CAPITOLO
DECIMO.
Le
deposizioni.
Il
processo di Maria, la bella guantaja di Porta Vittoria, accusata e
confessa di aver assassinato il marchese Diego Tiani suo amante,
aveva menato gran rumore in tutta Milano.
Si
attendeva con impazienza il giorno delle Assisie, perchè i
fatti non erano ben noti, vi era un lato misterioso, che tutte le
indagini dell'istruttoria, non riuscirono a chiarire.
L'accusata
aveva raccontato senza reticenze, freddamente, a testa alta «che
ella era stata l'amante del giovine, prima ancora che egli prendesse
moglie: aggiunse che Diego le aveva giurato di continuare la loro
relazione, perchè sposando la figlia del conte Patta, non
aveva avuto in mira altro che l'interesse; quindi invece di condurre
la sposa lontano aveva scelto per la luna di miele la solitudine di
quella villetta presso Cernusco-Merate, così poteva
continuamente recarsi a Milano...
«Ma
il marchese Diego dopo alcuni giorni pareva aver dimenticati i suoi
giuramenti: si erano incontrati una sol volta, ed egli si era
mostrato freddo, annoiato, rispondendo alle sue smanie, alle sue
suppliche di non abbandonarla, con delle beffe, parole insultanti, e
persino con delle minaccie...
«Ella
aveva tutto sofferto, illudendosi ancora, sperando sempre che il
giovane sarebbe ritornato a lei; ma Diego non le dette più
segno di vita.
«Folle,
disperata, gli aveva scritto più volte senza ottenerne
risposta.
«Descrisse
per quale periodo d'ansia, di disperazione, di amarezze era passato
il suo cuore... e come a poco a poco un istinto di ribellione si
fosse fatto strada nella sua anima.
«E
si rivolse alla marchesa Adriana, e nella gelosia che la torturava,
le rivelò tutta la verità.
«La
giovine sposa aveva avuta una scena violente col marito, poi l'aveva
abbandonato per ritirarsi col padre.
«Seppe
tutto ciò da Diego che si era recato furente da lei, poi ad un
tratto parve che egli si ammansasse, tornò a parlarle d'amore,
l'invitò a recarsi con lui nella villa stessa, dove era stato
con sua moglie,
«Disse
che ebbe tosto il presentimento che l'attirasse in un tranello,
perchè aveva letto qualche cosa di crudele, di feroce nei suoi
occhi; capiva che la menzogna deturpava le sue labbra. Tuttavia aveva
accettato l'invito; solo, per quell'implacabile sensazione che la
dominava, aveva portato seco una rivoltella.
«E
quel malessere dei presentimenti l'aveva perseguitata durante il
tragitto fatto in carrozza con Diego.
«Nella
villa non vi era alcuno ad attenderli.
«Il
marchese dopo averle fatta visitare tutta la casa, la condusse nella
camera della moglie.
«Ed
era stato lì, che si era svolto il sanguinoso dramma.
«Entrando
in quella stanza, Diego aveva cambiato subitamente modi e linguaggio.
«Ai
rimproveri, ai sarcasmi, erano seguiti gl'insulti, le offese atroci e
non accontentandosi di straziarla, attanagliarla, imprimerle sulla
fronte il marchio rovente dell'umiliazione, della vergogna, si era
avanzato verso di lei minaccioso, furente, dicendole che era un
ostacolo alla sua vita e voleva sbarazzarsene...
«Ed
allora perduta la testa, folle di disperazione, aveva estratta la
rivoltella ed aveva colpito.»
Tutto
ciò disse Maria, senza smentirsi mai, sebbene cercassero tutti
i mezzi per coglierla in flagrante contraddizione.
