II
IN SAN BERNARDINO DEI
MORTI
Era la festa di Maria assunta
in cielo; l'ora in cui terminavano le messe solenni. Una folla
compatta usciva dalla porta maggiore di Santo Stefano e da quella,
vicinissima, di San Bernardino.
Il piccolo sagrato e quella
parte della piazza che lo circonda furono presto zeppi di gente.
Nel pigia pigia qualche
borsaiuolo seppe destreggiarsi, e qualche donnina strillò per
la sfacciata carezza di troppo avide mani.
I rivenditori di fiammiferi,
di stuzzicadenti, di funghi, di poponi, di cocomeri e d'altre cose,
collocati arditamente fin quasi alle soglie delle due chiese - con le
quali il mercato di piazza Santo Stefano vive in fraterna intimità
– approfittavano di quel concorso di gente per offrire la loro
mercanzia, vantandone il merito e il tenue prezzo, con insistenza
spaventevole. E i venditori d’immagini, di coroncine ed altri
sacri gingilli, stizziti di quella concorrenza profana, gridavano più
forte ancora.
Voci stentoree, voci rauche e
voci stridule gridavano senza riposo le loro eterne giaculatorie:
- Un soldo il mazzo!…
- …Tre soldi due
scatole!
- Bei funghi! Bei funghi!
- Oh, i bei rosari!...
Le donne, impallidite dalla
stanchezza, o rosse per l'eccitamento, venivano innanzi accomodandosi
i veli o gli scialletti che avevano in capo e dandosi una scrollatina
per mandare a posto le sottane con un movimento abituale e
rapidissimo.
Più in là, nel
largo della piazza dove il mercato coperto non era sorto ancora, le
pollaiuole, sedute sotto gli enormi ombrelloni, invitavano le
compratrici adulandole con appellativi lusinghieri; pronte poi a
sbeffeggiarle se il contratto andava in fumo.
La gente che transitava da via
Brolo verso l'Ospedale, o viceversa, poteva appena passare in mezzo
alle due selve di mercatini e alla folla che si sbandava cercando uno
sbocco, o s'aggruppava qua e là per discorrere.
Una giovane che veniva dalla
non lontana via di San Pietro in Gessate, e aveva dato una capatina
in via dell'Ospedale per certe informazioni che vivamente la
interessavano, apparve sulla piazza, e senza preoccuparsi della
ressa, la traversò diagonalmente, sgusciando con passo leggero
tra i banchi dei rivenditori e i crocchi dei curiosi; entrò
nel vicolo di San Bernardino, salì i due gradini a sinistra e
penetrò nella chiesetta - la terza del gruppo - dedicata alla
Vergine Addolorata, e nota comunemente col nome di «San
Bernardino dei Morti» per la sua truce decorazione macabra.
Per quanto rapida fosse
l'apparizione della giovane sulla piazza di Santo Stefano, non pochi
l'avevano osservata, poichè essa era una di quelle figurine
graziose, svelte e ben modellate, che non passano mai impunemente in
mezzo agli uomini.
Il vestitino di percallo
chiaro, attillato al busto, e il piccolo velo nero dal quale usciva
ad ombreggiarle la fronte una massa di riccioletti arruffati di un
bruno lucido, dicevano la sua condizione di popolana; ma nel medesimo
tempo dicevano la sua indole femminile piena di vivacità e di
una ingenua, istintiva civetteria. Ciò che specialmente la
distingueva era lo sguardo intenso di un paio d'occhi saettanti, di
quegli occhi provocatori che, pure quando guardano con indifferenza,
sembrano dire alla gente: «Amatemi!»
Del resto, non bellissima, e
già un po' sfiorita, sebbene non avesse che ventitré
anni; irregolare nei lineamenti, ma seducente per quella eleganza
nativa e quel non so che tra il birichino e l'affettuoso, tra
l'ingenuo e il procace, che affascina le fantasie, accende i sensi e
incatena i cuori.
Trasportata in un'altra classe
della società, innalzata sovra un piedistallo di lusso o di
galanteria, Luisa Terragni avrebbe potuto essere, secondo i casi, una
«stella del bel mondo» od una celebre etèra.
Nell'ambiente povero in cui si svolgeva, la sua vita non era certo
meno agitata, sebbene tanto più oscura e uniforme. In quella
mattina di agosto ella non avrebbe forse esitato a sacrificare tutta
la sua giovinezza, la vita intera, per un momento di sollievo; tanto
era oppressa e sgomenta.
Entrando nella chiesetta dei
Morti, Luisina s'inchinò e fece il segno della croce; poi si
guardò intorno e cercò di penetrare fin presso alla
balaustrata. Ma non potè subito, poichè la folla, già
densa, aumentava di minuto in minuto. La chiesuola sfolgorava di
luce; i lumini a olio, messi a un livello troppo basso, acciecavano.
