X
LA VISITA
Bitossi andò alle sue
incombenze più triste e più disgustato. Il Piloni gli
appariva, ogni giorno più chiaramente, un uomo senza
coscienza, capace di tutto per raggiungere il solo scopo al quale
mirasse: il denaro - molto denaro. Ed egli era in balìa di
quell'uomo. Il carcere subito lo metteva alla mercede di un
imbroglione, di un ladro; perchè quell'imbroglione, quel ladro
era il solo uomo che si fosse fidato di lui e gli avesse dato da
lavorare. Certo, il Piloni si fidava di lui completamente. Tale
fiducia, però, non lo onorava; non gli dava coraggio né
forza. Era il calcolo di un cinico, che gli diceva beffardamente: Tu
non hai altra salvezza; se io ti scaccio, ti sarà tanto più
difficile trovare un altro che ti prenda; ricadrai nella miseria,
forse nel vagabondaggio e per conseguenza sotto la immediata
sorveglianza della Questura e presto andrai in prigione.
E queste non erano vane
ciance. La Questura aveva appena cessato di perseguitare l'operaio
uscito dal carcere. Guai a lui se ricominciava! Guai a lui se il
Piloni lo mandava via sospettandolo di preparargli qualche brutta
sorpresa! Egli sarebbe ricaduto senza transizione nella vita
tormentosa, opprimente, di bestia inseguita; e ad ogni svoltata di
via, al più piccolo incidente avrebbe sentito il mostro che lo
guatava nell'ombra precipitarsi sopra di lui per ghermirlo.
Il Piloni si faceva forte
appunto di questi pericoli che minacciavano il muratore; tanto più
ch'egli conosceva il Bitossi per un giovane suscettibilissimo
nell'amor proprio, capace di qualunque coraggio fuori che del
coraggio necessario a chi deve affrontare i cattivi giudizii, le
maligne supposizioni della gente. Difatti, il solo pensiero che
qualcuno non credesse alle sue parole, e che la prigionia subita e le
persecuzioni delle guardie venissero attribuite ad altro... a un
delitto comune, ad un furto forse... questa sola idea toglieva al
povero Francesco il lume della ragione e paralizzava tutte le sue
forze.
In quell'ora d'angoscia,
ripensando così ai casi suoi, egli si rimproverava
violentemente questa suscettibilità delicata, chiamandola
vigliaccheria. Ma i rimproveri non bastavano a guarirlo. Dall'oscuro
caos dei suoi pensieri usciva ancora vittoriosa la conclusione che
egli doveva obbedire al capomastro o almeno che non doveva
disgustarlo. Se lo disgustava era perduto. Ma d'altra parte, poteva
egli obbedire interamente a quell'uomo senza avvilirsi, senza
macchiare la propria coscienza?...
No.
Dunque?...
Bisognava ingannarlo.
Ingannare il furbo, ingannare il vigliacco. Diventare come lui...
Fingere, mentire, tradire...
Un brivido scuoteva
dolorosamente le fibre del giovane.
Per quanto necessario, per
quanto giustificato, l'inganno pesava al suo cuore onesto. L'istinto
della conservazione gli suggeriva che poteva ingannare il capomastro
senza vigliaccheria, tacendo, non immischiandosi in certe cose. E la
logica speciosa, unilaterale dell'uomo di partito - sia pure del
partito più naturale e legittimo - rinforzava la logica
dell'istinto con particolari argomenti.
Essa gli diceva: Che cosa
importa a te, per esempio, che il Piloni tiri su una casa poco solida
con materiale d'infima qualità vendendola cara a un altro
speculatore suo pari?... E che cosa importa a te, povero muratore,
sfruttato da che sei al mondo, che cosa importa a te se egli con
questi armeggìi inganna e deruba il suo socio? Che obblighi
hai tu, Bitossi, verso Ambrogio Piola? E chi è poi Ambrogio
Piola?... Uno speculatore, un capitalista, uno che si è
arricchito col lavoro altrui, uno dei tanti sfruttatori di noi
poveri, come il Piloni precisamente! Meglio che si mangino tra di
loro, e meglio ancora se tu li aiuti!.. Ora il Piloni deruba il
Piola. Bene! Più tardi un altro deruberà e calpesterà
il Piloni. Giacchè sono tutti così avidi, che non si
accontentano neppure di sfruttare i poveri lavoratori, ma cercano
tutti i mezzi per ingannarsi e spogliarsi l'un l'altro, gli operai
devono giovarsi di questo stato di cose. Tu devi gioire
dell'occasione che ti si presenta e contribuire con tutte le tue
forze all'opera di distruzione. Non son questi gli assiomi, non è
questa la legge fondamentale del tuo partito?... A che stai
dubbioso?... Quali scrupoli ti vengono?... Sei pazzo?.. O tradiresti
la causa dei tuoi fratelli per un sofisma o forse per paura?...
