanie con l'ora pro nobis della massa calcata per il portico come un turbamento collettivo. Alla porta la paesanotta ritentò di sciogliersi dalle mani che la tenevano adimando i fianchi ed elevando sulla moltitudine il seno scoperto, il quale mostrava, a quelli giù dai gradini, i due piccioli rossi piantati nella carne bianca. Nello sforzo supremo urlava e indemoniava. Ci fu un momento in cui gli uomini parvero lì per piegare sotto il divincolamento della ragazza che pareva proprio invasa dagli spiriti. Io non credevo, ma non avevo mai visto una scena religiosa di quel genere. Gli uomini si curvarono sulle ginocchia, ritraendosi di un passo per farle passare la testa dal vano dell'entrata e impedirle di farsi male. In chiesa le strida della poveretta che si dimenava e infuriava andavano a rompersi sulle muraglie come schiaffi sonori che rimbalzavano e si perdevano nelle orecchie come onde di oscillazioni frenetiche. Il predicatore dovette smettere e rimanere sul pergamo in un atteggiamento di vittima, con la destra sul braccio sinistro e con la guancia appoggiata alla mano in alto. Durante i contorcimenti l'uditorio, seduto e in ginocchio al centro della navata longitudinale, si alzò tumultuosamente, pigiandosi gli uni sugli altri per avvicinarsi alla disgraziata in lotta col demonio. Da tutte le parti l'attenzione era volta verso il corpo della maleficata che sovente scompariva dalla superficie e sovente risorgeva agitando la testa scarmigliata come una demente. Fu così fino ai gradini che dividono una navata dall'altra. Discendendo la scala a curva che conduce alla cappella sotto l'altare maggiore, dove è una madre di Dio di sasso, con la faccia e le mani di sasso, la quale rappresenta l'apparizione della Madonna dinanzi una certa Gioannetta, di trentadue anni, la quale stava falciando l'erba in un campo incolto chiamato Mazzolengo, l'invasata era riuscita a sciogliersi le mani dai lacci e a buttarsi sulle teste degli uomini che l'avevano ancora per le gambe come una tempesta. Percuoteva e graffiava alla cieca, acciuffando or l'uno, or l'altro per i capelli, tirandosi sui fianchi più di una volta per buttarsi indietro la capigliatura fitta che le andava sugli occhi. I pellegrini avevano sospese le litanie e si tenevano il fiato. Rimanevano lì trasecolati a vedere la potenza dello spirito infernale in una donna dalle forme così poderose. Giunsero due altri uomini che le riafferrarono le mani e la forsennata fu ridotta a una immobilità relativa. La calca non mi ha permesso di discendere. Ma ho potuto rimanere alla balaustrata con tanti altri. Ho guardato giù senza saper distinguere dove e che cosa abbia baciato. So che ha baciato lungamente, affettuosamente, emettendo un sospiro che ha fatto pronunciare alla moltitudine, tra la cappella e la rotonda di ferro a scacchi delle elemosine, la parola che tutti aspettavano: "miracolo! miracolo! miracolo!" Il miracolo era compiuto. La donnona si staccò ammansata, sfinita, come se avesse subita un'abbondante cavata di sangue. Il suo corpo, mezzo nudo dagli strappi della lotta, cadeva su se stesso spossato. Le fiamme che le avevano incendiata la carne del viso, del collo e delle spalle si spegnevano in una pallidezza mortale. La forza malefica se n'era andata. Essa era vinta, prostrata. Riavuti i sensi, si sentì impudica. Con le braccia nude si coperse il seno nudo e scoppiò in pianto dirotto. Le moltitudini si inginocchiarono con la fronte supplice, e un momento dopo tutte le bocche si abbandonarono alle litanie mettendo nella voce il gaudio del loro cuore. "Sancta Maria". "Ora pro nobis". Tu vuoi delle spiegazioni. Io non ti posso dare che delle supposizioni. Perché nella chiesa di Caravaggio, in un ambiente che predispone alla fede del miracolo e mette sotto l'impero di una visione che non si dissipa che all'aria aperta, dove ho veduto un altro spiritato cacciato innanzi da una ventina di persone, è molto difficile avere la mente chiara. Le mie supposizioni sono che una ragazza di campagna non poteva spingere la commedia fino al punto da sopraffare il senso della conservazione della vita con un parossismo religioso che la martirizzava. Durante