CAPITOLO XIV.
Se in casa alla signora
Maddalena s'era vegliato in quella notte assai al tardi; a C... in casa al
signor Fedele, non tutti avevano dormito: e il sole spuntando bellissimo,
visitava con uguale sorriso l'uno e l'altro villaggio, salutando la madre di
Giuliano tutta cordoglio, e il padre di Bianca affaccendato, come un
maggiordomo di famiglia doviziosa, che abbia corte bandita.
Egli aveva ricondotte in
C... le figlie e la cognata da sola una settimana; perchè dal giorno in cui don
Marco e il padre Anacleto, s'erano bisticciati nella sua palazzina, e Bianca
aveva detto apertamente al primo, d'essere disposta a fare il volere del padre suo;
egli adagiato nelle dolcezze della campagna, s'era dilettato a colorire i
disegni che aveva nel capo. Di piàti e d'ogni altro negozio dell'arte sua, non
si era più dato pensiero, contento di quello che teneva tra le mani
grandissimo, il matrimonio di Bianca coll'Alemanno.
In verità questi due,
guariti l'uno del corpo e l'altra dello spirito, mostravano oramai d'aver
fretta; ne sarebbe bisognato di sapere i discorsi, o di badare alla
rallegratura, che il viso della fanciulla pigliava sempre più viva; per
indovinare come ogni giorno fosse atto ad essere vigilia di quella festa, che
alle volte pone l'uomo dentro al tempio della Felicità, e alle volte gli fa
sbattacchiare in faccia la porta di questa Dea.
A misura che la festa si
appressava, damigella Maria pareva restringersi con Margherita, tanto da fare
con essa una sola persona annuvolata e taciturna. Essa aveva fatto come colui,
che vedendo pieno di crepe il muro della propria casa, s'industria di tenerlo
ritto con puntelli d'ogni sorta; e tira innanzi dall'oggi al domani, finchè vi
rimane sotto schiacciato. Messa in disparte l'idea d'andarne di casa al
cognato; quetatasi nella promessa che l'Alemanno non avrebbe menata Bianca
lontana; s'era acconciata a vivere là dentro, dove tutto pareva farsi a suo dispetto.
Il signor Fedele, poneva ogni cura, a non darle appicco di tornare a mezzo con
quell'idea; badava bene a non capitarle tra' piedi; e le lasciava volentieri il
sollazzo della compagnia di Margherita, in cui la poveretta aveva posto la
vita. Così a poco a poco, tra lo starsi e l'essere tenute in disparte, in
quella faccenda del matrimonio; esse erano divenute a Bianca quasi straniere.
Questa poi, dal dì che s'era chiarita ben disposta verso l'Alemanno, non aveva
riparlato dieci volte con esse. Occupata di sè, delle cose nuove che si vedeva
intorno, e delle tante che sapeva immaginare con quella sua fantasia,
riscaldatale dal padre e dal fidanzato in mille guise, si reputava felice; e
vedendo esse accorate faceva spallucce, e diceva tra sè che nelle loro
malinconie, non aveva a vedere nulla. Le cansava con accortezza, e quando non
era col fidanzato, col babbo amorevolissimo, o col padre Anacleto che veniva
nel borgo a visitarla; se ne stava nella propria camera soletta; non come la
primavera addietro afflitta, taciturna, stanca di tutto; ma intenta ad aprire e
a rinchiudere, cento volte, i cassettoni del suo canterano. E pigliava diletto
a cavare e a riporre uno dopo dell'altro, vezzi d'oro, e monili e collane; e
poi sete, e trine, e vesti, e pettini, e reticelle, e guanti di ogni colore e
di molta spesa. Sovente aprendo una scatola di lavoro sottile, che era da per
sè una galanteria, ne cavava certi fiocchi di piume di cigno, e accostandosi
allo specchio, s'impolverava peritosa un po' di capelli sulla fronte, e un po'
di gota; e rimaneva a guardarsi nella spera, come per vedere se incipriata
tutta la testa, sarebbe parsa più bella. Oh! se la mala ventura, che poneva
Giuliano a sì dure prove per amore di lei, l'avesse portato a vederla solo una
volta, in quelle opere solitarie; che sì ch'egli avrebbe cacciato presto dal
cuore l'affetto a quella bellezza! E se le memorie prepotenti le riconducevano
alla mente quel giovane scolare del terrazzino, quella donna che tre mesi prima
l'aveva baciata in viso: se pensava al dolore in cui forse vivevano per essa;
faceva come pel cordoglio della zia, si stringeva nelle spalle e pareva dire:
«che colpa ci ho io?» Buon per lei che don Marco non appariva più alle finestre
rimpetto; perchè da parecchio tempo si era andato a ricoverare in certa sua
casuccia sui monti, dove lo rivedremo; ma se egli fosse stato nel borgo, le
avrebbe qualche volta dato ad intendere con un solo sguardo, quanta era la
colpa che essa aveva nei dolori, sofferti dalla signora Maddalena e da Giuliano,
per cagion sua. Tuttavia, essa non se ne sarebbe doluta molto, assordata come
era dalle ciance degli adulatori; i quali sparsasi la voce del matrimonio,
erano corsi a congratularsi a lei; e gli ufficiali Alemanni, amici del
fidanzato erano stati i primi. Costoro usavano con essa i portamenti più
rispettosi; e quello stesso generale che aveva rimbrottato il fidanzato,
dandogli i fogli della licenza giunta da Vienna; s'era rabbonito con lui per la
bella maniera, con che aveva toccata la sua ferita, e per la bellezza della
fanciulla, che francava la spesa del suo amore. La prima volta che l'aveva
veduta, le era entrato di Vienna, di Corte, dello stato che l'attendeva: e
Bianca d'allora in poi, s'era sentita crescere l'orgoglio e i desideri; e
l'animo non aveva più cessato di farle dentro come vi avesse un pavone. E già
non poteva più reggere a stare in quella casa, che le pareva umile da averne
vergogna; e pur d'andarsene si sarebbe acconciata a partire di notte, senza
dire addio a niuno, col suo Alemanno; il quale non era più per lei, l'uomo a
prima giunta tanto spiaciuto. A farlo bello agli occhi di lei avevano anche
giovato le minute dicerie e i motti delle zitelle del borgo; motti e dicerie,
che raccolti con cura dal padre Anacleto, le venivano nell'orecchio come prove
dell'altrui invidia. Così tra i benevoli e i malevoli, la preparazione di quel
matrimonio fu un lungo epitalamio, che finì nelle dolci parole con cui Bianca e
il fidanzato, fissarono per le nozze il primo giorno d'agosto; quello stesso in
cui Giuliano si sarebbe ridestato nel proprio letto di D.... chi sa con quali
propositi nell'anima offesa.
Il signor Fedele, aveva
dormito poco la notte, e sin dall'alba si dava attorno con un nugolo di
fantesche e di servitori; tolti in casa lì per lì, tanto che la faccenda della
festa e del convito fosse mandata innanzi per bene. Le signore del borgo, anco
quelle che del matrimonio avevano parlato più da maligne, andavano e venivano
profferendo a Bianca i loro servigi; l'una per essere stata l'amica di quella buon'anima
della signora Costanza; l'altra perchè in fatti di così gran conto s'era
sentito ribollire nel sangue la parentela; le più per quello assillaccio della
curiosità, in certe donne sì vivo, che tu le trovi dovunque tu vada, a festa, a
funerali; ora prefiche, ora pronube; sempre colle labbra mosse in guisa, che tu
non sai se siano per dirti una parola d'augurio, una di compassione, oppure una
facezia.
Bianca stava in una
stanzetta che le teneva luogo di spogliatoio. Non aveva fatto altro in tutta la
mattinata che aprire cofanetti e cassettoni; sturar boccettine d'acque odorose
e spruzzarsene; si provava anella e pendenti di grandissimo costo, braccialetti
e collane; e già molto prima dell'ora fissata, essa era pronta per andare in
chiesa. Fattasi dinanzi ad uno specchio, che il fidanzato aveva fatto portare
sin dalla lontana Venezia, stette un tantino a contemplarvisi piena di
ammirazione per la grande bellezza che si sentiva in tutta la persona; poi
piegando il collo verso le signore che l'avevano aiutata a vestirsi, disse
altera come una regina:
«Ora possiamo andare.
«Ma lo sposo?» - chiese
una di quelle dame.
«O che modo è questo di
farsi aspettare?» - sclamò Bianca, battendo dalla stizza l'ammattonato col
piede, che fu visto in quell'atto, chiuso in un scarperotto di raso bianco,
stretto fin sopra la noce, da un intreccio di cordelline di seta, le quali si
scernevano sulla calza, traforata e di sottilissima fattura. E così dicendo
cavò dalla cintura un oriolo tempestato di gemme, che mandavano dalle mille
faccette certi raggi, i quali somigliavano ai lampi onde brillavano gli occhi
di lei, per la collera cui s'era levata.