No, per Iddio, egli non aveva
paura; no; egli non tradiva i suoi fratelli. Sarebbe morto
piuttosto!... Quello che lo agitava era un sentimento oscuro, un
pensiero inafferrabile, qualcosa come il rimpianto di un sogno che si
sperdeva. Una antica ferita riaperta improvvisamente. Egli aveva
sognato il trionfo di una causa giusta - la causa del povero -
ottenuto senza mezzi illeciti. La violenza gli ripugnava; e come la
violenza gli ripugnavano il tradimento e la rappresaglia mascherata,
che i deboli si permettono qualche volta, come unico mezzo di farsi
giustizia.
Ma le fatalità della
vita lo incalzavano, e continuamente l'offendevano l'ingiustizia e la
prepotenza degli altri.
- Sei debole - gli suggeriva
l'istinto della vita; - non hai altra arma che l'astuzia;
approfittane. Sei uno schiavo, inganna, deludi, vendicati.
Una intuizione possente di una
sublime idealità sosteneva l'anima sua.
Lontano ma sicuro gli raggiava
incontro il giorno della riscossa il giorno sacro al risorgimento di
tutta la sua classe. Oh! senza questo, come avrebbe egli resistito
agli oscuri suggerimenti dell'odio, al terribile bisogno di vendetta
immediata che trascina gli oppressi?
Uno spintone è presto
dato a chi sta sull'orlo di un abisso. È tanto facile mettere
un piede in fallo o avere un capogiro, specialmente con un
temperamento quasi apopletico come l'aveva il Piloni!...
Egli ebbe una risata ironica,
soffocata. Crollò la testa e si fregò la fronte con la
mano per cacciare quei pensieri.
Intorno a lui il rumore,
ricominciato con la ripresa del lavoro, continuava sempre più
gagliardo ed assordante.
Guardò l'orologio che
teneva nel taschino del gilè sotto la blusa; poichè
egli era uno di quei muratori distinti che vestono sempre
decentemente e hanno l'abilità di maneggiare la cazzuola senza
impillaccherarsi.
Il suo orologio segnava le due
e tre quarti. Diede alcuni ordini al Berini, e poi andò a
mettersi di sentinella a una finestra della facciata, sulla
circonvallazione, per vedere arrivare il Piola col presupposto
acquirente. Non molto andò che essi apparvero in fondo al
viale.
Bitossi riconobbe subito il
Piola, piccino piccino, secco, stremenzito, con la palandrana grigia,
larga e lunghissima, svolazzante intorno alle gambette, che si
movevano a passettini fitti per tener dietro al passo largo del suo
compagno - un signore alto e di una certa apparenza. Bitossi al primo
momento non badò a quest'ultimo; il suo animo, ancora in parte
commosso dai pensieri che l'avevano poc'anzi angustiato, lo portava a
occuparsi del Piola, di quella vittima del Piloni, benchè il
disgraziato fabbricante di cementi nulla avesse in sè che
potesse cattivargli l'interesse e la pietà d'un uomo nelle
condizioni del muratore. Francesco conosceva quell'animuccia
meschina, piena di sospetti, incapace di immaginare non che di
condurre a termine una qualunque impresa ardita.
Certo, di fronte al
capomastro, Piola era un santo, un vero onest'uomo; ma avaro, gretto.
Fino a cinquant'anni aveva vissuto speculando, come si suol dire, sul
quattrino. A cinquant'anni poi, trovandosi in possesso di un discreto
capitale, aveva condotto in moglie una donna bella e ambiziosa, che
gli comunicava la manìa di arricchire in fretta. E in tale
buona disposizione - la più propizia a far sì che un
mediocre sia sfruttato da un furbo - il Piloni se l'era trovato tra
piedi. La fama di capomastro intelligente, di imprenditore ardito, di
speculatore acutissimo e i molti denari accumulati, formavano a
costui una specie di aureola fatta a posta per abbagliare il povero
Piola.
