XVI
DOPO I FUNERALI
La folla ritornava dal
cimitero, una folla enorme, rumorosa. I funerali dei poveri muratori,
straordinari sotto ogni rapporto, avevano messo in moto mezza la
cittadinanza. Quanti fiori, quante lagrime veramente disperate,
quanti discorsi... e quanta vana retorica!...
Infiniti i commenti.
- È una lezione, -
dicevano gli ingenui; - una lezione per le Autorità, che
lasciano troppa libertà agli imbroglioni.
Gli scettici del popolino, i
più veri e completi scettici dell'universo, rispondevano
tranquillamente, senza ombra di sdegno:
- Cosa volete mai che
facciano? Hanno altro da pensare. Passato il bruciore, chi le ha
avute le ha avute; si andrà avanti come prima...
Luisina non s'era mossa dal
letto dove la inchiodava una febbre ardente. La madre e Sofia
Martinelli l'assistevano con assidua premara.
- Purchè non le venga
in mente di voler andare al cimitero! - aveva detto la buona Virginia
fin dal mattino, temendo ogni danno dalla sovraeccitazione dei
funerali e credendo, per contrapposto, che ogni pericolo sarebbe
scongiurato se riesciva a tenerla in casa quel giorno.
Ma Luisina non aveva
manifestata alcuna volontà di muoversi, conservando una calma
inaspettata che il medico attribuiva all'esaurimento nervoso; le
donne, alla Madonna di San Bernardino.
Sulla ringhiera, fin sulla
soglia della camera, dove si fermavano attirate dalla curiosità,
le vicine facevano un pispiglio, come di passere affaccendate.
E l'uscio socchiuso s'apriva
dolcemente, e le più ardite davano una capatina. La Virginia e
Sofia, alla loro volta, per quanto preoccupate, non potevano fare a
meno di nutrire una certa smania di sapere qualcosa intorno allo
spettacolo straordinario da cui il loro affetto per Luisa le aveva
tenute lontane.
- Bisognava vedere!...
Bisognava vedere!... - esclamavano le donnette con gli occhi
raggianti d'entusiasmo.
Le più eloquenti si
mettevano a descrivere, sempre a bassa voce, le maraviglie dei cinque
carri, tre grandi e due piccoli, lo splendore delle corone, che erano
tante e poi tante, e di fiori rari, specialmente sul carro di
Bitossi.
- Pss!. Che non senta per
l'amor di Dio!
E accennavano alla malata.
- Dorme... Un febbrone da
cavallo!...
- Povera figliola!
- E le carrozze?... Bisognava
vedere, ecco!... Cento carrozze di padronato almeno, e poi i landò
dell'Anonima in un lusso... Bisognava vedere... Non s'è mai
visto!
- Cinque bande! Una bellezza!
Non s'è mai visto una bellezza simile... Tutti piangevano!
- E la Tamburini?
- Oh! pover'anima! È in
sala Macchio, sempre delirante - rispondeva la donna gialla, tutta
umana e benigna. - Sono stata a vederla. Volevano mandarla a
Mombello, ma non è il caso; morirebbe per la strada.
- Meglio per lei se non
capisce più niente - disse la Virginia piagnucolando, con un
fare di scema che stringeva il cuore.
La Cesira, che in quei momenti
solenni non pensava più alle sue vendette personali, narrava
con molta animazione, di essersi trovata vicina al Tamburini, nel
cimitero, al momento che i necrofori toglievano le casse dai carri.
Appena viste le casse piccole
egli aveva cacciato un grido e s'era buttato sopra di traverso, non
permettendo che altri le toccasse. Pareva una bestia, coperto di
fango fino ai capelli; doveva essersi rotolato nella mota. Non si
poteva guardarlo senza piangere. Piangevano fino i becchini... fin le
guardie di questura!...
Ed ora queste donne piangevano
al solo ricordo; dimenticando le bande, le carrozze, i fiori, e tutte
le magnificenze che le avevano così potentemente distratte.
- Sulla bara del Bitossi -
entrò a dire la donna gialla, tanto per interrompere la Cesira
- parlò un signore... un signorone, uno del Municipio...
- Ma che! Era un operaio!
- Dico che era un signore!...