Le donne s'ingegnarono
di quetarla; ed una di esse, a consumare quell'altr'ora che rimaneva, prese a
narrare, interrotta presto dall'altre, i matrimoni illustri, che ai loro giorni
avevano veduti celebrarsi nel borgo. Bianca, messasi a sedere, ascoltava; e
proseguiva a vagheggiarsi nella spera, facendo paragone di sè colle spose,
delle quali sentiva dire.
Frattanto il signor Fedele
aveva finito di far apparecchiare la mensa, in quella sala istessa, dove alcuni
mesi prima, la signora Maddalena s'era intrattenuta con lui. I convitati
dovevano essere molti, epperò lo studio per far posto a tutti, era stato assai
lungo. Il vasellame di stagno forbitissimo, le bocce, le guastade, facevano un
bel vedere sulla tavola foggiata a ferro di cavallo, e coverta di tovaglie
tessute ad opera, candide che avrebbero rimessa la voglia in un ammalato agli
sgoccioli. Le dipinture della Samaritana al pozzo, e della scala di Giacobbe,
con tutte le altre anticaglie, erano state tolte; e la sala parata a nuovo non
pareva più quella d'una volta, neanco per l'ampiezza, tanti erano gli arredi, e
tale il bell'ordine con cui ve gli avevano assettati. Arazzerie e festoni
d'edera, appiccati ai travicelli del soppalco ed alle pareti, formavano sopra
la tavola una sorta di padiglione, che accordandosi coi trofei composti
dall'organista del borgo, parevano insieme simboli delle nozze tra il guerriero
e la montanina.
La povera Margherita
provava di tutto quello sfoggio uno sgomento che non le lasciava aprir bocca; e
dopo d'aver aiutato il babbo in quelle opere, non le era parso vero che questi le
comandasse di andarsene in camera alla zia; perchè essendo zitella, gli usi del
paese non le concedevano di stare alla festa. Essa non se lo fece ridire, e
passò da damigella Maria; la quale s'era posta a letto per ammalata, tanto da
non essere costretta a sedere a mensa, quel giorno ch'essa stimava più tristo
d'un funerale. Raccolta là dentro con essa, Margherita le raccontava le cose
vedute in casa; e di quei racconti la cieca sentiva una molestia, come fa la
malaria a chi cammina per luoghi palustri.
«Vengono, vengono!»
sclamò a un tratto la fanciulla rimescolata.
«Allora tu non ti
muovere più di qui; e mentre andranno in chiesa, noi ce ne staremo coll'anima
di tua madre, che certo a quest'ora è con noi. Pregheremo che campi almeno te
da queste cose; inginocchiati e metti la tua faccia qui sul guanciale, vicina
alla mia.»
Così dicendo, damigella
Maria, da seduta com'era, si distese, e coll'imboccatura delle lenzuola si
coperse il capo per non udire.
Su per le scale,
venivano con allegri clamori, ufficiali alemanni, signorelli e dame; e
passavano con belle cerimonie nella stanza, dove il signor Fedele soleva dare
il suo ballonzolo in carnevale. Ivi i parlari gai, le piacevolezze gentili, si
mutarono in un bisbiglio d'ammirazione all'aprirsi d'un uscio; d'onde tra le
portiere verdi, fu vista apparire candida e sfavillante come un fiocco di neve,
di faccia al sole; franca di passo, accompagnata dalle signore che l'avevano
vestita; quella Bianca felice, alla quale, pochi mesi prima, un pittore avrebbe
messa in mano una palma, e in capo una corona per ritrarre una martire. Adesso
un pèttine di gala raccoglieva quelle sue treccie, altra volta annodate così
modestamente; e da esse, impolverate e acconciate, come se Lucifero vi avesse
posta la mano, si spiccava un velo bianco trinato, che le scendeva giù pel
collo, ornato d'una doppia filza di perle; e lambiva le spalle ignude e belle
come d'un torso di quelle statue, che si scoprono scavando le terre del genio e
del sole.
Per poco non fu uno
scoppio d'applausi. Quei soldati stranieri, usi alle corti, potevano aver
veduto qualcosa di uguale; ma i convitati del borgo non avevano visto nulla mai
che somigliasse a quella bellezza, la quale si spandeva da tutta la persona di
Bianca; e pareva, come una gran luce, ornare di qualche parte di sè fin la più
vecchia delle donne, che la circondavano silenziosa e sorridente.