Luisina restò un
momento interdetta, poi la folla stessa la portò avanti, a
sinistra, tra i banchi e il muro, presso alla balaustrata. Ella
s'inginocchiò subito sul pavimento coperto da un graticolato
di legno; chinò la fronte nelle mani, e restò come
annichilita nell'oppressura dell'aria soffocante e della interna
commozione. Intorno a lei era un bisbiglio di preci, uno strisciar di
passi, e il tintinnio monotono, insistente delle monete di rame nelle
due grosse borse da questua che due scaccini in lunga veste nera
agitavano continuamente presso alle orecchie dei devoti.
Sulle pareti laterali al posto
dei grandi piani e dei piccoli riquadri che nelle chiese sono
generalmente dipinti, nereggiavano in appositi scaffali, protetti da
graticci di filo di ferro, centinaia e centinaia di teschi
dissepolti, pazientemente allineati.
Altri teschi e stinchi
intrecciati con nastri dorati, seguivano le lesene, davano rilievo a
tutta la decorazione architettonica, e, illuminandosi qua e là
nei riflessi dei ceri e dei lumini, avevano luccicori ed ombre e
lividori raccapriccianti.
Ma la gente, avvezza a tale
spettacolo e compresa di devozione o di altri sentimenti, non vi
badava per nulla. Gli sguardi erano generalmente rivolti all'altare
dove la celebre Madonna di San Bernardino - scultura in legno a tutto
rilievo, rappresentante la Madre Addolorata prona davanti al corpo
morto del Divin Figlio – si mostrava ai devoti senza alcun
velo, protetta soltanto dal vetro della custodia, in mezzo ai ceri
ardenti, alle strane ornamentazioni, ai pendagli scintillanti, alle
banderuole, agli ex voto.
Le donne accorrevan per far
benedire le pezzuole, da conservarsi poi come reliquie capaci di
guarire qualunque malattia.
La «poveretta della
chiesa», donna sui sessanta, lunga e ossuta e dal viso arcigno,
ritta in piedi tra la balaustrata e l’altare, prendeva le
pezzuole che le venivano porte, le infiggeva in cima a una lunga asta
e segnava con esse una croce sul vetro miracoloso. Guardandola un po’
da lontano pareva che spazzasse via i ragnateli.
Ma questa non era la sola sua
occupazione. Di tratto in tratto, quasi regolarmente ogni due o tre
minuti, un devoto o una devota deponeva sulla cimasa di marmo della
balaustrata alcune monete di rame; guardava la donna, e aspettava.
Costei, senza troppo
affrettarsi, rendeva la pezzuola benedetta a chi di ragione, e
s’accostava al nuovo cliente: lo guardava un istante e
accendeva uno dei lumini preparati in piccole tazze di vetro
sostenute dai bracci di un viticcio metallico, innalzato a guisa di
decorazione sopra la balaustrata.
Appena acceso un lumino ne
spegneva un altro; e se due ne accendeva, due spegneva, con una
impassibilità automatica.
A volte però la sua
impassibilità si squagliava: nell’ombra fitta del
fazzoletto sporgente sulla fronte e legato sotto al mento, i suoi
occhi scintillavano di cupidigia se una moneta d’argento
brillava al posto delle solite monete di rame. L’apparizione
della Terragni, subito avvertita, destò essa pure una rapida
fiamma in quegli occhi d’avvoltoio. La vecchia stava appunto
discorrendo con un signore piuttosto maturo, ancora assai bell’uomo,
di giusta corporatura, azzimato; ma azzimato in modo di tradire il
mestiere in cui si era arricchito: per esempio, una catena troppo
vistosa sul panciotto di panno bianco; troppi anelli alle dita; una
spilla sfolgorante come un sole sulla cravatta di raso Pompadour, e
altri piccoli indizi di cattivo gusto. Più di tutto lo
rivelava lo sforzo visibilissimo di tenersi diritto e rigidamente
corretto al pari di una persona distinta, mentre al più
piccolo commovimento dell’animo, le sue braccia si agitavano
goffamente, e tutto il corpo prendeva una posa da garzone d’osteria
in attività di servizio. Ed era comico di vedere l’angoscia
che lo pigliava appena s’accorgeva dell’errore commesso,
e la precipitazione con cui cercava di rimettersi nell’ambito
contegno. La faccia, di furbo volgare, sarebbe stata tuttavia assai
piacevole, s’ei non l’avesse resa ridicola con quella
forzata espressione di uomo altezzoso e la caramella, che non gli
riesciva di tener ferma sull’occhio destro.
- È qui! –
mormorò la «poveretta» accennando al punto dove la
Terragni si era inginocchiata.