- Pss... Zitte!... Si è
riscossa. Per carità vadano fuori... scusino tanto.
Sofia riescì con la
pazienza a liberare la camera invasa da quelle chiacchierone; ma
Luisa era desta e aveva ascoltato.
- Sofia. Chiama un momento la
Cesira...
- Oh! Luisina! Perchè
vuoi rimescolarti ancora? Il dottore ha raccomandato...
- Ti prego, Sofia, chiama la
Cesira.
La Bellincioni fu richiamata.
- Son qui, Luisina. Va meglio?
Senza rispondere a questa
domanda, l'ammalata si tirò su, sul fianco destro, e
appoggiando il braccio al guanciale si preparò a discorrere.
Lei voleva sapere cosa si diceva del capomastro... del famoso Piloni.
Non l'avevano arrestato?
- Oh, giusto! neppure per
sogno. Se fosse stato un povero l'avrebbero arrestato subito. Invece,
da principio hanno detto che l'arrestavano, ma tirando le cose per le
lunghe tanto da lasciargli il tempo di svignarsela...
- È scappato?! - gridò
Luisina pallida di sdegno.
- Io non credo. È una
chiacchiera che hanno messo fuori, ma sono certa che lui è
tranquillo in casa.
- Come lo sa? - domandò
Sofia ingenuamente.
- Lo so, così. È
chiuso in casa a accomodare i conti; vale a dire a far sparire i
soldi. Intanto si è dichiarato fallito; così non paga
danni e chi le ha prese son sue. Dicono che il Tamburini sia andato
per ammazzarlo; ma il portinaio non lo lasciò passare. Credo
bene, con quella faccia! Se avessi io qualcuno da vendicare, saprei
bene come trovarlo!
- Come? - domandò
l'ammalata con simulata indifferenza.
La Cesira ebbe un momento di
esitazione: guardò la signora Sofia, quasi che le avesse
imposto un certo riguardo; poi con una scrollatina di spalle e un
sorrisetto malizioso, riprese:
- S'intende che bisogna essere
una donna giovane e belloccia. In questo caso, basta presentarsi con
un fare un po' imbarazzato, come una che fa il suo primo scappuccio,
e dire: «Mi manda la sora Candida di via Alciato». Detto
e fatto. C'è l'ordine di lasciar passare, per tutta la carne
fresca, come dal famoso vinaio di Porta Romana.
Questa allusione allo Zibardi
fece corruscare i grandi occhi neri nel viso pallido della
stiratrice; ma senza mostrarsi commossa domandò:
- Come! Anche in questi
momenti?
- Oh, certo. Perchè
dovrebbe cambiare le sue abitudini? Tanto, arrestarlo non
l'arrestano; e da qui al giorno del processo e della condanna,
ammesso che ci arrivino, ne passerà del tempo! Fanno tutto
adagio quando si tratta di signori.
Luisina tacque; fece un
piccolo cenno con la testa e s'abbandonò sui guanciali, come
se non potesse più reggersi dalla stanchezza. Le sue palpebre
calarono lentamente a velare lo sguardo che fissava la Bellincioni
con una intensità straordinaria.
Costei sorrise in pelle; poi
salutò e si ritrasse «per non disturbare».
Anche Sofia, vedendo che la
sua povera amica pareva assopita e aveva bisogno di riposo, pensò
di poterla affidare alle cure della madre.
A lei pareva mille anni di
rivedere il suo Diego, che doveva essere ritornato dal cimitero, con
grande bisogno di conforto.
Sola con la madre, Luisina
continuò a fingere di dormire, mentre un pensiero assiduo la
teneva desta maturandosi nel suo cervello.
Fin dal primo momento dopo la
morte di Francesco, quando l'avevano strappata dal cadavere e portata
a casa quasi in delirio, era sorto in lei il terribile pensiero della
vendetta. La debolezza e l'abbattimento non le permettevano di
formare un proposito. D'altra parte ella credeva che la giustizia
dovesse punire il colpevole. La vendetta solenne della società,
il castigo pubblico infamante del reo, pareva a lei una soddisfazione
dovuta alle famiglie delle vittime, a tutta la classe dei lavoratori.
