CAPITOLO
SECONDO.
Cuore di
popolana.
Nel
1848, diciotto anni prima della scena raccontata, allorchè il
popolo milanese si sentì l'animo di scuotere il giogo
austriaco, nelle gloriose cinque giornate, anche le donne presero
parte alla sollevazione, mostrando come l'amore della libertà
possa rendere anche i più deboli, audaci ed invitti.
Fra
quelle che più si distinsero, vi fu la Luigia Battistotti
maritata Sassi, la quale deposti gli abiti femminili, sotto le
spoglie di fuciliere, corse nelle vie a cercare il pericolo,
incoraggiando ovunque, colla sua presenza, i combattenti; la
Giuseppina Lazzeroni, una bella giovinetta che seguì a Ponte
Vetero il fratello e combattè intrepidamente al suo fianco,
comunicando il suo ardore agli altri, facendo prodigi di valore;
infine Annetta Durini, che fu compagna al marito nelle barricate di
porta Tosa, ora Vittoria, dove il coraggioso popolano trovò la
morte.
La
moglie che se lo vide cadere ai piedi, non si abbandonò ad
atti di dolore, di disperazione: inginocchiatasi, baciò con
rispetto quella fronte crivellata di palle, tolse dal collo del morto
una sciarpa inzuppata di sangue, che nascose in seno, poi sorse
animosa, ricominciando a combattere.
L'idea
di vendicare quel prode, che ella avea tanto amato, accrebbe la sua
energia, la fece comparire come trasfigurata. Annetta Durini aveva
oltrepassati i quarant'anni; ma la freschezza della carnagione, gli
occhi scintillanti, i denti bianchissimi, i capelli folti e neri, la
facevano apparire assai più giovine.
Indossava
un abito corto, stretto ai fianchi opulenti, un corsaletto le cingeva
il busto scultorio; portava il cappello all'italiana; al collo teneva
un fazzoletto di seta negligentemente annodato, in mano la carabina,
alla cintura un pugnale ed una pistola.
A
Porta Tosa, ebbe il cappello portato via dalle palle nemiche, per
aver difesa una famiglia, che stava per cadere in mano ai Croati; più
tardi, mentre confortava un moribondo, fu ferita alla nuca. Tuttavia
non si scompose e malgrado il sangue che le pioveva sul collo e sulle
mani, continuò il suo pietoso ufficio.
Durante
le cinque giornate, Annetta non posò mai le armi; ma
allorquando gli Austriaci ebbero provato invano il ferro ed il fuoco
contro la città protetta da un santo diritto; quando tanto
peso di forza brutale, dovette cedere alla generosa audacia,
all'eroismo dei prodi milanesi, che con tanto sangue pagavano la loro
libertà; la coraggiosa popolana, affranta dalle fatiche,
spossata da lungo digiuno, si ritrasse alla sua abitazione, in una di
quelle poche case di Porta Tosa, che non erano state completamente
devastate dalle fiamme e dal saccheggio. Per la prima volta, dopo
tanti giorni di lotta, di energia, Annetta nell'entrare in quella
casa fu assalita dallo scoraggiamento, da una muta disperazione.
Ormai
ella avrebbe cercato invano nelle sue stanze il volto adorato del
marito: non avrebbe più intesa la voce di lui, nè si
sarebbero potuto rallegrare insieme della vittoria ottenuta. Di più
non aveva un figlio che le ricordasse quelle care sembianze, un
figlio in cui trasfondere tutto l'amore che aveva portato all'eroico
defunto. Rimaneva sola al mondo.
Salì
le scale a stento, sentendosi piegare le gambe, cogli occhi velati
dalle lacrime. Ma ad un tratto ristette come sbalordita. Era giunta
sul pianerottolo e dinanzi al suo uscio, stesa nel vano, eravi una
bambina di forse due anni o poco più, di una bellezza
angelica, vestita di bianco, ma tutta bruttata di sangue, immobile,
cogli occhi chiusi, come se fosse morta.
Chi
era? L'avevano uccisa su quella soglia? Vinto il primo moto di
raccapriccio, Annetta sollevò la fanciullina nelle sue
braccia, accostò il suo orecchio al cuore di lei e con un
fremito di gioja indescrivibile, si accorse che batteva ancora.
-
Vive, la salverò! - disse la popolana con mirabile espressione
di entusiasmo, di risolutezza, dimenticando i proprii dolori in
quella nuova opera di carità.
Annetta
portò la fanciullina sul letto e si mise a svestirla
delicatamente, per riscontrare se aveva qualche ferita sul tenero
corpicino. Intanto non potè a meno di rimarcare la biancheria
finissima, l'eleganza degli stivaletti, le calze di seta a trafori e
sopratutto la colpì un bizzarro medaglione d'oro, che
raffigurava una testa da morto, appeso ad una microscopica catenella
pure d'oro.
