VIII
IL CAPOMASTRO
La casa che il Piloni faceva
costruire in società col fabbricante di cementi Ambrogio Piola
formava un vasto isolato in uno dei migliori punti del nuovo
quartiere sorgente sull'antico e famoso Lazzaretto, già in
gran parte atterrato.
Gli speculatori si erano
gettati come bestie di rapina sull'immane cadavere, le cui vecchie
ossa dovevano avere la loro metempsicosi.
Le case nuove s'innalzavano
rapidamente con mura sottili, cortiletti stretti e profondi come
pozzi, lussuose nell'apparenza, grette nella realtà; e il
vecchio materiale veniva impiegato su larga scala nella loro
costruzione.
Invano protestavano i poeti,
gli artisti, la gente che non sa di cifre; invano gridavano contro
quella arrabbiata speculazione, trascurante l'igiene e ogni senso di
arte, e la vita dei lavoranti e dei futuri inquilini; invano era
biasimata generalmente l'indifferenza del Comune di fronte alla
manomissione di quello splendido viale di platani piantato con tanto
senno ed amore intorno ad una città così poco favorita
dalla natura. I bei platani cedevano il posto alle facciate
pretensiose.
Gli speculatori, sicuri del
fatto loro, convinti in fondo in fondo di essere loro soli i veri e
legittimi padroni dell'universo, sorridevano delle critiche,
sorridevano dei lamenti e tiravano innanzi sereni nella loro
grettezza.
Il Piloni, corazzato
d'ignoranza, tetragono ad ogni senso di alta giustizia e di umanità,
ardito quanto astuto, non sorrideva: era di quelli che sghignazzano
dimenandosi allegramente. Bisognava vederlo salire i ponti fino su in
cima, svelto come un marinaro, nonostante la molta carne che portava
con sè; bisognava sentirlo come comandava - quel pezzente
rifatto - e come sapeva impartire incoraggiamenti e rampogne, non
dipartendosi mai da quella sua bonarietà ambrosiana, maschera
terribile alla pertinacia, all'astuzia, alla crudeltà felina,
che egli chiudeva in cuore.
La fabbrica non era tanto
avanzata quanto egli avrebbe voluto, poichè le piogge
insistenti di una primavera fredda e turbolenta avevano ritardato i
lavori. Tuttavia i muri maestri erano tirati su fino al tetto;
gettate le basi dei pavimenti ai diversi piani; piantate le scale;
tracciate all'ingrosso le divisioni degli appartamenti, per mostrarli
a quelli che volendo cambiare a Pasqua cominciano a cercare in
settembre, per fissare i prezzi e stringere i contratti.
Si lavorava ancora sull'ultimo
ponte esterno; ma la maggior parte dei muratori era occupata
all'interno per preparare la copritura del tetto. Si tiravano su le
travi con le carrucole. Il Piloni arrivò fregandosi le mani
tutto contento perchè si sarebbero messi al coperto prima che
il tempo si guastasse.
- È una bellezza! -
diceva all'assistente. - L'aria è fresca e limpida. Avremo
certo altri quindici giorni belli, e in quindici giorni saremo a
posto!... Il barometro segna tempo asciutto.
Girava tra i muratori; cercava
di animarli al lavoro con le buone parole, con le promesse. Avrebbero
fatto una buona mangiata il giorno della copritura del tetto!
Sarebbero stati contenti di lui: li avrebbe trattati da signore...
purchè facessero presto!... E a lavoro finito, un bel regalo a
ciascuno... ma a patto di far presto, di non perdere un minuto.
Poveri loro se lo tradivano!...
Giovanni Berini, il vecchio
lavoratore onesto e intelligente, gli si accostò e francamente
gli disse che presto e bene non sempre si poteva; che il meglio era
di far bene. I muratori erano buoni figliuoli, ma poveri, e
sentendosi così pressati con le promesse di regali, era troppo
facile che tirassero via... Bisognava piuttosto raccomandare
l'attenzione... Pur troppo già i muri non erano una
perfezione, tutt'altro...
Il Piloni fece una risatina,
crollò le spalle in aria di compassione per quel povero
imbecille che dava dei consigli a lui, e passò a un altro
gruppo. S'accorse però che le sue parole facevano poco
effetto. I muratori rimanevano seri, accigliati.
La questione dell'aumento di
paga e delle troppe ore di lavoro cominciava a imporsi. Se ne parlava
sommessamente ancora, ma continuamente. E si narrava di scioperi
avvenuti in altri paesi, e non pochi desideravano di fare
altrettanto.
I più intelligenti
sentivano, il bisogno di fondare una Società cooperativa che
fosse un punto di appoggio, una guida.
I capimastri fiutavano il
tempo sebbene fingessero di non capire; ma pochi se ne preoccupavano:
checchè facessero, i muratori, sarebbero sempre stati in loro
potere.