L'amara esperienza delle cose
umane non le aveva tolta ancora ogni fede. Le parole della Cesira,
provandole che non poteva contare su gli altri, avevano gettato nel
medesimo tempo un vivo sprazzo di luce nella sua coscienza. Ciò
ch'ella pensava e voleva confusamente da oltre due giorni prendeva
ora una forma più determinata.
Voleva la morte di quell'uomo:
il sangue per il sangue.
Meglio se i tribunali non se
ne immischiavano.
La loro sentenza sarebbe stata
troppo mite - anzi derisoria - di fronte al male che egli aveva
fatto.
Meglio nulla.
Così ella poteva
intervenire con più ragione, punire con maggior diritto.
Questa parola «diritto»
e le idee che essa sollevava nella sua anima sconvolta, la colpirono
e la fecero lungamente riflettere. Diritto?... Diritto di uccidere un
uomo?... di commettere un peccato così grande?...
Brani di discorsi, di
sentenze, di sermoni... le stesse parole di Francesco le si
aggiravano nella mente, e la rendevano perplessa, incerta.
Ma l'immagine di Francesco
agonizzante, sanguinolento, col viso quasi irriconoscibile, che le si
riaffacciava continuamente, con paurosa evidenza, allontanava ogni
dubbio, ogni perplessità. Ella doveva vendicarlo, dacchè
nessuno lo vendicava. L'uomo che aveva fatto tanto male a Francesco e
cagionata la sua morte insieme a quella degli altri poveretti doveva
essere punito. E se nessuno lo puniva, se la giustizia pubblica non
se ne curava, voleva dire che toccava a lei, a lei sola… che
era il suo diritto e il suo dovere.
Quel pensiero le veniva da
Dio; la Madonna santa le avrebbe dato il coraggio. Aveva la pezzuola
benedetta, se la sarebbe involta attorno al braccio...
Tornava a smarrirsi; le sue
idee si confondevano. Le pareva di sognare. Qualcuno l'accusava; la
trascinavano in Tribunale: ella si difendeva.
Era stata lei, sì!...
Non negava. Era stata lei; era ben contenta di averlo fatto.
Ebbene?... Che cosa intendevano? Castigarla? Ah! ah! ah!... Se era
permesso ad un uomo di vivere e spassarsela allegramente dopo di
avere cagionata la morte di tanti innocenti, doveva pure essere
permesso che una creatura rovinata da un mostro simile, una creatura
disperata, pazza di dolore, gli rompesse la testa, per vendicare i
suoi poveri morti!
Che cosa dicevano?... Eh?...
La premeditazione?... Sicuro, lei aveva premeditato... sfido!., era
andata a cercarlo apposta!
E il delitto del Piloni non
era premeditato forse? Perchè aveva ucciso? Per interesse... E
deliberatamente! Poichè non si poteva già dire che gli
fosse accaduta una disgrazia imprevista... Che lui non sapesse a cosa
andava incontro. No!... questo non si poteva dire.
Egli sapeva benissimo; sapeva
che una casa così mal fabbricata, con materiale così
cattivo, sarebbe cascata una volta o l'altra per un incidente
qualunque. Soltanto egli non credeva, naturalmente, che dovesse
cadere così presto; non credeva di ammazzare i suoi muratori;
ma era indifferente all'idea di ammazzare i futuri inquilini.
Dunque?... Un vigliacco assassino, pronto a sacrificare la vita di
tanta povera gente ignara e fiduciosa per guadagnare alcune migliaia
di lire più dell'onesto. E nessuno lo puniva!... E chi sa
quanti ce n'erano, chi sa quanti che facevano come lui!... E nessuno
li puniva. Ebbene, lei aveva voluto punirne uno - una volta tanto!
Aveva tutto il diritto; ben più: il dovere. Non aveva egli
ucciso Francesco? Vita per vita, sangue per sangue...
Povero Francesco! Povero
Francesco, morto per l'interesse di quell'esoso, dopo tanti
dispiaceri, dopo tanti sacrifizi!... Morto di quella morte orribile,
per un usuraio maledetto!... E gli altri?!... Quei due poveri ragazzi
della disgraziatissima Tamburini... e quei due manuali tutti e due
ammogliati e con tre o quattro figli?!...