Allora l'Alemanno si
fece innanzi, tenuto per la mano dal suo generale; che vecchio ed arzillo,
somigliava ad uno sparviero un po' spennacchiato, che si volesse divorare la
colombella che aveva in faccia. Il fidanzato, ricuperata intera la sanità,
aveva ripigliata quell'aria altezzosa e fiera, di cui la signora Maddalena
s'era sentita turbata, quel giorno che l'aveva incontrato per le scale del
signor Fedele. Ma la gioia donde era impresso ogni suo sguardo, ogni suo moto,
lo faceva parere men duro; e per Bianca, all'ora che correva, non v'era uomo
sulla terra più bello di lui.
Il generale, poichè ebbe
detto alla donzella, che facesse stima di vedere in lui il padre dello sposo;
pose le loro mani, l'una in quella dell'altro, e pronunziò queste parole,
studiate parecchie ore, e mandate a memoria:
«Questa è la prima volta
che m'accade una ventura di questa sorta. Signor Barone, se io avessi
quarant'anni di meno, e fossimo ai tempi dei tornei, vorrei chiedervi di
rompere meco una lancia; adesso non posso che applaudire, e narrare poi quando
saremo tornati nel nostro paese, che quassù delle ferite ne toccaste due; una
nel braccio, l'altra nel cuore. Che siano state toccate bellamente, diranno i
vostri commilitoni per quella del braccio; per quella del cuore, chi vedrà la
vostra Bianca, non avrà bisogno di testimoni. Ora, se vi pare tempo, andiamo in
chiesa.
«Prego, un momento! -
sclamò il signor Fedele, fra il giocondo bisbiglio, suscitato dalle parole del
generale; - liberemo alla salute degli sposi, ai quali siano propizi i destini,
e le loro Maestà l'imperatore d'Austria e il re di Sardegna nostri sovrani!»
Allora andò attorno un
vassoio coverto di bicchieri colmi d'un liquore sì limpido, che pareva fosse
rimasto imprigionato in ognuno di essi un raggio di sole. Tutti ne presero,
salvo che Bianca e lo sposo, i quali dovevano ancora comunicarsi; e fu un
tintinnio che venne inteso dalla via, e fece accapricciare il cuore di
Margherita, che assettò meglio il lenzuolo sul capo della cieca affinchè non
sentisse.
Poi le dame si presero
Bianca in mezzo; e gli uomini dietro di loro discesero con esse le scale.
V'era alla porta una
lettiga sontuosa, che l'Alemanno aveva fatto pigliare a nolo nella vicina
Savona; e quattro lettighieri in abito di gala e a capo scoperto, attendevano
ognuno al suo posto. Bianca che non sapeva di quella pompa, ne provò a vederla
tanta maraviglia, che non s'avvide neanche delle centinaia d'occhi, dalle
finestre, dalle porte, dalla via affollata; intenti, come dardi incoccati,
sopra di lei. Un drappello di soldati Alemanni, faceva siepe alla lettiga,
perchè il popolo non la investisse; la sposa fu messa dentro di quella con una
delle dame, e subito si sentì levata da terra e portata. Un suono di strumenti
scoppiò improvviso ed allegro; le campane di tutti i campanili del borgo,
s'accoppiarono a quel suono martellate a festa; e lo sposo e il corteo mossero
in bell'ordine, dietro i lettighieri.
Quante fanciulle
affacciate alle loro finestre, si saranno ritratte, a quella vista, stizzite;
prorompendo in accuse contro sè stesse, e contro i parenti, che non avevano
saputo procacciare anche ad esse sì bella sorte! Quanti garzoni si saranno
sentiti umiliati, pensando alle loro fidanzate, cui non avrebbero potuto recare
tanto fasto; e che forse in quell'ora facevano nel secreto dell'animo,
indiscreti raffronti!
Dietro al corteo
incalzava la folla popolare e quando la lettiga s'arrestò a piè della scalinata
della chiesa, questa fu stipata come fosse la domenica dell'ulivo. L'organo
riempiva le volte delle sue armonie; ma per quanto la mano del suonatore si
studiasse di trovarle festose, non veniva a capo di cavarne una, che non fosse
impressa di malinconia. Perchè sebbene fosse un povero organista, le sue
segrete fantasie le aveva anch'egli: e forse non gli pareva giusto, che quella
giovinetta si sposasse, per andarsene chi sa in qual terra così lontana, che
non sarebbe più mai tornata a udirlo suonare, neanco nella sagra del Santo
patrono del borgo.
