V
LA CARITÀ
Folla in via dell'Olmetto.
Sotto l'incubo della imminente
scadenza della pigione, complicata con una quantità di
sgomberature, nell'angosciante timore di rimanere sul lastrico, la
povera gente accorreva alla Congregazione, armata di suppliche, di
fedi di miserabilità, di lettere di raccomandazione, ed altri
fogli giudicati necessari o almeno utili.
Era uno dei giorni in cui si
distribuiscono i sussidii.
I beneficati ordinari, quelli
che avevano il loro sussidio fisso, semestrale, trimestrale o
mensile, camminavano tranquillamente, discorrendo; le donnicciuole
avvolte nei loro scialli più logori; gli impotenti al lavoro
curvi, barcollanti, qualche volta anche più del bisogno.
Gli altri, quelli che facevano
la strada per la prima volta, o per la ventesima, senza aver nulla
ottenuto, avevano tutt'altro aspetto. L'ansietà, l'incertezza,
la vergogna apparivano sui loro volti stirati, pallidissimi o
stranamente accesi. Alcuni di questi arrivavano soli, camminando
adagio, sfuggendo i conoscenti o avendo l'aria di non riconoscerli;
altri, dominati da una invincibile sovraeccitazione,
chiacchierottavano continuamente con una specie di singhiozzo
ficcandosi nei gruppi, fermando i conoscenti sui due piedi per
raccontare le proprie disgrazie, le tenui speranze e i gravi timori.
Le occhiate sospettose,
diffidenti, s'incrociavano come sciabole; le invidie schizzavano dai
pori.
Nell'ampio cortile dell'antico
palazzo Archinti, sotto ai larghi portici che lo circonda, la folla
si diluiva; i piedi mal calzati strisciavano il passo; le voci rauche
bisbigliavano più sommesse. Molti infilavano lo scalone da
gente pratica del luogo mentre altri, pure molti, si fermavano a
domandare informazioni al guardaportone. Certi poveri diavoli, poco
pratici, che pretendevano di parlare col preside per il quale avevano
una lettera, dovevano accontentarsi, per amore o per forza,
dell'usciere particolare, che prendeva la lettera, o li rimandava
direttamente alla Cancelleria. E ad altri ancora, che volevano il
segretario, uomo affabile quanto elegante, o il delegato A, o il
delegato B, toccava su per giù la medesima sorte.
Non mancavano i resistenti,
gli ostinati, avvezzi a simili imprese, avvezzi alle parole secche e
ruvide degli uscieri, alle scuse, ai rinvii; costoro rispondevano
semplicemente: «Sta bene, aspetterò», e, piantati
lì su due piedi, minacciavano di non muoversi finchè la
persona nella quale mettevano tutta la loro fiducia non fosse passata
per caso, o gli uscieri stessi seccati o vinti da quella persistenza,
non si fossero rassegnati ad annunciarli. Sempre male accolti e meno
fortunati i più necessitosi e meritevoli, se timidi, titubanti
e facili ad avvilirsi. Certe donne, di aspetto discreto, riuscite chi
sa come ad ottenere una lettera di qualche signora per il presidente,
il segretario o qualche altro pezzo grosso, si facevano passare per
domestiche o messaggere, assumendo un fare sicuro, indifferente di
muta sfida.
La grande ressa era in una
sala non molto vasta e parecchio buia; la gente si indossava presso
al finestrino del distributore. I più arditi accaparrano i
primi posti. I deboli che volevano lottare ricevevano spintoni e
gomitate nello stomaco. Si parlava forte; si gridava; si bisticciava.
Luisa Terragni e sua madre,
addossate alla parete aspettavano da venti minuti. La povera Virginia
aveva voluto presentarsi di persona, malgrado la sua estrema
debolezza e contro l'espressa volontà della sua figliuola. Le
vicine esperte di tutto il sistema, specialmente una certa Agnese,
misera lavandaia con tre figliuoli rachitici e il marito tisico, le
avevano assicurato, che se non andava in persona non avrebbe avuto
nulla, perchè la diffidenza dei distributori era immensa. Così
la Virginia aveva voluto alzarsi a tutti i costi e trascinarsi fin là
per la prima volta in vita sua.
E soffriva, soffriva per sè
e per la figlia; soffriva materialmente di uno sfinimento mortale; e
moralmente, di trovarsi là, in quello stato, in quel luogo.