E colui doveva vivere? Vivere
per ricominciare da capo?... Ah no! per Iddio santo, no!
Ella gridava forte, ripresa
dal delirio, con la febbre che le martellava i polsi.
E la Virginia piangeva,
spaventata di vedere in quello stato la sua disgraziata figliola.
- Luisina! Oh, Luisina!... Che
hai?... Torni a vagellare; per carità, figliola mia,
svegliati, ascoltami...
- Mamma... Che è stato?
Che cosa ho detto?
- Non so bene... Certe cose.
Calmati, ti prego. Non pensare a quello che è stato. Prega la
Madonna... prega, figliola mia; la Madonna benedetta ti aiuterà.
- Sì, mamma... sì.
Ho soltanto sognato.
E per uno sforzo psichico
straordinario, sostenuto dall'idea fissa della vendetta, ella si
calmò veramente.
- Vuoi la medicina?
- Sì.
La prese e finse di dormire.
Passò un'ora così.
Si faceva notte. La Virginia
pensava che la sua padrona le aveva mandato a dire di non lasciarla
senza servizio anche quel giorno, di andarci almeno per una mezz'ora,
almeno la sera, se non poteva la mattina. E lei bruciava di
andarci... Se Luisina fosse rimasta così tranquilla, l'avrebbe
raccomandata alla signora Sofia o alla Cesira. Come se avesse
penetrato i pensieri della madre, Luisina aprì gli occhi.
- Mamma - disse - va dalla
signora; sto meglio; non ho bisogno di nulla.
- Dici davvero?
- Sì, mamma.
- Sia benedetto Iddio! Allora
vado. Dirò alla sora Sofia di venir su appena può.
- No. Ti pare? Abbastanza se
n'è presa dei disturbi per me. Lasciala desinare in pace col
suo Diego. Verrà bene poi. Io ora non ho bisogno... Va... va!
Appena sola, Luisina tirò
un respirone; prese i vestiti di sulla seggiola accanto al letto e
cominciò a vestirsi.
Tremava tutta, e aveva dei
riscossoni che le facevano battere i denti. Ma la sovraeccitazione
del cervello vinceva la debolezza.
Quando ebbe infilate le calze
e le scarpe, scese a terra, si agganciò la fascetta, la serrò
bene perchè voleva mettersi l'abito più attillato; levò
dal cassettone una sottana inamidata, poi l'abito della festa, quello
nuovo di lana verde mirto, che faceva parte del suo corredo di sposa.
Prima d'indossarlo si lavò
la faccia con l'acqua fredda e le parve di provarne un effetto
benefico; si acconciò i capelli col garbo solito. Stentò
un pochino ad abbottonare la vita dell'abito per quel maledetto
tremito delle mani; ma finalmente vi riescì.
Allora prese il suo velo di
trina nera e se l'appuntò con gli spilloni di jais facendolo
scendere un po' sulla fronte. Si guardò nello specchio, al
lume di una candela, e le parve di essere ancora, come aveva detto la
Cesira, una bella ragazza bianca come una carta da scrivere, con gli
occhi più grandi, più neri, più luminosi del
solito. Se era vero quello che diceva la Cesira, l'avrebbero lasciata
passare di certo.
Ora tutto stava a potersi
impadronire dell'arma necessaria. A buon conto si era legata in vita,
sotto il vestito una lunga tasca che le serviva per quando andava a
far la spesa, e la cui apertura rispondeva a una apertura della
gonna.
La corte era quasi buia.
Nell'osteria alcuni uomini discorrevano ad alta voce dei funerali,
dei morti e di quella canaglia del capomastro, che se ne stava
tranquillamente in casa e si dichiarava fallito.
Luisina scese la scala adagio
adagio perchè i ginocchi le si piegavano un po’ e la
testa le girava.
Incontrò dei ragazzi
che la guardarono curiosamente, ma non dissero nulla; i vicini erano
quasi tutti in casa a cenare.
Sul pianerottolo del primo
piano fu raggiunta dalla Cesira che scendeva a precipizio, e nel
passarle accanto le disse:
- Va a pregare, eh? Brava! La
Madonna l'aiuterà.
