CAPITOLO IX.
Sul pensiero che Don
Apollinare non aveva peranco smesso il rancore rimastogli contro Giuliano;
nacque nella mente della signora Maddalena quest'altro, che Don Marco, non
essendosi più fatto vivo, avesse dimenticato lei, il suo figliuolo e il caso
doloroso d'un amore, in cui la sventura pareva aver posta la mano. Fosse stata
a vedere come il povero prete s'annuvolava ogni volta che pensava a queste
cose; e all'animo suo delicato sarebbe parso d'offenderlo, e di aggiungere un
dolore ai tanti che gli contristavano la vita. Egli s'era messo in via almeno
dieci volte, per andare alla villa del signor Fedele, e vedervi da sè quello di
cui non avrebbe osato chiedere a chicchessia: ma non era mai giunto sino a
quella, non potendo vincere una ripugnanza confusa, che gli nasceva appena
arrivato a scoprire la palazzina. Si soffermava a guardarla, ondeggiava un
tantino tra il tirare innanzi e lo starsi; poi dava di volta e tornava a casa
accorato. E in verità, se il signor Fedele gli avesse chiesto in nome di chi
veniva a mescolarsi nelle cose sue; quale risposta, avrebbe potuto fargli,
sebbene fossero amici dell'infanzia? Forse che istruito di certe istorie,
andava a lui per consigliarlo? Ma questi consigli chi glieli aveva chiesti? O
non v'andando da amico, doveva dire che da prete, gli recava la parola del
Signore? Don Marco non aveva osato mai chiamarsi ministro di Dio, di cui sapeva
tenersi da nominare invano insino al nome. E così, aggiungendosi che forse la
sua visita avrebbe nuociuto a Bianca; finiva sempre lasciando al tempo che
facesse lui. Quell'Alemanno, coll'essere lontano, si sarebbe fors'anco scordato
della fanciulla; e a conti fatti le gite intraprese verso la palazzina, s'erano
tutte mutate in passeggiate meste e solitarie.
Tornava appunto da una
di queste, quando intese che le genti di val di Bormida rivenivano scompigliate
dalla spedizione; e per non vedere lo spettacolo che doveva essere nelle vie
del borgo, si ridusse a casa per il senteruolo a piè delle mura, fatto altra
volta in compagnia della signora Maddalena. Si chiuse con diligenza, e udendo i
briachi cantare in brigata scempiatamente, accostò gli scurini; poi essendo
l'ora dell'imbrunire, si mise a letto e s'addormentò, con un cuore che gli
diceva cose poco liete di sè, ma anche meno del mondo. Sognò sin verso il
mattino mille mestizie; ma quando fu vicina l'ora in cui soleva destarsi,
vedeva i cieli nuovi e la terra nuova, promessi nell'Apocalisse. Al rompere
dell'alba gli si ruppe il sonno, e aperti gli occhi sorrise e disse: alle volte
si sognano cose sì belle, che peccato non dormire per sempre.
Si vestì alla lesta, e
fattosi sul terrazzino, stette ad ascoltare se s'udissero ancora i rumori della
sera innanzi. Suonava nei boschi un ultimo corno, se pur non era il muggito di
qualche giovenca, discesa ad abbeverarsi al torrente. Ne fu quasi lieto; e
guardò a lungo il cielo, che in quei mattini di maggio pare tutto un primo
amore, anco le nuvole, se ve ne sono a veleggiarlo.
Ma abbassando gli occhi
sulla casa del signor Fedele lì in faccia, si rifece pensoso, gli parve di
vedere Giuliano tendere a lui le mani da lungi supplicando, e di udirlo dire:
«o maestro, e perchè mi ha fatto dire da mia madre che si sarebbe adoperato per
me col signor Fedele? Io non mi sarei mai allontanato dai luoghi dove mi si toglie
la donna mia; maestro, se la sposeranno ad un altro, udirà parlare della mia
morte. Perchè m'ha tradito?»
«Sicuro! - sclamò Don
Marco - se un guaio avvenisse, io ne sarei in parte cagione... Questa volta
anderò ad ogni costo!»
Così dicendo uscì, stupito
di non trovare alla porta il passeraio di fanciulli che vi si raccoglievano
ogni mattina, per andargli a servire la messa: ma tosto conobbe il perchè di
quella assenza strana.
Dopo i fuggiaschi
paesani, arrivavano i piemontesi e gli alemanni, feriti due giorni innanzi
dalle parti di Loano; e il popolo traeva fuori le mura del borgo ad
incontrarli, recando pannolini, ristori, con quel pronto animo che in esso non
muore mai.