Ma più di lei forse
soffriva Luisina, che in quei giorni aveva fatta e rifatta quella Via
Crucis le venti volte, e parlato con la metà degli impiegati
per ottenere una misera promessa. Ella pensava:
- Se avessi accettato il patto
dello Zibardi, se avessi ascoltato i consigli della sora Rosa, non si
sarebbe qui. La mia mamma starebbe tranquilla nel suo letto. Forse
questo strapazzo le costerà la vita. L'avrò ammazzata
io!...
E poi ancora:
- Forse mia madre sopporterà
anche questa burrasca; ma avrà patito per nulla. Questa
elemosina, quando fosse pure la più generosa che sia lecito
sperare, non basterà a saldare il debito al padron di casa!
Egli ci venderà la mobiglia e ci metterà sulla strada
lo stesso; e la mia mamma dovrà andare allo spedale!...
Questi pensieri le straziavano
il cuore; ma non voleva mostrare quello che provava e cercava di far
coraggio alla sua mamma con buone parole di speranza, affinchè
la speranza la sostenesse almeno durante il supplizio.
Intanto la ressa aumentava.
Entravano quelli muniti di libretti, sicuri del fatto loro. E a
proposito di questi libretti si facevano commenti di ogni sorta, si
scambiavano ingiurie. Le catapecchie di S. Pietro in Gessate,
compresa quella dove abitavano le Terragni, fornivano un bel
contingente alla miserabilità. Epperò ogni tratto
capitavano casigliani, vicini o conoscenti delle due donne. E nella
penombra si scambiavano saluti, sorrisi, sguardi benevoli, occhiate
fulminatrici.
La madre del ferraio Mariani -
quello che si metteva a lavorare di buona voglia quand'era ora di
smettere - una vecchietta piccina piccina, rotondetta, con una selva
di capelli bianchi intorno a un viso stremenzito, arrivò con
un foglio che le dava diritto ad una limosina straordinaria di 30
lire, e andò a collocarsi presso alla Virginia. La presenza
della vecchietta cappelluta suscitò un lungo bisbiglio:
- Anche lei!... - esclamò
la donna gialla, che teneva in mano, oltre ai suoi, i libretti delle
sue tre dozzinanti: - Anche lei! Se danno i sussidi a quelle che
hanno l'uomo e i figliuoli che guadagnano, siamo fritte noialtre,
povere vedove, senza nessuno al mondo!... Guarda anche la Terragni...
Oh, oh. Si vede che la bella ragazza ha fatto giudizio... Come è
pallida! Pare una morta di fame.
- Stia un po' zitta! - le
gridò indignata la moglie del muratore Tamburini - la ci ha lì
sette libretti, e la porta più ciccia intorno a lei che tutti
noi insieme!
Una risata colossale scoppiò
nel punto più vicino e andò propagandosi fino all'altra
estremità della sala.
Ma le risa salirono al colmo,
allorchè la vecchia cominciò a sternutire.
- Salute!... Un figlio
maschio!
- Accoppati!
Inviperita, la donna gialla,
che, fra parentesi, quel giorno indossava un vestito turchino a
piccole righe rosse, si rivoltò, appena potè, contro la
Tamburini, gridandole di rimando:
- Pettegola! Ciabattona! Non è
colpa mia se tu non hai più nulla attaccato alle ossa! Non è
colpa mia se ti sei fatta mangiar viva dai tuoi ganzi, o sudiciona di
una schifosa!
Alcuni uomini messi in uzzolo
gridavano a squarciagola:
- Brave! bene! bis!
Invano le donne più
timide andavan sussurrando:
- Zitto! è una spia
della Questura.
Le risate scrosciavano.
La Tamburini, sentendo di
avere la peggio, si slanciò sulla nemica per darle una lezione
con le unghie e coi denti, se occorreva. E gridava come una
energumena:
- È inutile che tu
slarghi tanto la bocca! Se ne sanno di più belle sul conto
tuo, o poco di buono!...
Visto che le cose prendevano
una mala piega, una delle guardie di piantone al finestrino si avanzò
risolutamente fra le due donne, minacciando di cacciarle fuori se non
la finivano.
L'ordine fu relativamente
ristabilito.
Un vago rumore dietro al
finestrino annunciò finalmente che la distribuzione stava per
cominciare. Le guerricciole e le risate cessarono; il tramestio
divenne più forte, giacchè tutti volevano accostarsi di
più al finestrino e le guardie avevano un bel da fare a
impedire che si schiacciassero.
La Virginia Terragni, sempre
in piedi, appoggiata alla figliola e alla vecchia Mariani, tremava in
tutte le membra. Oh, come avrebbe voluto essere nel suo letto!