le sue smanie epilettiche i suoi atti erano troppo sinceri per pensare a una rappresentazione che avesse avuta la sua prova generale in una sagristia. Non c'è dunque che la suggestione o l'autosuggestione che può avere lavorato il cervello di una ragazza probabilmente isterica, probabilmente disposta alla esaltazione. Provati a dire a una di queste idiote: "tu sei stregata!" E ti potrà capitare di pentirtene. A poco a poco l'idea di essere stregata le si arroventa al fuoco dei pregiudizii e dell'ignoranza e diventa, nella sua immaginazione, il nodetto grigio della sua anima dannata. Non sta più tranquilla. I suoi sonni passano tra un incubo e l'altro. Ella sente la mano infernale che tira la coltre del suo letto. Vede il diavolo dalle ali nere che le danza intorno con risate diaboliche. Ode il sogghigno degli spiriti che l'hanno invasa e s'alza con le palpebre enfiate e con gli occhi pieni di vibrazioni che riproducono il tormento della sua follia. Sogna di giorno. Vede l'ombra dello spirito malvagio dappertutto. Ne sente il fruscio dei piedi. Cade il suo canestro ed è stato lo spirito che lo ha buttato in terra. Qualcuno bussa o tocca la parete. Ed ella è sicura che è lo spirito diabolico che si è messo di dietro per spaventarla. Il medico non capisce nulla. Non vede il dramma religioso che si svolge nella piccola scatola della cretina. E dopo qualche suggerimento l'abbandona. Il prete prende il suo posto. Egli crede, egli deve credere all'esistenza degli spiriti. La ragazza diventa per lui un caso di patologia religiosa rara. E la cura con gli esorcismi, con l'acqua benedetta, con i trisagi, con le ostie sante, con i rosarii, con le novene e finisce col santuario. Perduta la fiducia negli aiuti umani tu non hai più che la morte volontaria o il Cristo della croce. Pochi hanno il coraggio di morire, molti hanno la viltà di prosternarsi ai santi sconosciuti a implorare miracoli che nessuno, ohimè! è in grado di compiere. — Anche a me hanno fatto una grande impressione gli indiavolati che non si lasciavano trascinare in chiesa che violentati o portati a viva forza. Confesso che non ho capito se fossi alla presenza di allucinati o di fanatici o di attori che spingessero l'amore per l'arte senza artificio fino alla demenza. Certo è che il loro furore non poteva essere più vero. Il terrore per la casa di Dio veniva manifestato con tutti gli eccessi degli accessi epilettici. Era la follia in azione. Ho veduto un giovanotto spalluto, con una volta cranica a punta e le arcate dentali che si scoprivano come una ghignata che metteva freddo, impazzire in un arrabattamento che traduceva il disordine mentale in eruzione. Con uno sforzo erculeo riuscì a sbattere i suoi carcerieri sulla muraglia e a cadere lui stesso, senza alcun tentativo di salvarsi la faccia tutta sottosopra. Ripreso con la fronte insanguinata non diede alcun segno di accorgersi della ferita e continuò più che mai la scena del delirio fino al bacio sui piedi del Cristo. L'impressione maggiore è pure nell'ambiente esterno. Mi pare di essere passato attraverso scene medioevali. Non ne avevo idea. Sullo stradone da Treviglio a Caravaggio, per una lunghezza di cinque chilometri, non ho trovato che carrettoni affollati di villani che andavano al santuario cantando come tanti ubbriachi. Mi riproducevano i coscritti che ritornano al paese bevuti col numero di leva nel cappello. Alcuni avevano la giacca appesa alla spalla sinistra, parecchi la frasca e il fiore giallo o rosso nel bindello del copricapo e molti la paglia del virginia sull'orecchio. La loro canzone era monotona e stucchevole come la campagna a pianura che mi circondava. I carrettoni delle donne superavano quelli degli uomini. Le giovani erano sedute lungo due panche e le vecchie sulle scranne di lisca. Qualche volta il trabalzo mandava le une sulle altre, suscitando la risata collettiva. Le giovani si tenevano per il braccio e cantavano anch'esse, come gli uomini, una canzone lenta e malinconica che mi strascicava per le orecchie come la marcia funebre. Le vecchie filavano il lino sulla conocchia tenuta sotto l'ascella, torcendolo col fuso che abbandonavano