Ai lamenti che venivano dal
prato, dove quei miseri venivano deposti di sui muli, e di sulle barelle, il
buon prete si sentì schiantar dentro dalla passione. Ne vide di tutti i gradi e
di tutti gli aspetti: visi robusti da star bene nei quadri di Salvator Rosa;
faccie pallide, ed occhi come ne dipinse Schaeffer nelle sue meste tele: qua
una voce di subalpino chiedeva aiuto; là un tedesco invocava il suo Got; e non
era da ridere se qualche donnicciola rispondesse alla invocazione, porgendo un
gotto d'acqua, che il poveretto beveva, inconsci dell'equivoco esso e l'altra.
Don Marco fattosi in
mezzo a quel dolore, cominciò a darsi attorno a spacciar uno di qua, a chiamar
l'altro di là; e quale in questa, quale in quella casa, faceva ricoverare quei
dolenti, che gli volgevano occhiate piene di gratitudine e d'amore; perchè
giunto lui pareva, che fosse capitato ad ognuno la madre od una sorella. Si
diceva che dei feriti, ve n'erano ancora molti tra via, sebbene paressero già
troppi quelli arrivati: e nella furia di torsi dai piedi alcuni che morivano lì
di stento; parecchi se ne portavano a seppellire, che non erano per anco
spirati. In un campicello a ridosso del borgo, cinque o sei marrani lavoravano
a scavar fosse: venivano i soldati coi morti e coi morenti sulle spalle, e li
buttavano nelle buche, che poveretti s'aggrappavano ancora alle prode per
tornar fuori; ma una zappata sul cranio e una palata di terra sulla bocca,
troncavano il grido disperato e il pensiero della famiglia lontana. Se ne
racconta tuttavia ai nostri giorni, e si sanno le ultime parole di quei miseri,
sin dai fanciulli; i quali, dopo scuola, vanno a ruzzare in quel campicello; e
la sera ne fuggono, spauriti dai fuochi fatui, che scambiano per l'anime di
quei sepolti vivi.
Nell'opera di
misericordia, don Marco ebbe compagni alcuni preti del borgo, e cinque o sei
frati del convento venuti, all'annunzio, volonterosi. Ma non era tra questi il
padre Anacleto, il quale per nulla al mondo si sarebbe staccato da Bianca;
bisognosa di lui, sanatore dell'anima sua. In quei pochi giorni, aveva fatto
con essa molto cammino sulla via della salute; e mi duole non poterlo mostrare
che in fretta e quasi di scorcio, nei suoi portamenti. Si ricorda il lettore,
che l'avevamo lasciato in refettorio, a fantasticare sopra un dipinto? Ebbene;
egli non aveva voluto por tempo in mezzo, e sin dall'indomani era tornato alla
palazzina. Trovata Bianca che scerpava erbe sotto il pergolato, e ne dava ad un
agnellino nato di fresco; s'era fermato a guardare la fanciulla e l'animaletto
vezzoso, che ora le saltellava attorno; ora spiccava corse, sprigionando
un'allegrezza tenuta dentro a fatica; ora ruzzolava in un fossato: e Bianca
sorrideva.
Appena vide il frate, la
giovinetta si fece ad incontrarlo; e rifatta la storia del baciamano, gli diede
notizie della famiglia, di che egli si rallegrò e disse:
«Bianca, tu mi sembri
più contenta, o almeno quella tua tetraggine, si è risolta in una malinconia
dolce, che se ti fiderai di me diventerà allegrezza.
«E di chi dovrei fidarmi
più? - rispose la fanciulla: - ho pensato tutta la notte a quelle cose che mi
disse ieri; e l'idea del monastero, me l'ho quasi levata dal cuore.
«Ah!... quello era il
mal passo! E dire che una volta messo il piede innanzi non lo si può più
ritrarre! Gli è come a sposarsi; cari o no, son nodi che stretti una volta, la
sola morte può sciorli...
«Oh sì...! - sclamò
Bianca ponendo sè colla mente in ben altro campo, che non era quello in cui il
frate la voleva tenere; ma egli accorto le troncò la parola, e riprese:
«Sì! sì! sì! tu dici, ma
non sai nulla. Voi giovinette, a udirvi, conoscete il mondo più d'ogni
vecchio...! E poi...; che sai tu? neanco la storia di quel nome, che ieri non
mi volesti dire, e che adesso io so assai bene...; e ti debbo dire che, l'ira
nobilissima da cui fosti presa udendomi chiamar indegno colui..., era mal
consigliata da un affetto malissimo posto...!»
Questo dire sicuro e
solenne, prostrò l'animo di Bianca, la quale a prima giunta pareva volersi
levare a nuova difese.
«Padre - rispose essa
chinando il capo, e poco dopo alzando gli occhi a lui, nell'atto in cui vediamo
dipinte le sante sofferenti estasi dolorose: - io non so chi le abbia detto
quel nome; io sono una povera creatura che diventerà scema; e non so che una
cosa. Da un mese in qua mi si è oscurato il cuore; mi par d'essere in fondo a
un abisso; a momenti m'agguanterei, per uscirne, a ferri infuocati; a momenti
vorrei starvi per sempre, nè rivedere più il mondo, nè me stessa...!