Lo sportellino si era aperto
del tutto, e l'impiegato, tranquillo, indifferente, metodico,
cominciava a prendere i libretti e i fogli volanti, uno a uno,
esaminandoli con una lentezza che agli aspettanti pareva esagerata
apposta per tormentarli. Ogni esame era seguito da qualche domanda
rivolta al presentatore o alla presentatrice, obbligati a dare tutti
gli schiarimenti richiesti. Poi l'impiegato si consultava con un
personaggio che rimaneva mezzo nascosto e parlava lento, a bassa
voce. Finalmente se tutto andava bene, il danaro veniva sborsato:
altrimenti il postulante veniva rimandato con brevi recise parole.
Ogni rinvio provocava
naturalmente delle proteste, qualche volta una scena di lagrime o una
sequela d'improperi secondo i temperamenti. Ma nessuno vi badava.
L'impiegato non rispondeva neppure: le guardie mandavano via i
disturbatori con le belle e con le brutte e avanti, che l'importante
per tutti era di far presto e finirla.
Quando la Tamburini presentò
il suo libretto, si sentì dire che le toglievano il sussidio
trimestrale di venti lire. Quella era l'ultima quota che riscuoteva:
suo marito guadagnava abbastanza ed anche i ragazzi. Non aveva
bisogno di sussidi: ovvero altri avevano più bisogno di lei. A
tale annunzio la Civardi che le stava alle spalle ghignò
mormorando qualche parola poco benevola.
Vi fu un momento di silenzio
ansioso.
I vicini aspettavano che la
Tamburini si rivoltasse e alcuni pregustavano il piacere di una
scenata. Invece la povera donna ebbe una crisi di nervi che la gettò
a terra singhiozzante.
Fu chiamato un inserviente e
con l'aiuto di qualcuno degli astanti la portarono fuori. Da quel
momento tutto il favore della folla fu per lei. La Civardi, odiosa a
tutti, se ne sentì dire di ogni colore malgrado il terrore che
ispirava a quelli che la conoscevano. Non ridesse troppo: se era lei
che aveva fatto la spia: qualcuno le avrebbe reso la pariglia, ci
aveva la camicia parecchio sudicia e si era troppo affrettata a
slargar la bocca!
Un nuovo incidente cambiò
la scena.
Una ragazza piuttosto vistosa
e assai ben vestita si presentò sulla soglia e cercò di
penetrare nella calca per arrivare al finestrino col suo libretto in
mano.
- Oh! - esclamarono varie voci
- Oh! la Bellincioni, la nipote della «poveretta di San
Bernardino dei Morti!» Oh, oh!...
Quelli del quartiere di Porta
Romana e di Porta Vittoria, che conoscevano la Bellincioni come la
bettonica, si misero tutti d'accordo a spingerla indietro.
Altri si unirono ad essi,
soltanto perchè si trattava di una donna ben vestita che non
pareva tanto bisognosa. In un momento ella si trovò circondata
da gente ostile, bersagliata da frizzi salaci e da parole insultanti.
Certi vecchi, che a vederli,
si sarebbero creduti completamente dimentichi della loro antica
virilità, approfittavano dell'occasione per allungare le mani
su quel corpo di donna giovane e procace. Sgominata dalla veemenza
con cui la respingevano, Bellincioni rinunziò alla speranza di
arrivare ai primi posti; si diè vinta e si rassegnò a
retrocedere.
La madre del ferraio la
chiamò:
- Venga qui, Cesira! Saremo le
ultime ma almeno arriveremo a casa con le ossa sane.
- Ah! son ben contenta di
vedere una faccia cristiana! - esclamò la giovine rendendosi
all'invito. Ringraziò la buona donna di quella gentilezza;
poi, viste le Terragni, le salutò arrossendo lievemente...
Luisina ebbe un invincibile
movimento di ripugnanza. In quei giorni correva la ciarla che la
Cesira avesse intavolato un rigiro con lo Zibardi. Certo Luisina non
aveva gelosia di quell'uomo; era come morto per lei; tuttavia dopo
l'ultimo insulto; dopo l'infame mercato che le aveva fatto proporre,
non poteva a meno di provare un senso di ribrezzo per la donna che in
quel momento forse lo amava. E pensando al suo bimbo, che marciva a
Santa Caterina, e del quale non aveva alcuna notizia da circa un
mese, perchè le era mancato il tempo di andare dalla
levatrice, o non l'aveva trovata in casa, le lagrime le gonfiarono
gli occhi.
- Come sono stanca! - mormorò
sommessamente la Virginia. - Noi non arriveremo mai più al
finestrino!...
Invece di diminuire la folla
sembrava aumentare tutti i momenti.