Al primo passo che mosse
dentro la chiesa, Bianca rimase tocca da quei suoni e impallidì per modo, che
una delle dame a lei più vicine, le chiese se per avventura la veste le
stringesse troppo la vita, e se si sentisse male. La giovane sorrise, senza
rispondere; ma quando si vide giunta al banco parato di damaschi rossi, dove
s'aveva a inginocchiare, le parve d'aver fatto un grandissimo acquisto, perchè
si sentiva venir meno. Si pose ginocchioni coll'Alemanno, che le venne allato;
appoggiò i gomiti sui cuscini gallonati, raccolse nelle mani la fronte, e
stette ad ascoltare quel suono d'organo, che sembrava avesse a dirle qualcosa.
Oh! le ne aveva a dir tante, che nè Giuliano, nè la signora Maddalena, nè don
Marco, avrebbero potuto di più. Quelle armonie erano un linguaggio noto ed
inatteso, che trovava le vie del suo cuore, meglio d'ogni più dolce, o più
acerba parola. Pareva che gli angeli del cielo, ai quali nei primi tempi
dell'amor suo per Giuliano, aveva parlato colla fantasia tante volte, si
librassero tutti sotto le arcate della chiesa, e ognuno le ridicesse ad alta
voce, i pensieri mesti o lieti, che essa usava confidar loro che li portassero
allo scuolare di don Marco. Cadde a poco a poco, in siffatto accoramento, che
se l'Alemanno l'avesse potuta vedere in viso, da quell'uomo leale che egli era,
le avrebbe chiesto se fosse pentita. Ma in quella il tintinnio di un campanello
annunciò che entrava la messa; e dall'uscio della sagrestia fu visto il
sacerdote, parato con gran fasto, andare all'altare con passi gravi, e cogli
occhi bassi: maestoso, che pareva portare in mano le sorti dell'universo. Egli
diede uno sguardo verso il banco degli sposi, inchinò il crocifisso inalberato
sopra l'altare, salì i gradini, e incominciò il suo ufficio; mentre la
moltitudine s'inginocchiava con un rumore sommesso e diffuso.
Quel sacerdote era il
padre Anacleto. Il quale,avendo condotto Bianca a quel passo, si poteva dire,
per le dande; per compiere l'opera s'era procacciato l'onore di dire la messa
dello sposalizio. E sebbene i preti del borgo glie lo avessero conteso,
riputato com'era ed esperto ad uscir d'ogni passo, egli aveva ridotto il
parroco a farlo pago di quel suo desiderio.
Bianca sapeva come il
celebrante avesse ad essere lui; ma assorta in quelle voci misteriose della
fantasia, non lo vide entrare. Però quando la parola sonora e profonda del
frate, si mescolò a quell'altre che udiva essa sola; le parve un aiuto che
capitasse valido ed opportuno, si segnò e levò la fronte. Che valevano quelle
note dell'organo, e quegli angeli della sua immaginazione? Non era vicino a lei
il padre Anacleto, la cui voce, nell'orare si levava ora ai tuoni più alti, ora
scendeva ai più gravi; quasi di persona che parli un po' al cielo un altro poco
alla terra? Così man mano che s'appressava il momento d'andare alla
balaustrata, sentiva qualcosa che la staccava per sempre dal passato; qualcosa
come a dire la mano che tronca la gomena, e scioglie la nave affinchè pigli
l'alto a golfo lanciato.
Costumava anche su quei
monti, che una zitella andando a farsi chiedere dal prete se fosse contenta di
sposarsi al suo fidanzato; vi si facesse accompagnare da un cugino o da altro
congiunto, il quale era quasi un testimone del parentado, contento di dare una
delle proprie donne, ad un uomo d'altra gente, che la facesse sua. Bianca aveva
dietro di sè questa sorta di ministro del sacrificio; il quale quando vide
essere venuto il tempo della cerimonia, la prese per una mano e la condusse
alla balaustrata, mentre l'Alemanno vi si fece condurre dal generale. Là
s'inginocchiarono di bel nuovo, e tutto il corteo fece corona intorno ad essi.