Voltate le spalle al Berini,
il capomastro s'accostò a un gruppo di giovani robusti e
risoluti, che preparavano il legname montato su con le carrucole, e
ripetè le sue esortazioni in un tono più solenne: non
solo avrebbero banchettato insieme, ma se lo accontentavano avrebbero
avuto un premio in denaro subito dopo la copritura; un altro alla
fine. Lo dicessero a tutti: il capomastro Piloni non mancava alle sue
promesse.
E la voce, che voleva essere
bonaria, si faceva dura involontariamente, poichè egli sentiva
la collera ribollirgli di dentro al vedere i suoi uomini così
seri e musoni.
- Ci aumenti il salario
piuttosto: sarà meglio per noi e per lei!
Il capomastro non distinse
bene chi avesse pronunciato queste parole; ma lo colpì
l'accento imperioso e minacciante. Alcuni smisero di lavorare in
attesa di uno scoppio.
Invece il Piloni rispose
calmo, senza nemmeno curarsi di scoprire il nome di chi l'aveva così
apostrofato:
- Le giornate le pago secondo
un libero contratto, accettato da ambe le parti. Io dunque non manco
al mio dovere. Voialtri, al contrario, domandando di più,
mancate all'impegno preso. Sono stato operaio; ho lavorato come
voialtri; so come si tratta. Quand'ero operaio non ho mai domandato
di più di quello che mi veniva; eppure ho fatto dei risparmi,
e ho potuto tirarmi su, studiare, diventar capomastro. A me non la si
dà a bere. E appunto perchè ho provato anche la
miseria, vi tratto come fratelli, voglio il vostro bene. Via, via,
abbiate giudizio, ragazzi! Persuadetevi che i miei interessi sono
pure i vostri, e che se vi venisse in mente di piantarmi, fareste il
vostro danno ben più che il mio.
Rideva. Era riuscito ancora
una volta a domare la collera per cui le sue labbra carnose e tutte
le sue membra tozze fremevano.
Un mormorio di malcontento
rispose alle sue parole.
- Pace, pace! E sopratutto non
lasciatevi sobillare... Il vostro vero interesse è di dar
retta a me. Del resto chi ha qualche cosa sullo stomaco, venga nel
mio studio che regoleremo i conti.
E su questo, continuò
il suo cammino, tranquillo, senza neppure voltarsi indietro.
Figlio di poveri, venuto su
per le strade, e avendo, come egli diceva, portati la secchia e i
mattoni per diversi anni, soffrendo la fame, Lorenzo Piloni era fiero
di sè, esigente con gli altri. Le cose che egli diceva a
proposito del lavoro erano quindi relativamente sincere. Il suo
disprezzo per gli operai che si lamentavano del loro stato era
istintivo e aveva impeti di odio. Senza alcun dubbio egli avrebbe
perso molto danaro - di quel danaro che amava tanto - piuttosto che
accontentarli. Dacchè aveva patito, lui, potevano patire anche
gli altri; e se aveva potuto arricchirsi, lui, potevano arricchirsi
anche loro. Se non vi riuscivano, la colpa non era nelle cose, o nei
capitalisti, come loro blatteravano, bensì nella loro
incapacità. Dunque... le bestie potevano ben crepare nella
miseria. Che male c'era?... D'altronde egli ne aveva abbastanza del
fabbricare. Quella era l'ultima fabbrica sua. Col denaro che pensava
ricavarne si sarebbe messo a speculare in fondi. Comperare per
rivendere! Non si rischiava niente perchè i terreni a Milano
non potevano rinvilire - pensava egli - e si aveva la probabilità
di triplicare il capitale da un momento all'altro. Ne aveva
abbastanza di muratori, pieni di pretese, fannulloni. E ne aveva
abbastanza anche del suo socio, quell'esoso Piola che pretendeva di
sorvegliarlo... Sorvegliare Piloni, peuh!... pezzo d'asino.
Alzava la spalla destra con
gesto scimmiesco che gli era abituale; e i suoi occhietti furbi, che
quasi si toccavano in cima all'enorme naso, si scambiavano
un'occhiata piena di iattanza.
Dalla casa rustica, destinata
alla povera gente, tutta a ringhiere e piccoli appartamenti di due o
tre stanze, egli era passato intanto alla casa signorile, che
occupava tutta la parte anteriore del fabbricato, con la facciata
sulla Circonvallazione. Qui lavoravano, tra gli altri, Bitossi e
Martinelli. Bitossi al tetto, dirigendo - grazie alla sua abilità
e intelligenza - una ventina d'operai; Martinelli a terreno insieme
agli scalpellini, preparando o modificando le decorazioni della
facciata. Da questa parte i lavori della travatura erano più
avanzati. I falegnami facevano un rumore d'inferno, che rimbombava
negli ampii spazi vuoti. Alcuni muratori avevano già
cominciato la stabilitura interna dei muri maestri. A vederli
lavorare con tanta alacrità si poteva crederli contenti. Ma le
faccie scure, preoccupate, e le occhiate significative dicevano
abbastanza chiaramente che qui pure l'inquietudine serpeggiava.