D'altra parte nella società
ch'egli frequentava tutti erano abbagliati, e tutti felicitavano il
bravo fabbricante di essersi scelto un socio di quella forza, un uomo
che aveva il fiuto di un cane da caccia per scovare il denaro. Ma
ecco che, passati appena i primi mesi, il povero Ambrogio usciva da
quell'aurea luna di miele col cuore stretto dai sospetti e cominciava
a vivere nell'inquietudine. Quel fare del capomastro gli piaceva
poco. Un tomo che non parlava mai, non rendeva mai conto di nulla e
non si poteva chiedergli una spiegazione senza provocare una scena!
Invano egli cercava di sorvegliarlo; invano ficcava il suo nasetto
corto dove poteva; ci voleva altro!
A volte, per disperazione
risolveva di fidarsi totalmente; poi, appena presa questa saggia
risoluzione per il suo quieto vivere, accadeva qualche piccolo fatto,
forse insignificante e tuttavia inesplicabile, che lo rimetteva in
sospetto. In tale stato d'animo il poverino doveva accogliere
naturalmente con somma gioia la proposta di vendere la fabbrica non
appena finita, o magari prima. L'acquirente non poteva mancare; che
diamine! In una città come Milano! Anzi, dovevano
contrastarsela quella bellezza di casa... un palazzone, perbacco!
Egli stesso si sarebbe dato attorno a cercare tra i conoscenti. Ed
ecco che l'acquirente si era presentato da sè, senza bisogno
di cercarlo! L'omino si fregava le mani, credendo l'affare fatto;
angustiandosi tuttavia per il timore di essere imbrogliato sul prezzo
di vendita... Non si sa mai!... Tanto più che l'acquirente in
questione era Angiolo Zibardi, l'ex-vinaio arricchito, un furbo di
tre cotte...
Allorchè i due signori
si accostarono alquanto alla fabbrica, Bitossi, che non aveva cessato
un momento dall'esaminarli, riconobbe, trasalendo, il vinaio,
quantunque non l'avesse veduto che una volta, di sfuggita.
L'odio è divinatore
potente, come e più dell'amore. Ah, per Iddio! Quel traditore
sarebbe a momenti in sua balìa! Egli potrebbe scaraventarlo da
una di quelle scale senza ringhiera...
- Come farò a
resistere?... Come farò?
Pensò di nascondersi,
di mandare un altro in sua vece.
Ma no. Una forza occulta lo
spingeva innanzi. Pallido, e le membra agitate da un tremito
convulso, andò incontro all'uomo odiato. E in un solo istante
l'anima sua misurò l'abisso di quell'odio.
Soltanto la sicurezza di
essere ignoto al nemico suo, e di non poter destare in lui alcun
sospetto, rinfrancò il disgraziato Francesco e gli diede la
forza di padroneggiarsi.
Vestito con la solita
attillatura sfarzosa, e rigido di quella rigidezza forzata a cui egli
annetteva tanto valore, Angiolo Zibardi formava un curioso contrasto
di linee col piccolo Piola annegato nella sua spolverina.
Bitossi s'indirizzò a
quest'ultimo, che lo conosceva ed era con lui molto affabile.
- Riverisco... sor Piola.
Vuole che l'accompagni? C'è un gran disordine oggi con queste
travi...
La sua voce tremava, e ciò
valse a metterlo nelle buone grazie dello Zibardi, il quale
attribuiva tutto alla soggezione che credeva di imporre con la sua
bella persona.
- Accompagnaci pure - esclamò
costui sorridendo in aria di protezione. - Noi abbiamo la pianta, ma
tu ci potrai fornire qualche spiegazione.
Quanto al Piola, era ben
contento che lo accompagnassero e al bisogno che lo sostenessero per
quelle scale senza ripari, su quelle tavole malferme.
La visita cominciò.