nel vuoto con una spinta a girare su se stesso. La maggioranza delle prime aveva la testa scoperta, con la capigliatura unta di olio pettinata alla madonna, con le trecce al vertice, avvoltolate l'una rasente all'altra, le quali davano l'idea di un cocchiume di capelli. Nel rilievo delle trecce erano ficcate le spadine con la punta senza trafori, o gli spillettoni dalla capocchia quadrettata e dorata. La minoranza delle seconde l'aveva coperta da un piccolo cachemire dai colori vivaci che lasciava vedere un po' di nuca, come il fichu in testa alle signore. Le brianzuole maritate avevano nelle trecce un chilogrammo d'argento in tante spadine diffuse come un mezzo cerchio di sole. La caratteristica di alcune maritate era la fascetta a colori sorgente dalle vesti come una armatura di bacchette di balena a sorreggere il seno pieno di latte che tremolava e traboccava. Prima di arrivare sulla vasta piazza girata a nordest da un portico di mattoni che la fabbriceria avrebbe dovuto continuare fino a Caravaggio, si vedevano ai due lati dello stradone, i baracconi che vanno a tutte le fiere. Il baraccone degli animali feroci, il baraccone della donna mostro, della donna pesce, della donna cannone, della donna che cucisce coi piedi; il baraccone dei saltimbanchi spiantati, stracciati, affamati, i quali fanno un chiasso del diavolo per poi disilludere con quattro stracci di salti mortali e qualche sudiceria di un pagliaccio senza spirito. Verso la curva della piazza incominciavano le giostre, le altalene, i venditori di angurie, di pomi, di polvere bianca per i topi, di radice per guarire i denti. E continuando fuori del portico si incontravano i calzolai, i calderai, i sellai, i panierai ed i magnani con la loro fucina che arroventava i saldatori. Sotto i portici, tra le colonne, si trovavano tutti i girovaghi degli ambienti sacri. La carriuola di libercoli religiosi, la venditrice d'immagini, l'uomo con al collo centinaia di corone e con le mani piene di medaglie, il banco di refe, d'aghi, di spilli e di bottoni di camicia; la tavolata delle pezze di cotone, di lana, di flanella, di tele bombagine, di fazzoletti, di scialli, di veli e di bande rosse e azzurre per i fianchi paesani. Di zoccolai ce n'erano un po' di qua e di là, un po' sotto il portico e un po' all'aria aperta, documento irrefutabile che la popolazione dei paesi lombardi non ha ancora smesso la calzatura che stronca i piedi, indurisce i piedi e lascia camminare così maledettamente i piedi! Per il largo della piazza c'erano le rivelatrici dell'avvenire, le donne che dall'alto delle scranne invitano la gente a farsi predire il futuro. Erano donne tra i trenta e i quaranta, brutte, lercie, con gli occhi e la bocca della megera. La loro sfacciataggine era tale che mi faceva ridere. Per dieci centesimi preannunciavano gli avvenimenti più importanti della vita. Alcune traevano l'oroscopo guardando il palmo della mano, altre facendo il giuoco delle carte. Parlavano male. Strapazzavano l'italiano in un modo orribile. Adattavano le predizioni alle persone che andavano a interrogarle. Ti adocchiavano malandato di salute? Ti dicevano che nel passato la tua vita era stata tribolata, molto tribolata, ma che adesso si vedeva che qualcuno si era commosso delle tue sventure, che qualcuno vegliava su te. "Non passerà molto, o buona donna, che sarete guarita e fortunata. È in viaggio qualche cosa per voi che vi porterà fortuna. Abbiate fiducia, sperate". La mia indovina era una bionda che avrebbe potuto essere graziosa e fresca se la vitaccia grama e randagia del baraccone non gualcisse e avvizzisse a vapore. — C'è però della poesia nella vitaccia della gente che vive delle fiere, dei mercati, delle sagre e dei santuarii. La conosco perché ho amato per qualche settimana una saltatrice che passeggiava sulla fune cogli occhi bendati. Ho avuto parecchie opportunità di trovarmi con tutta la famiglia dei saltimbanchi. E ti posso dire che, malgrado la necessità di vestirsi e svestirsi gli uomini in faccia alle donne e le donne in faccia agli uomini, la moralità non poteva essere più alta. L'abitudine corregge tutto. Il corpo nudo in mezzo a loro