«E di Giuliano... di questo
giovane cui pare abbiano dato il nome dell'apostata sin dal sacro fonte,
presaghi di quello che sarebbe diventato...; di questo Giuliano che legge libri
proibiti, che non va in chiesa, non fa la pasqua, oltraggia i ministri
dell'altare; e deve essere scritto a qualcuna di quelle Società, in cui si beve
sangue facendo il patto; e s'impara il segreto infernale di mutarsi in
qualunque bestia per far malefici; e si giura morte ai sacerdoti e a Dio: di
questo Giuliano, tu non le sapevi le belle cose che io ti dico, coll'anima che
mi trema dentro, e colle labbra scottate dalle parole che mi paiono carboni
accesi?»
A questo segno e senza
quasi addarsene, il frate si trovava colle braccia aperte, la persona curva,
l'occhio intento su Bianca; la quale vinta a poco a poco, s'era lasciata cadere
ginocchioni atterrita; e teneva il viso alto, sicchè la barba di lui le
ondeggiava sul collo e sul seno. L'agnellino li guardava coll'occhio stupefatto
dell'innocenza; e pareva un simbolo, in un quadro dove fosse dipinto un
esorcismo.
Oh! che pallidezza! che
cuore era quello di Bianca! D'amare Giuliano, non s'era confidata mai, salvo
che a Don Marco, alla signora Maddalena, e alla zia Maria: ora il frate, come
aveva saputo quel nome, e come i segreti del giovane, gli orribili segreti, che
erano per essa più che la scoperta d'un cadavere di lebbroso, nel sito ove
credeva nascosto un tesoro?
«Alzati, va e piangi! le
disse il padre Anacleto; - piangi che il Signore lo vuole; ed io pregherò che
ti perdoni d'aver amato un empio; e pregalo tu pure per lui come faresti per
un'anima del purgatorio. Domani tornerò.»
E con passo spedito
s'allontanò e disparve.
«Dio della misericordia!
- sclamò la fanciulla - pigliatemi, pigliatemi che al mondo non ci faccio più
nulla! O Giuliano, e che ci venivate a fare in chiesa, se avete giurato morte a
Dio e ai sacerdoti...? L'avessi saputo, e mi sarei nascosta fin nei sepolcri,
piuttosto che guardarvi...! Eppure..., egli mi pareva più buono di quel
bell'angelo dipinto sopra l'altare, col fanciullo per mano che fugge al pesce
mostruoso.... Somigliare a quell'angelo, e sprezzar Dio...!» - Qui sentendosi
lambire la mano dall'agnellino, gli prese la testa, e parlando all'animale
innocente; - mi uccidono, mi uccidono - diceva - come faranno a te, e nessuno
dirà, povera Bianca!»
Non potè piangere, ma
lentamente si rimise a vagare su e giù; mentre il signor Fedele che aveva visto
ogni cosa dal buco d'una impannata, la guardava e gioiva.
Il padre Anacleto tornò
l'indimani, e il giorno appresso, e l'altro e l'altro; coll'accorgimento d'un
medico di villaggio, che sappia farsi vedere in tempo acconcio dall'ammalato.
Gli bastava una parola, un'occhiata a sapere l'animo di Bianca; ed era lieto di
sè, perchè gli pareva d'averla, in meno che non credeva, tirata alla riva,
donde rivolta addietro, avrebbe poi veduto l'acque pericolose, in cui senza lui
sarebbe affogata.
Al quinto giorno,
proprio quello in cui, se non avvenivano in C... le cose narrate qui sopra, si
incontrava con Don Marco nella palazzina del signor Fedele; egli ed il leguleio
stavano a consigliarsi l'un l'altro; ancora sotto quel pergolato di cui il
lettore può essere sazio, ma che per essi era una delizia.
Avevano almeno dieci
volte preso a parlare di Bianca; ma il discorso uscendo di carreggiata, li
portava sull'argomento della guerra, e della spedizione, vista da essi moversi
e tornare in quella guisa vergognosa. Parlavano e sentenziavano ora da uomini
di grand'animo, ora facendo lor conti da femminette paurose; e mentre il signor
Fedele diceva che quello di cui più si sentiva afflitto, era il non saper nulla
del barone; gli seguì un caso maraviglioso. Davano appunto di volta in capo al
pergolato, col nome dell'Alemanno in sulle labbra; e videro venire di buona
gamba il procaccio di C..., il quale teneva in una mano una lettera, nell'altra
il cappello che si era tolto di sul capo, appena giunto in vista ad essi due.