Il frate spiccatosi dall'altare, accompagnato da una moltitudine di preti che
recavano torce accese, venne verso di loro. E per la chiesa era un silenzio
solenne; la moltitudine si premeva e ondeggiava; si vedevano le teste degli uni
sporgere sulle spalle degli altri, e molti salire ritti sui banchi, e i monelli
arrampicarsi alle colonne; intenti tutti a raccogliere le parole del frate e il
sì che doveva uscire dalle labbra di quegli sposi beati.
I quali furono
comunicati dal frate, in quella cerchia d'amici, che li nascondeva agli occhi
del popolo; poi a un cenno di chi sa chi, l'organo tornò a suonare a gloria; fu
vista la mano del padre Anacleto, alta sulle teste dell'Alemanno e di Bianca,
in atto di benedire; questi si levarono, baciarono quella mano, diedero di
volta, e scendendo da quei gradini, la sposa ebbe cuore di guardare la
moltitudine sino in fondo alla chiesa. Oh! se l'Alemanno non prometteva invano,
essa si sarebbe vista ammirata tutta la vita, come in quel momento. Le
scintillava in dito una gemma di tanto prezzo, mèssale pur allora dallo sposo,
che le pareva d'essere stata inannellata con una stella; un'altra gemma le brillava
in fronte a mo' di diadema; ora la sua fantasia poteva spiegare i voli sicura;
essa si riputava davvero la castellana del suo borgo natale! Che più? Un coro
di fanciulle tutte di men che dieci anni, vestite di bianco, si fece dinanzi
agli sposi cantando un inno cavato dalla Cantica di Salomone; e celebrando la
beltà e l'amore di Bianca con quelle ardenti parole, facevano far largo alla
folla sino alla porta del tempio, perchè il corteo potesse uscire. Quando
questo fu sulla soglia, i suoni, le grida, gli applausi proruppero altissimi: e
l'Alemanno che si menava al braccio Bianca ormai sua, aveva l'aspetto d'un
eroe, che traesse seco, dalla vittoria, il premio invidiato d'una regina
prigioniera volonterosa.
La lettiga non era più
alla porta della chiesa, perchè gli amici e i convitati del signor Fedele,
volendo mostrare l'allegrezza che quel matrimonio spandeva nel borgo, l'avevano
fatta portar via; costringendo in questa guisa gli sposi a lasciarsi ammirare.
E durante la messa, spacciati fanciulli nei prati e negli orti, e garzoni nei
boschi vicini a sfrondar alberi; avevano fatta la fiorita per la via, e parati
di fronde i muri delle case, come usava nella festa del Signore. Di che
l'aspetto del borgo, pigliava dalla chiesa alla casa del signor Fedele, una sì
bella e nuova allegrezza, che l'Alemanno ne fu lietissimo, e all'anima sua
parve di inoltrarsi in una primavera, promettitrice di dolcezze infinite.
Procedeva a piedi con Bianca allato, calpestando quei fiori, che a lui potevano
sembrare emblemi di piaceri passati, a lei di affetti posti in oblio; ed
ambedue bisbigliavano parole d'amore, verecondi in vista, fra gli evviva del
popolo, e la grave andatura dell'accresciuto corteo: che lasciatosi alle spalle
il clamore festoso della turba, rifece alfine le scale del signor Fedele.
Ultimi tra i convitati capitarono i preti del borgo, col padre Anacleto,
inchinato, lodato, atteso a dare il cenno, pel quale tutti pigliarono il loro
posto alla solennità della gola; e se il signor Fedele avesse avuto in mano un
turibolo, avrebbe incensato tre volte e quattro lui, che sedutosi in mezzo agli
sposi, governò coi cenni e coll'esempio l'olimpico pasto.
Mangino e bevano i
bicchieri arrubinati; ma almeno le loro allegrezze, non giungano nella stanza
di damigella Maria. Essa e Margherita se ne stavano come due meschine, senza
parenti nè amici al mondo, relegate dalla sventura in luogo solitario. Le voci
e le risa dalla sala del banchetto, le percotevano come ventate furiose; e a
misura che cessavano o tornavano a suonare, esse ripigliavano le loro querele.
«Ma tu, Margherita, non
farai come Bianca no, nevvero? - diceva la cieca cercando colla sua mano
attenuata e scolorita il capo della fanciulla. E questa non ebbe tempo di
rispondere, perchè appunto uno scoppio di applausi fragorosi, le fece morire la
parola sulle labbra. La cieca levò un istante il capo dal guanciale, porse
orecchio quasi spaurita, poi rimettendosi a giacere, parlò basso a Margherita.
«Mi pare che si debba
essere vicini al tramonto...?