non destava desideri. — Non volevo disonorarli. Volevo semplicemente dirti che mangiano e dormono tutti assieme, cani, gatti, uccelli, marmotte, bimbi, ragazzi, giovani e vecchi dei due sessi, in uno spazio di due metri quadrati a dir tanto. In una atmosfera carica di tutte le respirazioni, di tutte le trasudazioni e di tutti gli odori pestilenziali di una popolazione che non ha ritegni, bisogna invecchiare prima del tempo. Ne convieni? La mia indovina mi guardò negli occhi come per trarre alla superficie i miei pensieri intimi, palpeggiandomi la mano con la sua ruvida. "Giovine" mi dissella, seguendo con un dito le crene del palmo della mia sinistra. "Voi avete amato una donna dalla quale siete stato tradito, con grande amarezza del vostro cuore". Pronunciò le ultime parole con un lungo sospiro. "Giovine" riprese la veggente "voi avete sofferto immensamente, ma ora siete alla fine del vostro affanno. Vi toccherà aspettare ancora un poco. Ma vedo in fondo all'ultima venuzza la donna fedele della vostra vita. È bella, è ricca, vi darà molti figli e vivrete tanti anni assieme. "Ditemi qualcosa dei miei genitori". "Avete in tasca qualche cosa di loro?" Le diedi una lettera dicendole che era di mio padre e il mio fazzoletto bianco per quello di mia madre. Dopo un po' d'esitazione, si mise la lettera e il fazzoletto sotto gli occhi, li guardò attentamente e poco dopo disse senza impallidire: "Giovine, vostra madre è morta quando eravate piccino. Voi la rimpiangete sempre. Ma il padre che avete è un padre affezionato che vi vuole tanto bene: amatelo, perché lo merita". Ma tu non hai visto nulla se non hai assistito ai drammi delle chimere miracolose che si svolgono ai margini della Fontana benedetta, a pochi passi dall'altro fianco della chiesa, tra le così dette osterie all'aria aperta, dove il contadiname va a mangiare per due o tre soldi il risotto giallo come la buccia del limone, la minestra dura come la mota e i pezzacci di formaggio impolverati che hanno servito di pasto a legioni di mosche e di mosconi scappati dai letamai. Tu vi arrivi uscendo dal piazzale e voltando l'edificio del santuario. Ha più dell'abbeveratoio che della piscina. L'acqua inquadrata nel granito è poco profonda e vi scorre limpidissima. È una fontana sbucata spontaneamente dal suolo, subito dopo l'apparizione della Madonna, il 26 maggio 1432. La leggenda aggiunge che la sorgente dista una spanna o due dalle vestigia dei piedi della madre di Dio apparsa alla Gioannetta, la quale, come sai, subiva i maltrattamenti del marito con pazienza e rassegnazione. Nel momento dell'apparizione ella si trovava in ginocchio a pregarla di prestarle soccorso a caricarsi sulle spalle tutta l'erba falciata per il bestiame. "Oh! Madonna" si dice che supplicasse "da voi sola aspetta soccorso la povera vostra serva! Deh! non abbandonatela...". — So il resto. — Comparve la Madonna in persona. Era una signora alta, avvenente, dall'aspetto venerando, dal portamento maestoso. Indossava un abito ceruleo, con il capo cinto da un velo candido. "Oh Madonna santissima!" gridò la Gioannetta. "Sì" rispose la madre del Signore "sono proprio io. Le tue preghiere, per mia intercessione, sono state esaudite da mio figlio e ti sono già preparati i tesori del cielo". Poi la Madonna, circonfusa nell'aureola della gloria celeste, le ordinò di propalare la sua venuta in terra e di dire a tutti che l'iniquità del mondo aveva eccitato lo sdegno del cielo, ma che mercé sua l'ira divina era stata placata. I continui prodigi dell'acqua santa attirarono le moltitudini dei paesi circonvicini senza convincere gli increduli. Ci fu un tal Graziano che negava ogni virtù al sacro fonte. E per dispetto vi gettò un ramo secco, dicendo: "Fatemelo fiorire, o Madonna, se siete buona!". Immantinenti il ramo si rivestì di fronde verdeggianti e di fiori che diffusero tutt'intorno un profumo soavissimo. — Questa è storia. — Come l'ho letta nella descrizione del santuario. A me pare crudele che si permetta che i deficienti e gli infermi corrano dietro alla chimera del miracolo che li mantiene in una continua convulsione e dà loro una specie di allegrezza mistica ch'essi