Luisina fece un piccolo cenno
del capo e continuò la sua discesa. Siccome la sua scala
sboccava a metà della corte, ella doveva necessariamente
passare davanti all'abitazione dei Martinelli. Nulla di strano
ch'ella vi entrasse: ma se Diego e Sofia la vedevano, non l'avrebbero
più lasciata uscire.
Come fare?
Le batteva il cuore forte
forte e un lungo brivido l'agitava. Quest'agitazione però le
veniva soltanto dal timore di essere scorta o allontanata
dall'esecuzione del suo progetto. Del resto, non un dubbio, nessun
terrore, nessuna debolezza.
Guardò un momento
traverso i vetri: buio. Erano in cucina: si sentivano le voci.
L'uscio era socchiuso... e quella voce di donna così festosa e
squillante non era di Sofia... Ah! la Cesira!... Lei aveva lasciato
l'uscio socchiuso; lei teneva occupati i due amanti, parlando forte,
perchè non sentissero altri rumori... Che astuta complice!
Luisina ebbe una sensazione di
ribrezzo che la fece sostare un istante. Il pensiero di ritornare sui
suoi passi le attraversò la mente come un lampo. L'idea fissa
trionfò ancora. Tanto meglio se qualcuno l'aiutava. Dio voleva
così... Era il destino.
Entrò senz'altre
esitanze.
Andò diritto al posto
dove erano appese le armi, cercò nella penombra, guidata dal
filo di luce che veniva dalla cucina, la piccola rivoltella sempre
carica.
Il contatto del ferro freddo
la fece sussultare.
Sentì la voce di Sofia
e le parve che parlasse di lei; ebbe un intenerimento ma non volle
ascoltare; s'irrigidì contro quella debolezza del cuore.
La voce forte della Cesira
ripigliò...
Luisina nascose l'arma nella
grande tasca interna, e uscì con la massima precauzione.
La prima difficoltà era
vinta.
Ella pensava ai due buoni
amici che lasciava dietro di sè, e alla infelice madre... Non
le aveva neppur dato un bacio! Chi sa se la rivedrebbe più!...
Gli occhi le si empirono di
lagrime, sentì una gran stanchezza, un sudore diaccio alle
tempie, sulla schiena... E tuttavia non esitò; non ebbe alcuna
titubanza.
Era il suo diritto; era il suo
dovere! Sofia l'avrebbe approvata.
Nell'androne, presso la porta
di strada, stava la portinaia a discorrere con la macchinista e la
sora Marianna, fatte amiche dal comune dispetto contro la Cesira.
Luisina sgusciò via
diritta senza guardarle.
Ma non aveva fatto due passi,
che sentì la donna gialla esclamare:
- Tò, tò! La
Terragni, che pareva morta, la va già a spasso. Ne ha già
trovato uno nuovo?... Chi sarà?
E risero tutte insieme.
Luisina affrettò il
passo per non sentirle. Senza collera, però; senza rancore.
Trovava quasi naturale che
pensassero così, che la supponessero capace... Che ne sapevano
loro? Non potevano mica immaginare dove lei andava... e neppure che
avesse amato Francesco di un amore così grande, così
diverso dai loro amori.
Lei stessa, se le avessero
detto sei mesi prima che avrebbe pensato come pensava e avrebbe fatto
quello che faceva, per l'amore di un uomo... Dio! Dio! Non l'avrebbe
mai più creduto.
Sei mesi!... Le parevano
vent'anni, tanto diversa si sentiva!
Pure non sarebbe tornata
indietro. Nel più acuto spasimo non si sarebbe ricambiata con
quella che era allora; perchè l'amore di Francesco era tutta
la sua vita; e la vita senza l'amore di Francesco le pareva
insoffribile.
Questi pensieri passavano
rapidi e confusi traverso la sua mente; come sul cielo nero, in una
notte di tempesta, passano le nuvole incalzate dal vento. L'occhio
misterioso del cervello - scoperto dalla scienza tanto tempo dopo che
la coscienza umana lo aveva intuito - l'occhio interno era sempre
fisso nella visione di morte, nel pensiero di vendetta. L'immagine di
Francesco, quale le era apparso quando l'avevano portato fuori dalle
rovine, le stava sempre davanti. Vedeva quel viso disfatto e lo
sguardo supremo che dice addio alla vita, addio alla luce.