Bitossi aveva riacquistato il
suo sangue freddo e faceva coscienziosamente l'interesse del
capomastro, mettendo in evidenza i meriti della fabbrica,
dissimulandone i lati deboli, lodando il lodabile, mentendo con
sicurezza quando n'era il caso. Il suo partito era preso: nessuna
violenza, nessun delitto; l'avrebbe pagato troppo caro: soltanto una
piccola rappresaglia: trascinare lo Zibardi in un cattivo affare se
era possibile; ferirlo nel lato più sensibile; nell'interesse
pecuniario. Corretto e rigido, lo Zibardi ascoltava i commenti del
muratore; ma di tratto in tratto un ammiccar degli occhi - abitudine
inveterata - faceva cadere la famosa caramella, scomponendo
l'ammirabile insieme dell'artificiosa figura. Peggio ancora: se la
sua attenzione si trovava impegnata da qualche cosa d'importante, o
se una impressione anche poco profonda, agiva sopra i suoi nervi,
subito le gambe e le braccia abbandonate a se stesse prendevano una
posa volgare e vigliaccamente tradivano l'antico tavoleggiante.
Ambrogio Piola vedeva molto
roseo quel giorno e il suo corpicciuolo si gonfiava di vanità
in quella falsa grandezza. Specialmente la casa signorile con le
fastose decorazioni della facciata, parte in cemento, parte in
stucco, lo faceva gongolare. La fantasia riscaldata gli figurava
l'orgoglio con cui la sua bella signora sarebbe entrata in quella
casa di sua proprietà, e quasi si pentiva di avere pensato a
venderla così subito. Non sarebbe stato meglio abitare quel
primo piano elegante invece del volgare quartierino in via della
Spiga? Che gioia per la sua Giulietta! Eh! sì certo.... Ma!...
Ci sarebbero voluti tanti denari a vivere in quel lusso; e lui non ne
aveva.... Ce n'erano troppo pochi. Se si metteva a spenderli,
sarebbero volati via in un momento quei pochi denari messi insieme
con tanta fatica.... Ah, no; per la Martina! La sua vecchia avarizia,
risvegliata in buon punto cacciava le suggestioni della vanità
e le debolezze di un amore senile.
- Apri gli occhi! Apri gli
occhi! - gli gridava la vecchia voce con l'accento del sospetto.
E il debole omino, tutto
spaventato dei pericoli in cui potevano ancora gettarlo certe
tentazioni, si aggrappava disperatamente alla fedele avarizia. Gli
eterni sospetti lo ripigliavano come serpi sguiscianti all'improvviso
dal covo; ed egli si metteva a interrogare Bitossi con insistenza
minuta su certi carri di mattoni, sul valore di certe travi; senza
neppure addarsi che ciò lo faceva scorgere allo Zibardi, senza
notare il sorriso canzonatorio di costui.
Bitossi rispondeva breve,
preciso, con una candidezza meravigliosa.
Ma il vinaio nicchiava.
Giunti sotto il tetto, i due
visitatori sostarono alquanto a contemplare lo spettacolo di quella
operosità. Tutti lavoravano e la lena di ciascheduno pareva
crescere d'ora in ora; come accade, del resto assai comunemente,
verso il declinare della giornata.
Il legname veniva tirato su;
le carrucole stridevano sott'al peso delle grosse travi. La
stabilitura interna dei muri era già quasi terminata nel
solaio, meno i punti dove il lavoro delle travature impediva il
libero movimento; alcuni muratori cominciavano a stabilire il quinto
piano: mentre moltissimi altri aiutavano i due falegnami e il fabbro
a formare i cavalletti, connettendo abilmente le travi negl'incastri;
picchiando a tutta forza sulle chiavarde; preparando le imbracature
di ferro. E tutto questo tramestìo produceva un rumore
intenso, che si allargava centuplicandosi nella sonorità degli
spazi vuoti.
Due giovani di aspetto molto
robusto picchiavano con pesanti martelli la poderosa capocchia di un
enorme chiodo destinato a congiungere le travi di un cavalletto; e i
colpi si alternavano con tale vertiginosa rapidità, che appena
l'un braccio s'alzava, piombava l'altro col grave martello, e subito
si rialzava per sottrarsi al colpo già imminente del primo. La
strana macchina, con le sue sbarre di muscoli, e d'ossa, adoperate
con tanto vigore e meccanica precisione, emanava uno strano fascino.