Costui baciò il cordone al frate, inchinò tre volte il signor Fedele; poi
mostrandosi affannato più che non fosse davvero, disse a quest'ultimo:
«Signoria, don Marco mi
manda con questa lettera; ho fatto come il vento, ed eccomi, fui qui in uno
sbadiglio di gallo...
«Don Marco! pensò tra sè
il frate, mentre l'altro leggeva la lettera; - o che vuole don Marco...?
Glielo chiarì il signor
Fedele ponendogli sotto gli occhi il foglio; e gridando al procaccio: «Corri,
va, e dì a don Marco che volo; corri, sei qui ancora, lumacone?...» Il
pover'uomo spinto da lui ripartì; forse pensando da chi avrebbe toccata la
mercede di quella sua fatica; chè quanto al signor Fedele non buscarla subito,
voleva dire non buscarla mai più; piacendo al leguleio d'essere stimato, in
queste cose, uomo di corta memoria. La mancia l'avrà avuta da don Marco; il
biglietto del quale, diceva alla lesta, com'egli avesse in casa il barone,
ferito malamente; corresse a vederlo, che il poveretto non voleva altri che
lui!
«Sono segni del cielo!
Corri tu pure, - disse il frate al signor Fedele - e trova modo di portar qua
il barone... Chi sa? La compassione può dare l'ultimo ajuto a movere l'animo di
Bianca... va.»
In quattro passi il
signor Fedele fu in casa; in altri quattro tornò sul prato con panni da
gentiluomo indosso: e stretta la mano al frate e dettogli che alle donne aveva
nascosto il perchè della sua andata al borgo; rimasero che questi sarebbe stato
attorno alla fanciulla, per disporla a quelle accoglienze ch'essa doveva usare
al barone; dove per buona sorte lo si fosse potuto trasportare alla palazzina.
Con questo l'uno partì, e l'altro salì dalle signore.
Bianca e Margherita
lavoravano di cucito, vicine alla zia Maria; cui la gioia di riaverle, come
essa diceva, sotto gli occhi, dava nel viso una bella rallegratura. La
minorella era gaia, e Bianca silenziosa: dire che non fosse mesta sarebbe
troppa bugia, ma un po' più serena la pareva davvero; e se n'era accorta sin la
cieca, la quale diceva di conoscerla al colore del viso, ma in verità
l'argomentava dai sospiri di lei meno frequenti.
Il frate si mescolò alla
buona nei loro discorsi; e studiando di farsi posto in questi, per la faccenda
che voleva dare a capire; guardava traverso la finestra, le belle ruine del
castello di C... le quali si vedevano dalla sala assai bene.
«Che guarda, signor
padre? uscì a dire Margherita, che vispa com'era aveva gli occhi su tutto, e
usava colle persone un ultimo avanzo di dimestichezza infantile.
«Io guardo, - rispondeva
egli, trovando da maestro quel che gli bisognava, senza togliere l'occhio dalla
bella vista in cui pareva assorto - io guardo quei comignoli laggiù del
castello, e penso che darei un anno della mia vita, per poter vedere, non fosse
che un'ora, il castello, i baroni, il popolo del borgo e tutte le cose,
com'erano, per esempio, seicent'anni or sono...; quando le castellane vivevano
da sante, e i cavalieri andavano e tornavano di Palestina, pieni di fede,
carichi d'armi, a conquistare il Santo Sepolcro e il regno dei cieli...
«Oh!... e come si
possono sapere codeste cose? - chiese Margherita, che sempre aveva preso
diletto a farsi narrare favole e leggende.
«Dai libri, - rispose il
padre Anacleto; - ma sono libri latini, che non tutti li sanno leggere...»
«Ci racconti qualcosa
lei, ci racconti...» entrò a dire damigella Maria.
«Sì, sì - padre,
racconti: - incalzava Margherita. Bianca taceva; ed egli con quell'aria che
sanno pigliare anche i più volgari favolatori, cominciò a narrare.
«Fra i tanti fatti che
si hanno dai libri di cui vi parlo, ne ricordo uno bellissimo, seguito proprio
in quei tempi, che il nostro San Francesco capitò quassù a fondare il convento,
dove noi siamo. Che felicità, nevvero, se vi fossimo stati anche noi? Ebbene,
si diceva in quel tempo, che nelle montagne là verso il mare, (vedete? da
quella parte dove si leva il sole in questa stagione); si diceva che in una
rupe cavernosa avesse vissuto una famigliuola, di cui niuno sapeva bene come vi
fosse venuta. Io quella caverna l'ho veduta, ed è su per giù dell'ampiezza di
mezza questa sala. Abitavano là dentro marito e moglie, colla benedizione di
due bei fanciulli: il padre lavorava a far carbone; la madre a filare lana e a
far camicciole; i bambini a cercare nidiate nelle selve, finchè fatti
grandicelli poterono aiutare il babbo nel faticoso mestiere. E recavano sulle
loro spalle sacca di carbone alla città di Savona; la quale come avete inteso a
dire è in riva alla marina, lontana dalle montagne dov'è la caverna parecchie
miglia. Partivano alla punta del giorno, tornavano la sera, e non si stancavano
mai. Una fra le tante volte che v'andarono soli, dice, che vennero carichi di
balocchi, e senza quattrini, e quei balocchi erano pugnali, spade, elmi
rugginosi che valevano un fico.