Il capomastro chiamò a
sè Bitossi e si allontanò con lui interrogandolo.
- Ebbene? Lo sciopero?...
- Non credo si voglia fare per
ora...
- Non credi?... Dovresti
sapere positivamente.
- Sa bene che io non me ne
mischio. Dopo quello che mi è capitato, sorvegliato dalla
Questura come sono, il mio intervento sarebbe dannoso... Perciò
sto fuori.
- Per questo soltanto?... Non
avete proprio cuore voialtri? Non avete gratitudine?... Eri sulla
strada, senza lavoro; io ti ho preso, ho avuto fiducia in te;
dovresti almeno essermi grato, mettere i tuoi interessi coi miei!
Invece è sempre per loro che stai, per loro che fai il bene o
il male. Bada che se mi giuochi... se lo sciopero succede... ti
faccio arrestare subito, come sobillatore; e la Questura non si
lascierà pregare, trattandosi di te!...
S'interruppe; e parendogli di
avere un pochino oltrepassati i limiti, fece una delle sue risate
bonarie per mitigare la crudezza di una minaccia che in fondo era
serissima.
- Farà quello che
crederà - rispose Bitossi tranquillo: - ha però torto
di dire che sono un ingrato.
- Tanto meglio. E l'affare dei
mattoni?
Bitossi arrossì
leggermente.
- Come lei ha voluto. Ma
l'avverto che sono mattoni cattivissimi, e anche fra le travi ce n'è
di poco buone...
- Questo non ti riguarda.
- Lo so da me. Ma se i pontoni
non sono forti... se....
- Niente paura. I pontoni li
ho visti io. Non ci è pericolo. E tu non farmi il vecchio come
quel bracalone di Berini, che vede da per tutto muri crollanti da che
gli è morto il figliuolo... Ci vuol coraggio al mondo. Io ho
bisogno che la fabbrica sia terminata a dicembre... lo sai; se no,
perdo un affare d'oro. Per questo sono pronto a ricompensare chi sta
con me. Cerca dunque di far comprendere a questi ciuchi che il loro
interesse è unito al mio... perchè, se mi piantano io
perderò del denaro, ma loro patiranno la fame!... Hai capito?
Se parli tu, crederanno. A me non danno retta; non si possono
persuadere che io sia tanto sincero!... E quanto alla fabbrica sta
pur sicuro, creperemo noi prima che caschi una pietra.
Una larga risata sottolineò
questa frase.
Col cuore stretto soffocando
la collera che lo divorava, Francesco raggiunse i compagni.
Il capomastro, calcatosi in
testa il capellaccio a cencio con un gesto abituale, fece alcuni
passi a caso sempre ridacchiando; poi riaccese la pipa, che gli si
era spenta, e ficcate le mani nelle tasche larghe della giacchettona,
continuò la sua attenta ispezione.
La fabbrica era quale egli
l'aveva voluta: di molta apparenza e della minore spesa possibile.
Tutte le economie erano state fatte; tutte le astuzie del mestiere
messe a profitto. Quanta parte del vecchio Lazzaretto riviveva in
quella costruzione nuovissima! Una vera metempsicosi. Non basta. La
manìa del guadagno, unita a un certo rancore, spingeva il
capomastro a tutte le astuzie possibili per frodare quel povero
diavolo di Ambrogio Piola, che pretendeva di sorvegliarlo. E ogni
volta che riusciva ad appioppargliene una di nuova, provava una gioia
ineffabile, e, stropicciandosi le grosse mani, esclamava tra sè
e sè:
- Questa te la regalo per la
tua sorveglianza, asinone!
Il povero Piola da parte sua
aveva come un avvertimento segreto di queste birbanterie; ma le prove
gli mancavano. Inventore di un cemento che aveva avuto un certo
esito, egli non sapeva una parola dell'arte di costruire. Da
principio si era fidato; poi frequentando il Piloni egli aveva
fiutato quel forte odore di birba che vince tutti i disinfettanti. Ma
le sue diffidenze erano troppo aperte perchè il capomastro non
se ne offendesse; e nel medesimo tempo di un ordine troppo generico e
poco sostenute perchè il furbo non avesse buon giuoco nello
sventarle man mano che andavano sorgendo. Così, questo
raggiratore di razza fine che in tutte le maniere avrebbe tirato a
imbrogliare e trovati dei sofismi per giustificarsi completamente,
posava a galantuomo ingiuriato, e le malversazioni diventavano nel
suo giudizio legittime rappresaglie.
- Buono coi buoni; ladro coi
ladri! E il Piola doveva essere ladro, dacchè sospettava il
suo socio capace di furto. Era chiara. Chi è in difetto è
in sospetto.
- Dunque?
Egli aveva tutte le ragioni; e
la sua coscienza, per quanto delicata, non poteva fargli il più
piccolo rimprovero!...
Così andava innanzi
trionfante.
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