Il signore allibì, e
quasi temesse di essere veduto, subito si ritrasse, deponendo però
un pezzo da cinque lire sul marmo discreto.
La vecchia lo guardò
uscire, e col solito fare lento prese, la moneta e la fece sparire;
poi accese due lumini e due ne spense, andò a prendere due
candelette da un fascio che era lì da una parte, le infisse
nei candelabri, le accese e le portò sull’altare, ai
piedi della Madonna Addolorata.
Due o tre mani ansiose
porgevano i fazzoletti. Le appagò; accomodò ancora due
o tre lumini che languivano, e finalmente, come per caso, s’accostò
alla Terragni.
- Oh! Sora Rosa!… la
mia mamma è stata tanto male stanotte!… – E con
un filo di voce soggiunse: - Anche il bimbo va poco bene!…
Vorrei mettere due candelette sull’altare della Beata Vergine…
- Subito, figliuola!... Mezza
lira.
- Basta?
- Mezza lira l'una, s'intende.
La giovane cavò di
tasca una borsettina di pelle e cercò due mezzi franchi
perduti in un mucchietto di rame, poi li lasciò cadere
lievemente sul marmo, mormorando:
- Per il mio bimbo!... Per la
mia mamma!... Vorrei anche benedire questo fazzoletto...
La sora Rosa la servì
prontamente.
- Abbia fede nella Madonna e
tutto andrà bene.
- L'ha veduto?
-... No... domani!
E s'allontanò. Altri
devoti l'aspettavano; altre mani deponevano le monete di rame o
d'argento sul marmo della balaustrata.
Sempre nuova gente entrava
nell'oratorio, e sempre più insistente e ritmico diveniva il
tintinnio delle monete nelle grandi borse questuanti, sapientemente
agitate. L'aria si faceva irrespirabile; la fiamma delle candele
vacillava sull'altare miracoloso; i teschi e gli stinchi si
accendevano qua e là nei riverberi delle fiamme oscillanti.
Luisina rimaneva
inginocchiata, la faccia sepolta nelle mani, pregando con insueto
fervore, ma più con l'anima che con le parole, poichè
le sue labbra non facevano altro che ripetere:
- Oh! la mia mamma! Oh! il mio
bambino!... Madonna Santissima aiutatemi!....
Non si era mai trovata a tali
estremi. Per assistere la madre in una lunga malattia aveva dato
fondo a tutti i piccoli risparmi, e lavorato meno del solito: ora si
trovava senza denari e con un gravoso arretrato alla vigilia quasi
del «San Michele», termine funesto per tutti i poveri che
stentano a pagare la pigione: spaventevole per lei in quelle
circostanze. Ed un'altra più terribile angoscia l'assaliva.
Le notizie ch'ella andava a
prendere due volte il mese presso la levatrice che l'aveva assistita,
divenivano di volta in volta più gravi, allarmanti: il bimbo,
non più riveduto dalla nascita - cinque anni oramai - il
povero bimbo si consumava lentamente nell'orrida casa che invano sta
sotto il patronato di una gran santa. L'onesta levatrice diceva la
verità: se qualche mese passava ancona senza farlo uscire di
là, il piccino sarebbe morto. Oh se non fosse stata quella
malattia della mamma!... Se fosse stata sola..., avrebbe calpestato
ogni riguardo, e avrebbe ritirato il suo bimbo, senz'altro aspettare.
Ma come fare con quella benedetta donna che non voleva sentirne
discorrere, e sarebbe morta più presto, di vergogna, di
sdegno? Come fare, senza denari e alla vigilia di essere messa in
istrada, forse senza mobilia, dall'avaro padron di casa?...
Uno solo poteva aiutarlo...
colui che l'aveva resa tanto infelice. Se avesse mantenuta la sua
promessa... Ma non osava sperarlo.
Forse, nel suo cuore di donna,
senza osare di confessarselo, ella non lo desiderava neppure.
Quell'uomo già tanto amato, le era diventato odioso; e
soltanto per il bimbo avrebbe acconsentito a sposarlo... Ma non c'era
pericolo!... Oh, lo conosceva troppo bene; egli si rideva delle
promesse, dei giuramenti stessi. Ebbene, ridesse pure. Lei non
chiedeva che un aiuto per salvare il bambino dalla orribile morte che
l'aspettava. Alcune centinaia di lire sarebbero bastate; una miseria
per lui! Ella si sarebbe recata all'ospizio, avrebbe presa la sua
creatura, e l'avrebbe portata in campagna, in Brianza, o dalle parti
di Lecco, dove era cresciuta lei; tutto di nascosto alla mamma sua,
per non affliggerla, per non contraddirla... Coi denari avrebbe
pagata la pigione e gli altri debitucci, mettendo l'avanzo alla
«Popolare» per essere sicura di poter pagare la retta ai
contadini... e una volta il mese, almeno, sarebbe andata a trovarlo,
il suo angelo! La sua mamma intanto sarebbe guarita... e a poco a
poco l'avrebbe persuasa... Oh! come sarebbe felice malgrado le sue
disgrazie... come sarebbe riconoscente a quell'uomo, nonostante il
male che le aveva fatto!...