Il
domestico di Diego asseriva invece; «che la marchesa Tiani non
si era mai staccata dal marito e si trovava alla villetta anche la
notte dell'assassinio: raccontò la passeggiata furiosa fatta
in quel giorno in carrozza col padrone, il loro ritorno a casa ed
aggiunse che sebbene il marchese, contro il solito, lo mandasse a
coricarsi non avendo più bisogno dei suoi servigi, egli non si
era ancora posto a letto, allorchè rintronò uno sparo,
che lo fece accorrere nell'appartamento del padrone; ma nel corridoio
incontrò Clarina ed uno sconosciuto, che si slanciavano verso
le stanze della marchesa. Li aveva seguiti e si era trovato dinanzi
ad una scena, che non avrebbe mai più dimenticata. Il suo
padrone era steso a terra in un lago di sangue, la marchesa sul letto
livida, cogli occhi chiusi, pareva morta e nel mezzo della camera,
ritta in piedi, in atteggiamento ancora minaccioso, colla rivoltella
fra le mani, stava una donna, che non aveva mai veduta prima di
quella notte,
«Spaventato
era corso fino in paese a chiamare aiuto e quand'era ritornato, non
vi trovò più che quella sconosciuta, la quale fattasi
innanzi ai carabinieri, aveva detto con molta calma:
«
- Vi attendevo; sono io che uccisi il marchese Diego e mi trovo
pronta a seguirvi.
Clarina
interrogata disse: «che da qualche tempo la marchesa Adriana
non andava più d'accordo col marito, che spesso l'aveva
sorpresa a piangere, ed un giorno alfine la sua padrona aveva
dichiarato che voleva tornare presso il padre.
«Sosteneva
che la notte dell'assassinio non si trovavano alla villetta.»
Non
fu possibile interrogare la marchesa Adriana, perchè era
gravemente, pericolosamente ammalata, per la scossa subita
nell'apprendere l'assassinio del marito. La sventurata donna non
riconosceva più alcuno; divagava continuamente ed usciva da
quella crisi di delirio così prostrata, che non si riusciva a
farle pronunziare parola.
Il
conte Patta, invece di commuoversi alla morte di Diego ed allo stato
deplorabile in cui si trovava sua figlia Adriana allorchè
gliela riportarono al palazzo, parve non avere altro pensiero che di
farsi ripetere più volte da Gabriele il racconto
dell'accaduto... e quanto aveva detto Maria.
Quella
giovine sapeva il suo segreto come ormai ne era conscia Adriana; ma
questa non avrebbe parlato per non perderlo, l'altra avrebbe taciuto,
perchè egli non aggravasse la sua sorte e fors'anche perchè
era certa di non essere creduta.
Il
conte non ammetteva generosità negli altri, essendone egli
incapace.
Solo
lo spaventò l'idea di quelle carte compromettenti, colle quali
spesso Diego l'aveva minacciato... e che ormai sarebbero cadute in
potere della giustizia.
Che
gl'importava del silenzio di Maria e di Adriana, se esistevano quei
fatali documenti, che l'avrebbero messo all'indice dalla società?
Invano
egli si era sforzato anche dinanzi a Gabriele a mantenere la sua
calma: ebbe un'imprecazione per il morto, poi rimettendosi alquanto.
-
Potete cedermi la vostra vettura? - chiese vivamente al giovane. - Fa
duopo che mi rechi io stesso sul luogo del delitto.
-
Mi sembra, signor conte - rispose Gabriele dissimulando un movimento
di stupore - che in tal modo compromettereste tutto.
Il
conte alzò bruscamente il capo.
-
Per qual ragione?
-
Ricordatevi la raccomandazione di quella giovine, non pensate adesso
che a vostra figlia. L'impazienza del conte non conosceva più
limiti.
-
A costo di qualsiasi cosa, bisogna che vada, voglio sapere se Diego
ha lasciato qualche scritto compromettente...
-
A quest'ora, signore, non siete più in tempo; le autorità
devono già essere sul luogo, perchè nessuno ebbe testa
in quel momento d'impedire al servo del marchese di correre a dar
l'allarme, e voi sapete meglio di me, che quando in una casa si
commette un delitto, non si può toccare cosa alcuna, fin dopo
le constatazioni legali.
Questo
dialogo aveva avuto luogo in un salotto presso la camera, dove era
stata posta Adriana, che rinvenuta, si lasciava spogliare
macchinalmente da Clarina, guardandola con occhi sbarrati, senza
riconoscerla.