Il vinaio non poteva
distoglierne lo sguardo. Era la prima volta che Angiolo Zibardi
saliva sopra una fabbrica, e, in fondo in fondo, non si sentiva
perfettamente tranquillo. Il frastuono, l'altezza, i balconi senza
parapetto, le scale senza ringhiere e il suolo malfermo, e quei
martelli enormi maneggiati con tanta sicurezza, e quegli occhi
ardenti e scrutatori nei quali egli scontrava i suoi per ogni dove,
gli davano un penoso senso di vertigine e una occulta pena, difficile
a sormontare. In tale frangente, addio aristocratica rigidezza, addio
nobile contegno da gentiluomo, addio caramella ciondolante sul petto!
Dal fondo torbido della
coscienza egli sentiva sorgere un misterioso avvertimento. Se egli
fosse caduto un giorno sotto a quelle braccia robuste? E se quegli
occhi minacciosi avessero comandato il supplizio?...
Quante voci querule di donne
tradite avrebbero incitati i flagellatori!... Quante braccia scarne
di poveri affamati si sarebbero alzate per aiutarli!...
La terribile visione
ingrandiva; lo stuolo irato l'attorniava.
Ma egli era forte e scettico;
simili fantasmi potevano sorprenderlo un istante, non vincerlo. I
suoi nervi di popolano resistevano alle vertigini; sfatavano le
paurose visioni.
- Andiamo - disse al compagno,
piegando le labbra a un ghigno beffardo. - Ho visto abbastanza;
questo piccolo inferno fa girare il capo.
Andiamo pure - mugulò
Ambrogio Piola affrettando i piccoli passi. - Bisogna essere del
mestiere per resistere a tanto rumore.
E s'incamminarono, ripassando
in mezzo ai lavoranti che fischiavano, o canterellavano, o facevano
conversazione in un gergo pittoresco, gridando le parole da un capo
all'altro, lanciando i sarcasmi come sassate.
Presso alla scala una tavola
appoggiata al muro precipitò per l'urto di un garzone,
sollevando un nugolo di polvere.
Il vinaio ebbe un gesto di
collera e si voltò minaccioso, con una bestemmia.
Il garzoncello scappò.
Bitossi mormorò qualche
scusa.
Man mano che scendevano, il
frastuono si allontanava; rientravano in un ambiente più
calmo.
Dal pianterreno saliva la voce
fresca di un giovanotto che lavorava intorno a certe pietre, e
lavorando cantava:
Mi quand s'era piccolina
Me piaseva ‘l pan de
mèi,
Ma adess che sont grandina
Mi me pias i bei pivéi.
Una strana meteora sfolgorò
improvvisamente minando traverso i soffitti aperti e andò a
inabissarsi in un mucchio di sabbia a due passi dal tagliapietre.
Carlino e i suoi compagni,
però, non la intendevano a questo modo. Volevano mangiare i
polli, loro, e pregavano l'oste di cucinarli.
- Abbiamo messo insieme una
lira - diceva il piccolo Tamburini - venti centesimi per la cottura e
ottanta per il vino.
E faceva ballare i soldoni sul
palmo della mano. Gli altri ragazzi gridavano:
- Vogliamo i polli, vogliamo
il vino!
- Ma se siete in quindici! -
esclamò l'oste. - Vi toccherà un osso per uno!
Così, un po' ridendo,
l'oste prese i polli, allorchè intervenne sua moglie e con
essa la portinaia.
Apriti cielo! Egli voleva
cuocere quella roba? Tirarsi adosso chi sa che malanno! Non sapeva
che quelle bestie erano maleficate e che il solo toccarle poteva
essere causa di morte!... Non era passato un anno dacchè il
figliuolo del macellaio di via Cerva un giovanotto alto così,
e con un petto da corazziere, era morto da un'ora all'altra per aver
portato in casa una roba di quel genere. Lui voleva fare la stessa
fine... o Madonna santa dei sette dolori!...
E le due vecchie strillavano
così forte, e i ragazzi, alla loro volta, le apostrofavano con
tanta petulanza che l'oste, infastidito, scaraventò i
pollastri contro il loro proprietario.
- Andate all'inferno tutti.
Via di qui! Fuori!
Carlino afferrò i polli
al volo. E poichè nel frattempo egli aveva meditato sulla
sentenza dell'oste «non vi toccherà che un osso per uno»
se la diede a gambe avendo cura di lasciar cadere alcuni soldoni
perchè i suoi compagni si attardassero nel raccattarli.
Così li canzonò
tutti e tenne per sè solo i pollastri e il resto dei danari.
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