scambiano, sovente, per della grazia divina. Ammetto la libertà di uscire dal mondo a chi è stanco della vita, ma non ammetto, non posso ammettere che si spinga la menzogna fino a burlarsi di tutte queste turbe di insensati e di esasperati alla ricerca di una guarigione che non troveranno mai. — Che cosa vuoi che si faccia? — Si chiudano, si demoliscano, si distruggano, tutte queste botteghe della religione! È triste che ci siano santuarii che suscitino tante speranze e lascino poi gli illusi nella crisi della disperazione! Mi faceva pietà tutta quella povera gente che vedevo alla Fontana inumidire gli occhi cisposi, tuffare i piedi imbrattati di sudore e di palta, bagnare le piaghe purulente, immergere le gambe storte e i monconi delle braccia, spruzzare e strofinare il ventre e lo stomaco, addolorati o atrofizzati, inaffiare le croste della testa, lavare i tagli marciosi del collo e bere a sorsi l'acqua che riceveva il pus delle fistole, le gocce sanguigne delle parti malate, il sudiciume della pelle non avvezza al lavamento, come un elisir, come una bevanda che desse loro l'estasi della consolazione paradisiaca! Non pochi pellegrini, prima di sommergere la parte angustiata nella Fontana, rimanevano là, soffermati sulla pietra del margine, con le pupille fisse sulla superficie, quasi vi fosse riflessa l'immagine della Madonna, con le mani giunte vicino alle labbra, in un atteggiamento di persone più in cielo che in terra. Coloro che vaneggiavano slargavano le braccia penzoloni come se fossero stati stanchi del supplizio di aspettare la grazia. Il cieco del Casone, che non aveva mai aperto bocca, non appena sentì l'aria umida della Fontana sulla faccia divenne frenetico e loquace. Chiamava il Signore e la Madonna e sorrideva con gli occhi opachi in alto, aspettanti la mano divina che portasse via la cateratta e li inondasse di luce. — Hai veduto dei miracoli? — Nessuno! Ho veduto uno storpio che teneva la gamba nell'acqua sorridendo come un ebete e dicendo, a intervalli, che sentiva per il piede un fluido che gli dava piacere. Il poveraccio ha dovuto andarsene con la gruccia sotto l'ascella. La madre di un ragazzo che aveva perduto un occhio si curvava, si levava dalla Fontana con il cavo della mano pieno d'acqua, e lasciava cadere nell'occhio sgraziato, a goccia a goccia, il liquido, pregando a alta voce la Madonna di guarirle il suo Nicoletto. "Oh Madonna di Caravaggio, fatemi la grazia!". E questa impostura dura da secoli! Le generazioni si cambiano, le rivoluzioni scientifiche squarciano il velame dei misteri e le moltitudini continuano a farneticare dietro queste fole che alimentano la pazzia! — Perché la folla è al di fuori del mondo che progredisce. Essa è oggi quello che era cento anni sono. Sporca, ignorante, credente, pusillanime. Tu vorresti demolire i templi e seppellire la fede. Bisogna invece far entrare la folla nell'orbita della vita evoluzionaria. Essa deve modificarsi, correggersi, elevarsi, fortificarsi nelle scuole pubbliche come le altre classi progredite. Le masse della produzione sociale, le masse del lavoro devono diventare, come gli altri, dei cittadini. Nel Contratto sociale è detto che chi è cristiano non è cittadino. Chi è cristiano è schiavo di un Dio che gli sta alle carni come un cilicio, schiavo di una rassegnazione che gli fa idolatrare i tormenti di questa vita per i godimenti celestiali dell'altra! La grande rivoluzione francese che ha voluto essere iconoclasta, e rovesciare gli altari prima di avere i cittadini, è perita nel sangue ed ha veduto risorgere il Cristo, il gerente responsabile di tutte le menzogne religiose, circondato dall'evangelio, circondato dai santi, circondato dalle vergini, circondato dagli eserciti che si abbandonano alla devozione, agli entusiasmi, all'adorazione di tanti personaggi immaginari di un mondo che non esiste. — Tu hai ragione. Io stesso non sono cittadino che da poco. Se pur lo sono. Perché qualche volta, non ho vergogna di confessarlo, sono ripreso dalle tanaglie del dubbio e ritrascinato in mezzo alla gazzarra religiosa. E per riuscirne devo violentare me stesso e prendermi idealmente a pedate per cacciarmi