Una vecchia trascinava il
distributore in una discussione. Costui non voleva pagarle il
sussidio trimestrale che le era concesso, avendo essa il marito
infermo; e ciò perchè il certificato - da presentarsi
rinnovato ad ogni trimestre - non portava la firma del medico
ufficialmente incaricato, bensì di un altro medico che stava
di casa a Porta Garibaldi ed era vicino di lei.
Se aveva denari da pagarsi un
medico di suo genio, voleva dire che non le occorrevano i sussidii!
Oh! ve n'erano troppo di più poveri!...
La donna a sua volta giurava e
spergiurava che il medico non l'aveva pagato: che il certificato
glielo aveva fatto per carità; perchè il medico
dell'ospedale non si lasciava vedere mai mai, e lei non poteva
correre le dieci, le venti volte fino all'ospedale col marito infermo
e nessuno altro che lei per assisterlo.
Inutile. Il regolamento
ordinava che i certificati fossero firmati dal medico incaricato;
tanto peggio per chi non si conformava al regolamento. E su questo,
l'impiegato, stufo della disputa, chiuse lo sportello sul muso alla
donna.
Successe un vero tumulto.
Colta dalla paura di non riscuotere più nulla per quel giorno,
la poveraglia si scagliò contro la causa di tanto danno.
Chi gridava, chi bestemmiava,
chi si limitava a supplicare l'impiegato traverso al finestrino
chiuso.
La donna, cui non restava più
nessuna speranza per quel giorno, fu costretta a ritirarsi.
I più audaci e svelti
si valsero della confusione per cacciarsi innanzi, certi che il
finestrino si sarebbe riaperto. Difatti, l'impiegato, desideroso di
finirla anche lui, tornò poco dopo alla distribuzione. Seguì
un quarto d'ora di relativa calma.
Poi un'altra scena, per colpa
di due donne giovani accusate di avere preso un sussidio di cento
lire e di non averne bisogno. Le frasi amare, pungenti, ciniche, non
più larvate, non più smozzicate, grandinarono.
Ecco dove andavano i denari
della carità pubblica!... Si davano a chi mangiava e beveva a
piacer suo tutti i santi giorni della settimana!... Se li
distribuivano tra di loro!... O li davano alle signore compiacenti,
alle belle ragazze!...
E la collera impotente, e il
rancore atroce della fame patita, dei bisogni repressi si sfogavano
con ingiurie, con recriminazioni senza fine. Le guardie minacciarono
i più riottosi, e il distributore si fece sentire: «Avrebbe
rinchiuso lo sportello per non riaprirlo!»
Nella sala, bassa, l'aria
diveniva sempre più irrespirabile; l'angoscia appariva su
molti visi.
I malcontenti si allontanavano
ancora eccitati, gridando forte. Alcune donne piangevano lungo lo
scalone, la cui imponente architettura pareva quasi una derisione a
tanta miseria, ad un così completo abbassamento di umane
creature.
Se le donne incontravano un
delegato, o qualche impiegato di loro conoscenza, imploravano che si
fermasse, che ascoltasse un istante i loro lamenti, le loro ragioni,
e il malcapitato, sentendosi sulle spine, rispondeva secondo il
solito:
- Pazienza, donne, pazienza;
si fa quello che si può: i poveri sono tanti... Si vedrà...
Si farà il possibile... Ne riparleremo in consiglio alla
prossima seduta. Tornate da qui a un mese... quindici giorni.
E via come il vento, felice di
esserne uscito.
Quando Dio volle, anche le
Terragni, la mamma del ferraio e la Cesira Bellincioni poterono
accostarsi allo sportello.
Erano le ultime.
La Bellincioni presentò
il libretto, che era di sua zia, la quale non poteva recarsi in
persona per non lasciare la chiesa; e le trenta lire le furono pagate
senza alcuna difficoltà come a ogni trimestre. Anche la
Mariani ebbe trenta lire, ma con l'avviso che era una limosina
straordinaria, che non sperasse altro.
Quanto alle Terragni,
l'impiegato pareva incerto. Frugò e rifrugò tra le sue
carte, come se avesse perduto qualche cosa. Scartabellò un
registro, osservò gli attestati, e finalmente contò
dieci lire che consegnò alla Virginia ripetendole con
importanza:
- È trimestrale. Vale a
dire quaranta lire all'anno. Potrete ritornare di qui a tre mesi....
Avete capito?
- Sì, signore...
grazie... - balbettò la infelice che si sentiva mancare.
- O mamma... mamma!... Povera
mamma mia! - gemeva, Luisina mordendosi le labbra per non scattare
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