La
popolana mise tutto da parte e constatato con piacere che su quel
corpicino di una bianchezza nivea, non eravi la minima scalfittura,
si adoperò a tutta possa per far rinvenire la bambina. Difatti
questa non tardò ad agitarsi, ad aprire gli occhi,
balbettando:
-
Mamma, mamma.
Annetta
fu assalita da una commozione straordinaria a quella vocina dolce,
carezzante.
Si
chinò a baciare la bambina, che sorrise ripetendo:
-
Mamma.
-
Non sono io la tua mamma, cara, ma sento già di amarti come
tale. Dimmi chi sei, come ti chiami.
La
bambina la fissava con due begli occhi di un azzurro profondo, dallo
sguardo un po' trasognato, smarrito. Balbettò alcune parole
incomprensibili, poi si mise a piangere.
Alla
popolana sorse l'idea che la fanciulletta potesse aver fame. Corse ad
una madia, dove trovò ancora un pane assai duro, ne inzuppò
alcune fette in un bicchiere di vino e gliele portò.
La
bambina si mise a mangiare avidamente. Annetta l'imitò. Il
sole brillava nella stanza riempiendola di calore, di allegrezza. Un
senso di benessere infinito invadeva il cuore della popolana. Ebbe
per un istante il pensiero di nascondere gelosamente quella piccina,
conservarla per sè sola. Come avrebbe rallegrata la sua
solitudine, riempito il suo cuore! Quanti baci, carezze, cure
infinite, avrebbe avute per lei!
Ma
quasi tosto provò un brivido di rimorso; quella creaturina
doveva avere una madre, che forse in quell'istante la piangeva, la
chiamava con grida disperate.
La
popolana non poteva mentire al suo cuore: non pensò più
alla propria felicità, ma grande d'abnegazione, consolandosi
all'idea della gioja che avrebbe procurata a quella madre, si mise
tosto a farne ricerca. Ma per quanto s'informasse, mettesse in moto
vicini ed amici, non potè trovare alcuna traccia dei parenti
di quella fanciullina, nè giunse mai a sapere da chi fosse
stata posta sulla soglia del suo uscio e da chi provenisse quel
sangue, dal quale aveva aspersi i candidi abitini.
La
bambina non era in grado di dare spiegazioni1: l'unica parola
che uscisse chiara dai suoi rosei labbruzzi era quella di «mamma»
Annetta
non ebbe allora più scrupoli di tenerla con sè e in
memoria del suo Mario, l'adorato marito, la chiamò Maria, Gli
anni passarono senza portare maggior luce sul mistero della
trovatella e la popolana finì col non pensarci più e
considerarla come una sua vera figlia.
Annetta
aveva da parte un buon gruzzolo, perchè il mestiere
d'armaiuolo esercitato dal marito gli aveva dati molti guadagni e
permesso delle economie.
La
popolana spese una parte di quel denaro per far istruire la fanciulla
e quando Maria compì il quattordicesimo anno, secondo i
calcoli fatti da Annetta, la mise presso una sua amica, una buona
vedova, che aveva un negozio da guantaja, assai rinomato, sul Corso
di Porta Vittoria, onde l'iniziasse al suo mestiere,
E
l'anno dopo, essendo la vedova improvvisamente morta, Annetta rilevò
dagli eredi il negozio, pagando tutto a pronti contanti e andando a
stabilitisi definitivamente con Maria.
La
giovinetta si faceva ogni giorno più bella e bisognava vedere
con quanta grazia e sveltezza sapeva servire gli avventori e come
teneva in ordine i libri di negozio.
La
popolana, un po' indebolita di forze, per una malattia alle gambe,
sedeva abitualmente dietro al banco, contemplando come in estasi
quella bella creatura, che aveva il potere di rianimarla, farla
sorridere, sviare dalla sua mente un cumulo di tristi memorie.
Annetta
aveva nascosto a Maria in qual modo era divenuta sua figlia, perchè
l'avvenuto era svanito come un sogno dalla mente della fanciulla.
Questa credeva la popolana sua madre ed i vincoli d'affetto che
univano quelle due buone creature, si facevano ogni giorno più
saldi.
A
vent'anni, Maria si mostrava in tutto il pieno sviluppo della sua
bellezza affascinante. Aveva avute parecchie richieste di matrimonio,
che sempre rifiutò, dicendo di trovarsi troppo felice al
fianco di sua madre per desiderare altra sorte. Non aveva ancora
amato. Eppure nelle sue vene scorreva un sangue caldo, impetuoso,
aveva la fantasia vivacissima e l'avventura di quella notte colla
maschera misteriosa, la gettò bruscamente in un mondo d'idee
nuove per lei e perciò appunto più pericolose.
Invano
la bella guantaja cercò dormire: nell'ombra della stanza,
vedeva sempre l'immagine dello sconosciuto, sentiva ancora sulle sue
labbra il tocco bruciante delle labbra di lui.
L'alba
la sorprese cogli occhioni spalancati, il viso pallido, abbattuto, le
labbra frementi, che mormoravano quasi inconscie:
-
Chi sarà mai? Lo rivedrò io ancora?
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