Tutta la sua forza, tutto il
suo coraggio veniva da quella visione e dallo spasimo che le faceva
provare.
Forse, se l'avessero lasciata
sola subito, allorchè la salma di Francesco veniva tolta ai
suoi baci disperati, ella sarebbe corsa a buttarsi in acqua, o sotto
un carrozzone per essere stritolata; ma appena passato quel primo
istante, la reazione si era fatta nella sua fibra robusta di
popolana. Tutti i dolori passati l'aveva riassalita; aveva quasi
rivissuto, in quei giorni d'agonia, in quelle notti senza sonno,
tutta la propria vita e quella di Francesco: la miseria, le angosce,
gli schianti, le umiliazioni; il tradimento dello Zibardi; la morte
del bimbo a Santa Caterina... e poi, la prigionia di Francesco, le
persecuzioni della Questura, le infamie del Piloni e l'orrenda
catastrofe, il corpo sanguinolento, il viso disfatto, gli occhi
spenti... E in fondo a tutti questi dolori, ella aveva trovato, unica
causa: la prepotenza altrui, la ingiustizia trionfante, eretta a
sistema. Così era scoppiato nell'anima sua, per un impulso
invincibile di forza troppo compressa, l'urlo della rivolta.
- Ammazzerò! Ammazzerò!
- aveva gridato sul suo letto di dolore mordendo le coltri per non
essere intesa.
Le giustificazioni, i
ragionamenti erano venuti poi, per combattere i dubbi e sostenere la
volontà vacillante.
Ma la sua vera forza veniva
dall'istinto della rivolta e della difesa contro gli strazi patiti,
contro le feroci ingiustizie.
«Non si deve uccidere -
aveva detto Francesco. - L'omicidio, come ogni violenza, nuoce alla
causa popolare».
Queste parole del suo povero
amico le tornarono alla memoria improvvisamente, mentre varcava il
ponte; ma neppure esse ebbero la forza di arrestarla.
Semplicemente pensò:
- Se tu non fossi morto,
Francesco mio, se non ti avessi visto così... Se non sapessi
quanto hai patito... e poi tutto il resto... Quando succedono di
queste cose, non si può... È necessario!
E tirò innanzi diritta.
Il Piloni abitava in via
Larga. Luisina, uscendo dall'angusta via di San Pietro in Gessate,
aveva attraversato la piazzetta del Sole e il ponte sopra il
Naviglio, allorchè, fatti pochi passi ancora, vide due uomini
che sedevano davanti al Caffè Porati, bevendo e ciarlando.
Riconobbe subito Angiolo
Zibardi in uno di quei due uomini, e le parve che egli la guardasse e
che un sorriso maligno spuntasse sulle sue labbra.
Il sangue le affluì al
cuore, impallidì e vacillò.
Fu una commozione rapida,
quasi soltanto meccanica. L'idea fissa che accaparrava tutte le sue
facoltà non lasciava alcun posto ad altre impressioni
profonde.
Passò innanzi più
rigida con quell'incedere speciale dei sonnambuli e delle persone che
una preoccupazione violenta domina completamente.
Giunta alla casa del Piloni,
raccolse tutte le sue forze, e si fece innanzi trepidante e confusa,
senza bisogno di finzione alcuna, proprio come una che fa il suo
primo scappuccio, come aveva detto la Bellincioni.
- Mi manda la sora Candida di
via Alciato: devo fare una commissione per il sor capomastro
Piloni...
La portinaia la guardò
stupita e dolente, ma senza alcuna diffidenza.
- Il sor Piloni! Uh! Si
figuri!... Non sa della disgrazia? Non sa che gli è rovinata
la fabbrica al Lazzaretto?...
Luisina fece un atto dubbio di
sgomento e sorpresa.
- Ma sicuro. Una affare grave!
Come mai non glie 1'ha detto la sora Candida?
Sbalordita da tante parole e
temendo che la donna entrasse in qualche sospetto, Luisina fece sopra
di sè uno sforzo supremo e rispose arditamente:
- Sono alcuni giorni che la mi
diede questa commissione, ma non ho potuto perchè avevo la
mamma malata; poi la sora Candida non l'ho più vista...