Ma
ad un tratto si era svincolata dalla cameriera ed in preda ad un
terrore pazzo, si era slanciata nella stanza vicina, ricadendo priva
di sensi tra le braccia del padre, che ebbe appena il tempo di
sostenerla.
Ciò
produsse una diversione nei sentimenti del conte: il suo furore si
rallentò ed in faccia a Gabriele, ebbe il coraggio di
dissimulare.
-
Avete ragione - disse - in quest'istante non debbo pensare che a mia
figlia.
Ma
quando dall'autorità fu avvertito dell'assassinio commesso sul
marchese ed invitato a recarsi alla villetta per assistere
personalmente all'inchiesta, ricominciò a tremare e si
stropicciò colla mano la fronte, che l'angoscia solcava di
rughe profondissime.
Quando
si trovò dinanzi al cadavere di Diego, il suo viso scialbo non
ebbe che una leggiera contrazione, ma questa si accentuò ed il
sangue gli salì al cervello, allorchè vide lo
scompiglio, che regnava nella stanza del marchese.
-
Che vuol dir ciò? - chiese con accento impossibile tradursi a
parole - oltre l'assassinio, è stato qui commesso anche un
furto?
-
Ora esamineremo, signore: conoscete presso a poco la quantità
dei valori, che si trovavano rinchiusi in questo scrittoio?
-
L'ignoro affatto - rispose il conte con voce tremula - so soltanto,
che mio genero teneva presso di sè... dei documenti importanti
di famiglia.
-
Che fossero questi? - disse uno degli agenti incaricati
dell'inchiesta, mostrando un mucchio di carta bruciata.
Il
conte era ritornato all'apparenza calmo, freddo.
-
Ora vedremo - disse. - Ma la cosa sarebbe assai strana. Si trovarono
i giojelli, le cambiali, dei fogli di banca, dell'oro, ma nessuna
carta, nessuna corrispondenza.
Pareva
che al conte gli si fosse sollevato un immenso peso dal petto.
Il
suo spavento cessava, ma si accresceva in lui lo stupore.
Da
che proveniva quella generosità della bella guantaia,
dell'omicida? Qual sentimento l'aveva spinta a distruggere quelle
carte, a cercare di seppellire un segreto che poteva giovarle?
Avrebbe
voluto saperlo, ma nello stesso tempo si guardava bene dal
chiederlo...
Solo
alcuni giorni dopo, gli venne riferito che Maria essendo stata
interrogata sui motivi che l'avevano indotta a rovistare i cassetti
di quello scrittoio, a bruciare quelle carte, disse che ella voleva
distruggere tutta la sua corrispondenza col marchese, ed avendo
trovato altre lettere di donna le mise tutte in un fascio, con
diversi fogli, senza neppure esaminarli, tanto si trovava eccitata.
Mentiva
quella giovine o diceva la verità? Così si chiedeva il
conte... In ogni modo, un immenso sollievo gli allentò i
nervi: egli non si era mai sentito più felice e leggiero... e
ringraziava il destino che per mezzo di quella fanciulla, l'aveva
liberato da un incubo, che da tanti anni lo tormentava e da un
miserabile, che era stato per così lungo tempo suo carnefice.
L'unico
che fosse sfuggito all'attenzione generale, era Gabriele... Nessuno
lo disturbò, nè chiese di lui, che ormai aveva libero
accesso al palazzo del conte, il quale comprendeva che per far
dimenticare a sua figlia l'ultimo colloquio avuto col marchese,
quand'ella sarebbe stata in grado di ricordare, l'unico che potesse
giovarle, lasciarle credere che Diego aveva mentito, rivelandole un
segreto che non esisteva, era Gabriele Terzi.
Ed
il giovine non dimenticava la solenne promessa fatta a Maria!
Un
altro testimone importante nel processo che si stava istruendo, era
la vecchia popolana Annetta, che tutti credevano madre della bella
guantaia...
Ma
la povera donna, già affranta del dolore, per il cambiamento
avvenuto nella fanciulla, che adorava, non aveva resistito all'ultimo
colpo, ed assalita da una paralisi, si trovava all'ospedale in
pericolo di vita ed incapace a pronunziare parola. Così tutto
si univa per rendere il dramma più solenne, misterioso!
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