E pregava la Vergine Madre che
lo inspirasse, che gli facesse fare quella buona azione, e giurava in
un parossismo disperato di rivivere sempre così, una vita di
sacrificio, senza amore... solitaria, disprezzata... E non sentiva
neppure lo strazio di un'altra tortura...
Ma questi sogni sparivano
improvvisamente: ogni speranza l'abbandonava. Quest'uomo non avrebbe
fatto nulla: era troppo vigliacco. Oppure, chi sa a quali
condizioni!...
Un brivido di terrore la
diacciava. Il bimbo sarebbe morto... la mamma sua ridotta
all’ospedale.
E piangeva, piangeva...
La madre di Luisina, la
Virginia Galavresi, era di buona famiglia; figlia di un agiato
fittabile; aveva sposato il farmacista di una piccola città
lombarda; ma gli affari della farmacia non prosperavano e dopo pochi
anni, ridotto a fallire, egli si suicidava, lasciando la moglie e
l'unica figlia nella miseria. Venute a Milano contando sulla
protezione di alcuni parenti, le due donne avevano campucchiato
lavorando tutt'e due. Il malanno dei malanni era venuto quando forse
speravano di aver trovato la fortuna. Uno di quei parenti, il vinaio
Angiolo Zibardi, aveva chiesto la Luisina, poi, quando il matrimonio
sarebbe stato necessario, aveva trovato dei pretesti per tirare in
lungo, e finalmente s'era allontanato, continuando a colmare le sue
parenti di belle parole, lasciando intendere che, se stavano
tranquille, se non facevano scandali, un giorno o l'altro avrebbe
mantenuta la promessa. Per il momento aveva altre cose a pensare, e
per metter su casa ci volevano i denari!
Ben presto le donne
s'accorsero che egli le canzonava; Luisina, sdegnata, cessò di
amarlo; e se non fosse stato per il bambino, per quella vaga speranza
di dargli un nome legittimo, avrebbe fatto comprendere al seduttore
fino a qual punto lo disprezzava. La Virginia, invece, non poteva
rassegnarsi al disonore della figliuola; e negava l'evidenza per
ostinarsi nella speranza di una riparazione. Intanto la sua salute si
logorava. Ne aveva passate troppe delle burrasche... Quell'ultima le
dava il tracollo.
Così, sapendo che la
sua povera madre si consumava nel crepacuore, Luisina avrebbe fatto
qualunque cosa per accontentarla, e cercava di nasconderle una parte
almeno delle loro miserie. Senonchè ella vedeva oramai tutta
l'inutilità dei suoi sforzi, e il suo coraggio si spezzava.
Giunta a tale estremo, ella
non trovava neppure nella preghiera il bramato ristoro; né le
giovava lo sfogo di quelle lagrime al piede dell'altare. Il suo
abbattimento cresceva sempre più; i nervi esauriti dallo
spasimo atroce le mettevano in tutto il corpo una prostrazione
invincibile, e dei brividi di freddo la facevano trasalire in mezzo a
quell'afa soffocante. Di tanti pensieri che avevano tumultuato poco
prima nel suo cervello, ora non le restava che un'idea confusa della
vanità di ogni sforzo; in luogo della fede, il vuoto, il nulla
orrendo: una vertigine della mente e dei sensi... Le sue labbra
impallidivano; stava per cadere.
La «poveretta della
chiesa» le si accostò; le posò una mano su una
spalla; le mormorò alcune parole. Poi l'aiutò a entrare
in un banco, per sedersi un momento. Luisina si scosse al contatto
della vecchia; alzò gli occhi imbambolati e vide le due
candelette accese per conto suo che finivano di consumarsi. Si passò
la pezzuola benedetta sulle tempie e restò là immobile,
come in attesa di un pronto effetto. La chiesetta si vuotava. Le
borse della questua, piene fino alla gola, venivano scosse
lentamente, con precauzione, e soltanto all'apparire di qualche
devoto in ritardo.
Tutto a un tratto la Terragni
ebbe come un barlume del tempo trascorso.
La mamma l'aspettava; e chi sa
come inquieta! Questo pensiero le ridonò le forze; balzò
in piedi, uscì dal banco, fece un profondo inchino all'altare,
un lieve cenno di saluto alla sora Rosa, e tornò in istrada.
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