fuori dalle paure di un al di là che mi hanno fatto succhiare col latte. Dopo la sorgente delle celesti misericordie ho riattraversato la piazza e dal portico sono entrato nella Cancelleria del Santuario, la quale è una vera fiera religiosa ove si vendono il pane impastato con l'acqua del sacro fonte, l'olio per le lampade, le candele, i pezzi della camicia della Madonna che i sacerdoti le cambiano ogni anno, le messe basse, le messe cantate, le messe solenni, le benedizioni col SS. Sacramento e le litanie. I devoti entrano in uno stanzone a pianterreno, ove è un banco che va da una parete all'altra, vicino alla parete in fondo. Al centro del banco era il custode sacerdote o un sagrestano in cotta che non faceva tempo a registrare. Egli era alle prese con una funzione di gente che aveva eternamente la coda oltre il porticato. Registrava messe sopra messe senza stancarsi, senza affrettarsi, senza confondersi, senza perdere la flemma. Agli impazienti che gli mettevano i denari sotto il naso, diceva col sorriso dell'uomo grasso che non va mai in collera: "Lasciate fare che verrà anche la vostra volta". Domandava a tutti, con grazia, il nome e il cognome, il numero delle messe e quali messe. E a chi voleva saperne i prezzi rispondeva: "La bassa costa due lire, la cantata sei e cinquanta e la solenne dodici". I pellegrini che si contentavano di una sola messa bassa si potevano contare sulle dita. Gli entusiasti ne ordinavano sei, dieci, venti, trenta, aggiungendovi magari la benedizione che costa nove e cinquanta. Ogni persona, oltre le proprie, faceva registrare quelle dei devoti assenti o impossibilitati a andare al Santuario. Così non ti devi meravigliare se ti dico che ho veduto degli uomini e delle donne lasciar là cinquanta e cento e più lire. Il ventisei maggio, l'anniversario della apparizione, è, per il Santuario, una giornata coi fiocchi, una giornatona feconda di parecchi biglietti da mille. A sinistra, a poca distanza dal custode sacerdote, era il frate occupato con la gente che voleva accendere candele e lampade nel Santuario. Anche lui registrava e anche lui aveva da fare con una moltitudine che si prolungava al di là dell'uscita senza diminuire mai. La faccia del frate, in un'ombra più fitta di quella in cui era sommersa quella del prete, pareva una maschera arcigna. Non rideva mai, non s'increspava mai, non s'illuminava mai. L'impazienza e le interrogazioni del pubblico lo lasciavano indisturbato. A coloro che volevano sapere se era meglio accendere una candela o una lampada, rispondeva, con indifferenza glaciale, che l'ispirazione doveva venire dal devoto e non dal ministro della religione. Ma non poteva evitare di rispondere quando lo si interrogava sui prezzi. "Che cosa costa una candela?" gli domandavano a ogni quarto di minuto. "Una lira. Accendere una lampada per una novena, due lire. E se volete accenderla per un giorno solo, venticinque centesimi". Sono rimasto nello stanzone più di un'ora e non ho veduto proprio che i pitocchi, i pitocchi che perdevano i piedi, le ginocchia e i gomiti, contentarsi di venticinque centesimi d'olio. Gli altri, il grosso dei fedeli, volevano l'olio per delle novene, e tante candele per tante giornate. A nessuno di quei fanatici è forse mai venuto in mente di domandarsi che bisogno potevano avere Dio e la Madonna dei ceri e delle lampade accese in terra, con tanta illuminazione in cielo. Ma già i bigotti della fede cattolica non ragionano. Se ragionassero crollerebbe tutto l'edificio religioso. Ciascuno si darebbe dei pugni piuttosto che far dire delle messe a pagamento per degli sconosciuti invisibili e impalpabili. Ho pregato anch'io e posso capire i credenti in ginocchio, con la fronte atterrata, a recitare le orazioni. Ma le messe, le benedizioni e le litanie a prezzi di tariffa sono superiori al mio comprendonio. Basterebbero esse sole a fare di me un rivoltoso. La vendita dei pani benedetti e dei pezzetti del velo che ha coperto la Madonna di sasso mi meraviglierebbe, mi ricorderebbe troppo il mercato. Il mercimonio sulle miserie fisiche e morali di una popolazione tanto infelice, mi farebbe piangere, te lo giuro. — E ti