«Il babbo, sì che gli
avrà sgridati!» disse Margherita, cui pareva di veder i fanciulli, l'armi, la
caverna, ogni cosa.
«Che! neanco per sogno!
Anzi, fuori di sè dall'allegrezza, e stringendo la moglie al petto: «Adelasia,
- sclamò - Adelasia! il sangue nostro, parla ai nostri figli dei loro avi e di
noi....» Una vecchierella, la quale praticava in quella grotta, intese queste
parole; le ridisse maravigliata ad un'amica, l'amica se ne confidò ad un'altra,
e via... via, ne venne a sapere tutta la montagna, insino a Savona. In quel
torno venne l'imperatore d'Alemagna con grande esercito, a guerreggiare contro
i Saraceni in questi monti; ponete come fosse ora, che abbiamo gli Alemanni a
scamparci dai Francesi, i quali sono peggiori di tutti i Saraceni del mondo.
Ebbene, dice, che quelle parole, quel nome d'Adelasia, giunsero all'orecchio
del potentissimo sovrano, che volle vedere la donna, il marito e i fanciulli,
e..., indovinate un po'...? La donna era la figlia dell'imperatore; l'uomo era
Aleramo, che se l'aveva portata via dalla corte molti anni prima! Povero
cavaliero, amato da lei, non la potendo sposare, l'aveva rapita; e penando chi
sa quanto, erano venuti dell'Alemagna sui nostri monti, a passarvi quella
misera vita.
«Oh! E poi padre, e poi?
chiese Margherita vedendo il frate far pausa; racconti racconti ancora....
«No no, - egli rispose -
non racconto più, perchè Bianca non istà attenta....
«Oh sì! - disse Bianca
io l'ascolto....
«L'imperatore - proseguì
il frate - roso da lunghi rancori contro il rapitore della figlia, che cosa
doveva fare? La credeva morta da gran pezzo; rivederla fu per lui come un
miracolo. Non so dire quanto penasse a perdonare lei e il marito, ma perdonò; e
ad Aleramo diede in feudo il paese bagnato dalla Bormida, e da non saprei che
altri torrenti. Alla grotta che dicevamo, rimase il nome d'Adelasia; e dovreste
visitarla un qualche giorno, che il babbo sia contento di voi. Vi si arriva in
quattr'ore....
«Ma e San Francesco?»
tornò a chiedere Margherita, che rimasta coll'ago in aria, non si poteva
saziare di quei racconti.
E il frate, sempre cogli
occhi in Bianca, la quale non aveva mai smesso di cucire, ma a certi punti
della narrazione, s'era o abbuiata o rischiarata in viso, ripigliò:
«Lascia che respiri,
santa pazienza! La stirpe d'Aleramo crebbe, e piantò castelli e torri per
tutto, in queste valli; e della storia d'Adelasia durò la diceria per secoli.
Tutte le castellane, venute col tempo dalla sua schiatta, furono devote alla
sua memoria, come a quella d'una santa. La imitavano in tutto; volevano
somigliare a lei in tutto; massime in quel punto d'innamorarsi di chi loro
piaceva. Ora accadde che una di queste, figlia del marchese di C... aveva preso
a voler bene ad un poveraccio, il quale d'armi e di cavalleria ne sapeva quanto
ne so io, frate pacifico. E non c'era santi a farle sposare un barone, che
aveva castelli e vassalli, e che la voleva, sto per dire, viva o morta. Il
padre della zitella si prese termine d'un anno e un giorno; e pregò lui
d'andare in Terra Santa, a procacciarsi onori e meriti in faccia a Dio. Egli
intanto si sarebbe adoperato a consigliare la figliuola, e alla fine le nozze
si sarebbero fatte. Il cavaliero partì lasciandosi addietro il cuore: e fu in
Palestina dove degli infedeli ne uccise tanti, che i menestrelli lo onoravano
colle loro canzoni, sotto le tende dei più gran principi della cristianità,
ch'erano alla crociata. Ma..., (qui entra di mezzo S. Francesco) la zitella non
voleva saperne delle cento storie che il padre le andava raccontando ogni
giorno: questi la pregava, la minacciava, la teneva chiusa. Che! veniva a dir
niente. Appunto di que' giorni capitò S. Francesco, e il marchese si raccomandò
a lui. Date retta che il bello viene adesso. Un dì il Santo stava colla giovane
addolorata castellanina, lassù in una di quelle sale, che ora non sono più che
ruine; ed essa gli narrava le sue miserie, ed egli le parlava come sapeva
parlare un santo pari suo. Le parlava di quel cavaliere, che per amore di lei
era lontano a combattere e a patire. La giovinetta, essendo come tutte le
fanciulle bennate, molto pietosa, ascoltava il Santo, e si sentiva rimordere
delle fatiche e delle pene, alle quali stava per cagion sua, quel valoroso barone.