«Sì - disse la fanciulla
- il sole batte appena nel comignolo della casa di don Marco.
«Tua madre è morta a
quest'ora.»
E i convitati a
quell'ora erano ai brindisi del padre Anacleto; il quale aveva provocato quegli
applausi con un primo discorso; e tutti avevano bevuto con lui alla salute
degli sposi, cui pregò tante gioie e tanti figli, quante erano stelle in cielo
e arene nel mare, stile da frate.
«Ora un secondo
brindisi! - tuonava egli colla sua voce, fatta più poderosa dal vino e
dall'umore allegro: - un secondo brindisi, e sia alla Francia immattita!
«Oh! - sclamarono i
commensali interrompendo il frate con grandi risa: ma egli guardato un poco in
viso ai più arditi; con occhi scintillanti, e reggendosi alla spalliera della
sua scranna, proseguì sullo stesso tono:
«Sissignori! un brindisi
alla Francia matta e ai suoi giacobini! Mi spiego. Se non fossero state le
pazzie dei Francesi, questi gran gentiluomini sarebbero venuti quassù? No? E
allora la coppia felice, in mezzo a cui seggo indegnamente, sarebbe? Giacobini alla
vostra salute; non in questo, ma nell'altro mondo, se Dio vi perdonerà...!»
E fra un nuovo urtarsi
di bicchieri, e un nuovo erompere di voci, bevve l'ultimo sorso che gli colmò
la misura. Allora sentendosi la testa lì per andare in volta; prese commiato da
Bianca, dallo sposo, e dalla comitiva, dando la mano a baciare a tutti, salvo
che ai preti.
Lui partito, durarono i
ricreamenti e gli allegri parlari, finchè alcuni cominciarono a provar noia,
altri desiderosi d'una boccata d'aria s'affacciavano alle finestre, andando e
tornando con uno scarpiccio irrequieto. Gli ufficiali tastavano le loro pipe,
bramosi di farle fumare; Bianca aveva negli occhi l'agonia d'andar fuori; di
che non si stette guari a far parola d'uscire a diporto.
Lasciamo che si apparecchino,
che si liscino, che partano a due, a quattro, come loro verrà bene; e vadano a
godersi il fresco della bassa ora, o lungo i prati oltre il torrente, o sotto i
filari d'olmi, sui quali cantano più felici di loro, i passeri a migliaia.
Salgano a loro talento in castello, a rifare colla mente il vasto edificio; e
Bianca si pasca di sogni, e colla fantasia vegga sè stessa seduta al balcone
marmoreo, come le aveva insegnato a figurarsi il padre Anacleto. Noi
raggiungeremo questo, chè alla maniera in cui si è veduto partire, qualcuno non
se lo avesse a immaginare barcollante, sulla via del suo convento.
Egli aveva veduto il
fondo a molti bicchieri; ma la sua natura, era da non lasciarlo correre oltre
un'ebrezza discreta. E se dava il primo alla sete, il secondo al piacere, il
terzo all'allegria; avrebbe da poi potuto dare altri venti bicchieri allo
stomaco, senza che gli accadesse di perdere la tramontana. Ma fosse anche stato
a questo segno, non gli sarebbe seguito alcun male. Perchè s'aveva procacciata
la compagnia di quattro giovani di buon casato, suoi penitenti; i quali, sul
vespro, andando a zonzo fuori del borgo, s'acconciarono di buon grado a fargli
servigio.
Tra la via da C.... al
convento, non rifiniva di lodarsi della maestria, con cui aveva condotto a
termine quel parentado; del quale si sarebbe parlato lunghissimi anni in tutta
la vallata; e dicendo era così lieto, che i quattro credevano ogni tratto, di
vederlo buttarsi in terra, a far capriole. I foresi che tornavano dai vespri,
colle bisacce ricolme di carni e di spezierie, pei desinari che solevano
imbandire l'indomani, (essendo quel giorno la vigilia della Madonna degli
Angeli, festa dei Minori Osservanti13, e di tutta la vallicella dove
sorgeva il convento); vedevano la brigata giuliva e ridevano, allentando il
passo o affrettandolo, per rispetto a quei personaggi, nella gioia dei quali
parevano avere anch'essi una particina. Padre Anacleto salutava alla buona; e
via così accompagnato e riverito giunse al convento, se non sano, salvo.