credo. — L'atto più tetro del dramma di Caravaggio si svolge in chiesa. Nella basilica si vedono scene da far dubitare di se stessi. Ci sono momenti in cui non si sa più se si è fra gli ammutinati di un manicomio o in una bolgia infernale. Si emettono grida da lasciar credere a un impazzimento generale e si commettono tutte le stranezze delle masse terrorizzate dal demonio. Io ho potuto penetrarvi lasciandomi portare dalle ondate mattutine, le quali mi sbattevano da una parte e dall'altra con le moltitudini quasi ammansate dalle litanie che si spargevano per le orecchie come una letizia celeste. Più tardi le ondate si azzuffarono e diventarono spaventevolmente tumultuose. La gente non passava più dalle entrate che dopo una lotta omicida per sgrupparsi e non entrava nell'interno che con la violenza della fiumana che rompe la diga. Si arrivava in mezzo alla calca trafelati, sudati, stravolti, come persone salvatesi da un tumulto nel quale credettero di lasciare la vita. Nella calca si ricominciava a sentirsi pigiati, premuti, oppressi fino alla mancanza di respiro, costretti più di una volta a proteggersi lo stomaco con le braccia. I violenti esasperavano. Si facevano largo con la brutalità della spallata e sfollavano coi pugni tesi, andando sui piedi di chiunque non poteva tirarsi indietro. Gli indemoniati dagli spiriti maligni sospendevano il movimento verso l'altare, lieti tutti di lasciarli passare e guarire prima degli altri. Tratto tratto si udivano scrosci di pianto che traducevano la passione immensa degli afflitti o voci che salivano alla cupola eccelsa e morivano nel vuoto come preghiere languide di peccatori che avevano perduta la speranza di convincere l'Altissimo del loro pentimento. Le soste lunghe e noiose aumentavano la febbre delle avemarie e dei paternoster cogli amen! secchi che facevano trepidare i nervi e davano modo agli eccitati di levare le mani congiunte e contorcerle dallo spasimo della loro anima impaziente. Io guardavo le pareti coperte di tavolette e di quadretti votivi delle grazie fatte. E, qua e là, dove potevo, leggevo che un cieco aveva ricuperata la vista, che il ginocchio di una donna, stata in letto quattro anni, aveva ripreso la funzione di muoversi, che una bimba era rimasta illesa dalle gambe di un cavallo infuriato che le era passato sopra, che un uomo, con un piede tormentato dalla gotta, aveva potuto uscire dalla chiesa a corsa, che Crenzi Costantina di Vicobellignano, diciottenne, da due anni straziata da fierissimo male e ridotta in fin di vita, il 26 maggio 1881, nell'ora anniversaria dell'apparizione, ha potuto esclamare: "Oh cara Madonna, sono guarita!", che Luigi Cremonesi, giovine lodigiano, affetto da un tumor freddo al ginocchio, nel settembre del 1881 ritornò a casa in perfetta salute. Bada che non invento. Quando sei preso dal dubbio va a Caravaggio e divertiti a leggere le iscrizioni dei quadretti votivi appesi come tanti testimoni indiscutibili. Da tutte le parti, in alto e in basso, si trovano tavolette illustrate delle persone che attribuiscono il miracolo alla B. V. per averne pronunciato il nome nel momento del pericolo. Ci sono ruote di carrozze trascinate da cavalli impetuosi che sfiorano il caduto o la caduta, fiamme che escono repentinamente da un edificio dietro una madre che corre col bimbo e si salva senza una scottatura, treni che si fermano di botto per dar tempo a una ragazzina di attraversare il binario, mentre una madre lontana agita le mani come un'ossessa e grida: "Oh, Madonna!". Ci sono... ce n'è un subisso di miracoli illustrati e non illustrati. Ricordo quello di Paolo Vailati di Crespiatica cremasco. La scena è un calesse col cavallo che si impenna all'incontro del tramvai. Paolo, discendendo dalla carrozza, viene sbattuto dal quadrupede infuriato proprio a capello, dirò così, del treno che passa senza neppure scorticargli un dito, per la semplicissima ragione che aveva avuto il buon senso di gridare: "Oh Madonna di Caravaggio!". I rachitici faranno bene a non dimenticare Caravaggio. Tutti quelli che vi sono stati se ne sono trovati contenti. Perché hanno lasciato là le stampelle, i gambali, i bracciali, gli