E già era vicina a piangere; quando a un tratto, facendosi in vista come fosse
stato in mezzo ad una battaglia, il Santo proruppe: «in questo momento, cade il
prode dal suo cavallo e gli infedeli gli sono sopra per trafigerlo con cento
lame.» Signore Signore...!» Un grido della fanciulla che pareva smarrirsi,
richiamò il Santo dalla sua visione; «o Dio, aveva sclamato essa, Salvatelo!
Salvatelo! e sarò sua sposa!» Questo era un voto fatto col cuore: e la
fanciulla stette settimane e mesi, ad una delle tante finestre che vediamo
lassù, ornate di quelle colonnine di marmo bianco; ad aspettare come in
penitenza, sperando che qualcuno venisse di Terra Santa, a recar novelle del
cavaliero. E questo qualcuno venne, ma chi era? Il cavaliero in persona, che
tornava colle ferite appena chiuse; e le aveva toccate proprio in quel momento,
che San Francesco, per virtù divina, aveva avuta quella visione. Spirava
appunto il termine d'un anno e un giorno dalla partenza: e di là ad alcune
settimane, fu nel castello un gran torneo; e i banchetti e i festini non ve li
so dire; tutto in onore della sposa e del cavaliero valoroso e pio. La storia
non dice che S. Francesco fosse al convito; già noi poveri frati facciamo il
bene, poi ci tiriamo in disparte: dunque7 il santo non vi sarà stato.
Vi piace?»
Damigella Maria accennò
col capo; ma il frate che non aveva raccontato per lei, non le badò. Gli pareva
d'aver trovato così bene il filo di cui aveva mestieri: Bianca s'era fatta
ascoltando, sto per dire, così trasparente; egli aveva potuto leggerle così
chiari in viso, i confronti che essa faceva di sè con quella castellana
favolosa, e la sua secreta e mesta compiacenza in tanta somiglianza di casi:
che lietissimo dell'opera propria, neanco s'accorse di Margherita, la quale
insaziabile lo pregava a tirare innanzi, come se il racconto non fosse flnito.
«Dio mi ha proprio
ispirato! - pensava, - chi avrebbe potuto disporla meglio? Essa non ha più
bisogno che d'un tratto; e se Fedele mena quaggiù il barone, la cosa è fatta!»
E il barone giaceva in
casa a Don Marco, il quale nell'ufficio pietoso di quella mattinata, s'era
imbattuto in lui fra i feriti. Pensando al gran bene che avrebbe potuto fare,
avendolo in casa; il buon prete gli aveva profferta l'ospitalità, ed egli non
s'era fatto pregare, perchè sapeva come Don Marco stesse di casa vicino a
Bianca. Stupito di non vedere il signor Fedele, non aveva osato chiederne; ma
l'andarsi a porre discosto due passi da lui, gli pareva la miglior ventura che
gli potesse incontrare. Il prete, dal canto suo, era contento, perchè sperava
di pigliare dimestichezza con quel soldato; cagione di tanti dolori a Bianca,
alla signora Maddalena, e chi sa di quali guai a Giuliano: il quale viveva
lungi, accarezzando vane speranze, come colui che innaffia una pianta morta,
ingannato dalle poche foglie di cui verdeggierà ancora per breve tempo.
«Io avrò agio di
parlargli, di supplicarlo a dimenticare quella poveretta: a far sacrificio del
suo amore, per la felicità di due creature, che s'amavano prima che egli
venisse quassù. Gli dirò che non gli sta bene lasciare memoria di sè come d'una
bufera, passata a schiantare gli alberi più gentili. Gli chiederò se nessuna
donna piange nelle sue contrade per lui; talvolta i soldati hanno spirito di
cavalieri antichi, si commoverà, vedrà il bene che può fare; pregherò tanto che
mi darà ascolto.»
Con questi pensieri,
conduceva, usando gran diligenza, il ferito; il quale camminava da sè, pur
reggendosi a lui e ad un vecchio servitore, che aveva menato seco dall'Alemagna.
Questi tirava per le briglie il cavallo, su cui il padrone tribolando molto,
era venuto pei monti, dal campo di Loano, dove aveva toccata la ferita; e il
povero animale teneva dietro, a testa bassa, quasi umiliato di non averlo più
in sella. Legato ad un arpione dell'uscio da via, rimase a guardarlo mentre
saliva la scala, e gli mandò dietro un sommesso nitrito.