Il cielo, a ponente, era
colorato di quelle tinte, che i pittori chiamano calde; e parlano all'anima di
tante cose dolci; e fanno parere che il sole, tramontato a malincuore, sia lì
sempre per riapparire. Al po' di luce riverberata dai tufi grigi dei colli che
sorgevano di faccia al convento, il campanile spiccava nella selva scura che
aveva a ridosso, e l'intiero edificio biancheggiando, faceva così placido
invito, da invogliare della sua quiete il più felice uomo del mondo.
«Ed ora che mi avete
accompagnato, ve ne vo' dare un bicchiere, che mi direte come lasci l'ugola.»
Così disse il padre
Anacleto, facendo atto di mettere i quattro giovani nel chiostro. E come questi
si schermivano e mostravano di non voler entrare:
«No, no.... nessune
cerimonie! - soggiungeva - qui comando io: e giacchè i padri stanno cenando, ed
io per questa sera non ho nulla a vedere coi loro radicchi; così vogliamo fare
tra noi un brindisi a questi colli, che danno i vini deliziosi; e ai contadini
che mi portano quanto basta, per fare un po' d'onore ad amici quali siete
voi....
«Ma padre, - usciva a
dire uno della comitiva: - non per rifiutare no, non vede? fa notte, e a C....
siamo aspettati....
«Al ballo degli sposi,
nevvero? - sclamò ridendo il padre Anacleto: - eh! via, peccatori, farete
sempre a tempo a mescolarvi coi diavoli; sì coi diavoli! Chi sta a vedere le
danze n'ha in corpo almeno un paio, chi danza, sette od otto. Pensate figliuoli
a quel che dei balli, dice San Giovanni Grisostomo; pensate che passare per
scortesi, selvatici, poco amanti della compagnia, non vuol dire: e anche quando
sarete violentati ad andare ai balli, pensate che San Francesco di Sales
consiglia di metterci sassolini nelle scarpe, acciò quel dolore, che essi danno
ci faccia ricordare dei tormenti dell'inferno! Entrate, figliuoli, che se mi
spazientizzo, vi tengo prigionieri, e predico tutta la notte!»
Con questa piacevolezza,
pigiati attraverso la porta, i quattro giovani furono nel chiostro; e per una
scala angusta, in un corridoio di sopra, in capo al quale era la cella del
padre Anacleto, dove entrarono uno dopo l'altro. Ultimo, il frate chiuse
l'uscio a due mandate, e levata la chiave dalla toppa, se la cacciò sotto la
tonica, forse nella saccoccia delle brache, sclamando:
«Animo! Ora, tirate in
mezzo quel tavolino, a modo... senza far rumore. Un momento, badate a non
mandarmi in confusione queste carte; v'è scritto il panegirico che dirò
domani...., v'aspetto ad udirlo. Animo dunque, con garbo, così! Tra tutti si fa
tutto...; dà una mano a questa panca, tu; e tu, accendi la candela; tò
acciarino, esca, zolfino.... oh! ora sta bene!»
Con questa sorta di
discorso, il frate alzò un lembo della coltre del suo lettuccio, e disse:
«vedete?»
Là sotto, in quella
mezza oscurità, rotta da un po' di luce che vi scendeva dalla candela, alcuni
fiaschi brillavano, come occhi di belve in una caverna.
«Oh! benedetti, -
urlarono i giovani a quella vista, correndo a fare intorno al letto una
genuflessione: ma il frate lasciando ricadere la coltre, zittì, rattenne il fiato,
e fece segno ad essi di rattenerlo. I padri venivano appunto allora fuori dal
refettorio, e v'era pericolo che udendo quell'urlare nascesse qualche gran
chiasso.
La campana del convento
suonava in quella l'avemaria a distesa; annunciando la festività dell'indomani.
Quella della parrocchia di C...., entrava anch'essa a mandare il suo saluto
alla notte: e a quei suoni s'aggiunsero subito quelli delle campane dei borghi,
poco lontani dal convento. Fra l'altre si discerneva assai bene quella di D...
a certo squillo, che imprimeva nell'aria una malinconia da far pensare
all'eternità. Quella sera gli squilli parevano lamentosi più dell'usato, al
padre Anacleto; il quale, se fosse stato uomo d'altro cuore, lasciati i fiaschi
dov'erano, e accommiatati gli amici; avrebbe piegate le ginocchia e giunte le
mani, chiedendo perdono al cielo, d'essersi immischiato in un matrimonio, che
ad un giovane allevato al suono di quella campana, aveva tolta la gioia forse
per sempre.
|