stomachi di latta, i fianchi che li tenevano ritti e i ferri con le cinghie che non avevano saputo accomodar loro le membra deformi. Ah sì, chirurghi ciarlatani, andate al Santuario a parlare di ernie guaribili in pochi giorni, là dove basta pronunciare il nome della B. V. per buttar via il cinto e appenderlo alla parete! Là dove si insegna che la medicina e la chirurgia sono diventate inservibili! Non occorre che la fede. Credete e sarete guariti. Qui faccio dell'ironia, ma là, in mezzo a tutti quei mendicanti di salute che si battevano il petto, congiungevano le mani, dicevano parole sconnesse, guardavano trasognati, singhiozzavano con la preghiera in bocca, venivo sorpreso dalla desolazione. In certi momenti mi sentivo così commosso da dover fare degli sforzi per non mettermi a piangere coi piangenti assetati di grazia divina. Una povera signora, che mi era vicina e che non poteva star in piedi senza essere sorretta dal figlio e dalla figlia, diceva che avrebbe regalato alla Madonna una veste di seta azzurra senza badare a spese, se l'avesse guarita. E un'altra donna che le stava vicino le disse con un profondo sospiro: "Beata voi che potete! Io non posso offrirle che la corona del mio rosario!". Ero stufo di stare in piedi, di udire i lamenti che mi andavano nelle budella come spasimi e di respirare l'aria appestata di tutto quel mare di gente che voleva liberarsi dalle infestazioni del demonio e dalle piaghe stomachevoli. E mi misi nella corrente che si scaricava lentamente verso il sacrario della Madonna taumaturga. Nell'atto di mettere il piede sul gradino del semicircolo dell'altare per passare dalla parte delle sagristie, venne su dallo speco della B. V. un grido tumultuoso che annunciava la grazia! Di sopra nessuno poteva vedere chi fosse l'eletta o l'eletto della Madonna, né che grazia avesse fatta. Ma i pellegrini non seppero resistere. Come se la grazia fosse stata per tutti, tutta quella massa di dementi cadde sulle ginocchia, si fece più volte il segno della croce, e dopo essersi nascosto il viso nelle mani, innalzò il ringraziamento col canto delle litanie. A sentirli tutti assieme si prova una emozione che non si può esprimere. Il mio pensiero era disfatto. Tu volevi la prova, mi dicevo, ed ecco la prova. Migliaia e migliaia di persone erano là pronte a giurare che la grazia della guarigione si era compiuta sotto i loro occhi. Mi lasciai trascinare, vi andai anch'io. Anch'io discesi i gradini che conducevano alla gloria del miracolo. E giù dabbasso, nell'oscurità del piccolo sotterraneo, cercai la taumaturga e rimasi inchiodato nell'angolo fino a un altro grido convulsionario. Grazia! grazia! grazia! I due sacerdoti all'entrata della cappella della B. V. erano oppressi da un lavoro senza posa. Tutti i pellegrini avevano roba da far benedire. E per benedirla dovevano pronunciare delle parole in latino e far toccare le cose alla statua. Così, dal loro posto, senza muovere i piedi, continuavano il moto del mezzo giro. I pellegrini facevano benedire ombrelli, grucce, bastoni, veli, cappelli, scialli, mantelli, lenzuola, calze, fazzoletti, corone, medaglie, monete, orecchini, fermagli, anelli, giacche, sottane, pezze, bende, federe di cuscini, coltroncini, pezzi di tappeto, camicie, mutande, calzoni, immagini e stracci schifosi da buttar via. Era tra loro una gara. Ciascuno si vuotava le tasche, si toglieva gli ornamenti, si cavava quello che poteva, incluse le scarpe quando gli affamati di miracoli non venivano trattenuti dai due sagrestani di dietro che li sollecitavano a uscire, per lasciar posto agli altri, risospinti e trattenuti a stento dai due sagrestani in alto, al principio della scala. La seconda grazia... Che cosa vuoi che ti dica? Era una donna che aveva le gambe gonfie. Non poteva andare che con due bastoni. Era inginocchiata, con la bocca che baciava la B. V. "O Vergine Maria!" esclamò l'idropica alzandosi "sono guarita!". In un minuto i pellegrini di sopra e dabbasso ricominciarono le litanie. Ero nella strada e ne udivo ancora il coro di ringraziamento: "Sancta Virgo virginum, ora pro nobis".
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