Come furono dentro, il
servitore vedendo la prima stanza affatto disadorna, arricciò il naso. Un
lettuccio da sedervi sopra, perdeva l'imbottitura per gli strappi del
marocchino; e gli ridestò l'immagine dei cavalli visti di fresco sui campi,
colle entragne uscenti dalle pance squarciate. Nella stanza del terrazzino
dov'era il letto di Don Marco, aggrottò le ciglia: e questi che se n'avvide,
pensando che il servitore avesse notato nel barone qualche segno di ripugnanza
a quella povertà, disse tra sè: «Pazienza! Ma che ci posso fare se io non sono
nè un vescovo nè un parroco ricco...?» E quasi si pentiva d'aver fatto quel
passo; ma subito si consolò vedendo il barone porsi a giacere come su d'un
letto d'amici. Allora si provò a parlargli della ferita, che era tempo di
rivederla; profferse ristoro di cibo e di bevanda; ma ebbe un bel dire; l'altro
non voleva nulla. A udirlo la sua ferita non gli dava noia, non chiedeva che
d'essere lasciato in pace. A un tratto volti gli occhi al terrazzino, chiese a
Don Marco:
«Quella casa là, è del
signor Fedele, nevvero?
«Sì, rispose il prete,
abbuiando in viso.
«Ci sarebbe modo
d'averne nuove?
«Non è in borgo» disse
Don Marco, mettendosi più sul riservato.
Il barone tacque un
istante, che parve assopirsi: poi levandosi sul gomito ripigliò risoluto:
«Ah! voleva pur dirlo
che, forse non era nel borgo. Don Marco, m'usi questa cortesia, faccia chiamare
il signor Fedele, o io anderò da me a trovarlo dov'è.»
Il prete alzò gli occhi
al cielo, quasi per dire addio alle speranze fallaci, concepite poco prima; gli
parve di non meritare l'amarezza di quel che le circostanze gli davano a fare:
e scrisse quel biglietto, che spacciato al signor Fedele, fece correre costui
dalla villa al borgo, più presto che il barone stesso non avrebbe creduto.
Questi, a vederlo
apparire sulla soglia della camera, balenò in quei suoi grandi occhi verdastri,
d'una gioia ineffabile: e sebbene negli abbracciamenti il signor Fedele lo
urtasse col petto proprio nella ferita, non fece cenno di dolore; ma quando si
vide lasciato solo con lui, quasi continuando la dimanda che gli aveva fatta,
il giorno in cui era partito pei campi della riviera, gli chiese: «e Bianca?
«Bianca? - riprese il
signor Fedele - Bianca, non dico nulla, la vedrà. Alla lesta; se la sente di
far un altro po' di via? Alla villa ci si aspetta.... ci aspettano tutti colle
braccia aperte....
«Oh! - sclamò l'Alemanno
- un ferito in casa...! Si recano tante molestie....
«Molestie? In casa mia
niuno sa che voglia dire questa parola. Alla lesta, ripeto, si tenga pronto, io
torno in dieci minuti con una lettiga...
«Ma... no... - disse il
barone pigliando la mano di lui per rattenerlo; - sono venuto a cavallo sin
qua.... ma se mi concedesse di guarirmi in casa a questo buon prete.....
«Storie! Non parliamone
più....»
Il signor Fedele chiamò
Don Marco; il ferito levatosi in piedi ringraziò dell'ospitalità avuta, e il
prete mesto e quasi umiliato stette, a vederli discendere, in capo alla scala.
Poi quando furono fuori, tornò nella sua camera e sclamò: «È finita, Giuliano!
Bianca sarà sua!» Sedè, si pose gomitoni sul tavolino, chinò il capo e pianse.
Intanto gli altri
s'avviavano lentamente alla villa, dove il padre Anacleto stava colle donne,
stringendo i panni addosso alla povera Bianca. Egli s'era affacciato forse la
quinta volta, a vedere se il signor Fedele tornasse; quando lungi un trar di
schioppo apparve la comitiva, tra le siepi di bianco spino, che facevano riparo
ai campi, dove il grano vegeto di molto, mosso da un'aura dolce di primavera,
ondeggiava come quei laghetti che sovente incontra di vedere, a chi cammina
sulle Alpi.
Il frate chiamò alla
finestra Bianca, la quale fu sollecita a correre; e additandole da quella
parte, le disse: «Parlavamo testè della castellana e del cavaliero ferito in
Palestina: chi ci avrebbe detto che uno ve n'era tra via, cui manca una madre,
una sorella, una consolatrice; e fu ferito per nostra difesa...?»
A queste parole
Margherita discese sull'aia; la zia cieca fece atto di levarsi da sedere; ma
ripigliato il suo posto, annuvolò come chi ha ombra di qualche cosa.
Bianca s'era sentita a prima
giunta, rappiporire la vita; poi in quelle cose che aveva intese, e in queste
altre che vedeva pur allora, le parve che qualcosa di miracoloso ci fosse.
Padre Anacleto, da uomo avvisato molto, le bisbigliò che bisognava fare, come
la castellana, buon viso a chi soffriva; perchè la carità era la corona delle
altre virtù. La povera fanciulla si mosse, si rattenne, tornò a moversi; allora
egli la prese per la mano, e dicendole dolcemente: «andiamo» discese con essa.
Quale fu lo stupore del
signor Fedele, quando vide Bianca venir oltre col frate; quella Bianca ch'egli
temeva d'avere a scovare chi sa da qual buco, arrivando coll'Alemanno! Si sentì
addosso quella gioia che fa fare ai fanciulli le capriole; e gli crebbe la
forza per modo, che bastò da sè ad aiutare il barone a smontare da cavallo.
Questi dal gran turbamento, si sentiva mancare, e penava a reggersi quei pochi
passi: di che il signor Fedele pigliandolo a bracetto, accennò al servitore di
tenersi più accosto. Quel frate che veniva incontro a quel soldato ferito; quel
vecchio che menava il cavallo a cavezza; facevano un vedere assai pittoresco:
ma l'occhio d'uno spettatore gentile, sarebbe rimasto fisso su Bianca, la quale
tenendo nella sua la mano di Margherita; tinta d'un rossore leggerissimo in viso,
stava sul ciglio dell'aia, dinanzi la palazzina; e pareva davvero una delle
donzelle dei tempi antichi, nel punto che a piè del castello paterno
accoglievano il corteo, venuto d'un altro feudo, a chiederle spose.
L'Alemanno si scoperse
il capo, e fece un passo verso di lei, per chiederle scusa d'aver tanto osato;
ma come colui che giunto su d'una vetta altissima veda il mare improvviso, ed
esclama «infinito!» così egli sclamò: «Bianca!» poi tra pel patimento e pel
travaglio del cuore, non vide più che un gran buio, vacillò e svenne. Felice se
in quel momento avesse inteso il grido sfuggito alla fanciulla; chè sebbene
fosse di pietà, l'avrebbe creduto d'amore: ma bisognò portarlo sulle braccia
nella palazzina, e come corpo morto fu deposto sul letto del signor Fedele.
Durò in quello stato,
che nulla giovò spruzzarlo d'acqua o dargli aceto a fiutare, quanto padre
Anacleto ebbe tempo d'andare al convento, e tornarne accompagnato da un laico;
il quale recava un cestellino pieno di bende e di barattoli, che pareva un
barbiere. Messosi all'opera in pochi momenti ebbe sfasciato il braccio
all'Alemanno, e si vide la ferita sopra il gomito, che pareva una zannata di
tigre. Il signor Fedele nascose il viso tra le mani, per non dar degli occhi in
quella piaga; e al colore delle carni e al sito che cominciavano a mandare, il
frate rimase sgomento. L'Alemanno guardava tranquillo; e i figli del cascinaio,
che correvano dalla camera alla sala per quel che bisognava; dicevano alle
fanciulle intente a far filacciche, lo spettacolo compassionevole della ferita.
Esse tenendo a fatica i singhiozzi, chiedevano alla zia, qual santo si suolesse
pregare, in simili casi.
«San Lazzaro, San
Bastiano, tutti i Santi! ma lasciatemi in pace!» rispondeva la cieca: e le
fanciulle, massime Bianca, tacevano intimorite. Essa cominciava a
raccapezzarcisi, in quella faccenda: e mentre era donna da aver compassione
d'un moscerino, per quello straniero tribolato non provava punto pietà.
Mezz'ora di poi, il
barone medicato, lasciato solo a riposare nella quieta oscurità di quella
camera, pensava alla sua casa, al mestiere travaglioso dell'armi; e facendo
proposito di smetterlo a guerra finita, si poneva a piene vele nei lunghi anni
di amore e di pace, che avrebbe vissuti con Bianca.
Porgeva orecchio al
bisbiglio che veniva dalla sala, e si studiava di scernere la voce di lei. Là
il signor Fedele, lieto come un bambino alla mammella, fantasticava sopra
l'Impero d'Alemagna, che quasi gli pareva d'averlo in casa: il padre Anacleto
si pavoneggiava, guardato da Bianca reverente e pensosa: Margherita vicina alla
zia pigliava da lei la malinconia taciturna: e di fuori s'udiva il cascinaio,
il quale ammaestrato dal servitore, governava il cavallo del barone; con un
occhio alla bestia, e l'altro allo scudiscio, che il vecchio teneva in mano.
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