- Ah... adesso capisco! Eh,
figliuola bella, mi dispiace ma ha tardato troppo. Non c'è più
il sor Piloni... È sfumato!... Non capisce? Scappato, fin da
ieri sera. Si figuri che volevano fargli la festa... così!
Nientemeno. Brutti scherzi, eh!... Basta, dicono se lo sia meritato.
Io non c'entro. Vero è che venne qui un tale, una faccia da
segnarsi e voleva assolutamente parlare al capomastro, perchè
lui era il padre dei due ragazzi rimasti sotto e ci aveva la moglie
pazza... e il Piloni doveva dargli soddisfazione. Si figuri lei!
Abbiamo dovuto chiamar le guardie. Saputo questo il sor capomastro
non volle aspettare altro... lo credo io! Fece venire una carrozza e
via alla stazione. Bisognava vedere come tremava e come era smorto,
povero omaccione!
- E quando ritorna? - domandò
Luisina nel suo sbalordimento. - Quando ritorna?
La donna fece una risata
sonora. Quella ragazza le pareva molto ingenua e anche stupida.
- Quando ritorna!... Si
immagini; non voleva fare altro che dirlo a me! Io però credo
che non ritornerà per un pezzo. A dirgliela in confidenza c'è
una processione di creditori, tra gli altri il sor Piola, il socio,
un omino piccino, che urla e strepita, si dimena come un battaglione
d'indemoniati... Si metta il cuore in pace, figliola cara; non le
mancheranno occasioni migliori... E mi saluti tanto la sora Candida.
Affranta, avvilita, il cuore
arso da un furore concentrato, in uno stato tale da non sentire
neppure il rossore della vergogna che le infuocava le guance, Luisa
uscì da quella casa.
La sua missione era fallita;
le forze l'abbandonavano.
Senza sapere, nel grave
disordine della sua mente, voltò a sinistra e s'inoltrò
per via Larga, allontanandosi dalla sua abitazione. Tremava; e il
passo incerto la faceva traballare. Le ronzavano gli orecchi. Le
pareva che una voce beffarda le gridasse:
- Fuggito! libero! Nessuno lo
punirà.
Si sentiva impazzire, e andava
innanzi a caso senza sapere a qual meta.
La via era quasi deserta e mal
rischiarata dai lampioni troppo radi. Luisina non vedeva; ma tutto a
un tratto la sua attenzione fu fermata da due uomini che camminavano
davanti a lei.
Uno, il più alto ed
elegante, diceva appunto ad alta voce e ridendo forte:
- L'ho io scappata poco bella?
Quel burlone ha fatto di tutto perchè comprassi quel suo
marciume di fabbrica. Va a pigliarli i merli, o buffone d'un buffone!
Questa voce scrosciante e
volgare, piena di un trionfale sarcasmo, penetrò come un ferro
diaccio nelle viscere di Luisina.
Meccanicamente le sue labbra
pronunciarono il nome del traditore:
- Angiolo Zibardi!...
L'impressione rapida e confusa
che aveva ricevuta, pochi momenti prima passando davanti al Caffè
Porati, le si rinnovò - per una ripercussione misteriosa -
limpida, precisa.
Egli aveva riso di lei, come
rideva adesso, di quel suo riso ironico! l'aveva schernita con quel
suo compagno.
Vigliacco!
Ora andava a spasso, forse al
teatro, o in società, vantandosi, al solito, della sua
intelligenza e dei buoni affari che lui sapeva fare... perchè
lui era un uomo abile e fortunato e tutto gli riesciva.
Ella ebbe un riso interno, di
un sarcasmo così feroce, così nuovo per lei... un riso
che le diede la vertigine. Il sangue le affluì al cervello
come una fiammata di legna secca; si sentì ebbra, e la strana
ebbrezza s'impadronì di tutto il suo essere.
Come accade a volte agli
uomini di genio, che il loro cervello s'illumina improvvisamente, e
fanno una scoperta fino allora insperata, ella credette scorgere il
destino suo al corruscare di quella fiamma interna.
Fu una visione istantanea che
le mostrò lo Zibardi boccheggiante ai suoi piedi. E senza
riflettere, senza alcun atto determinante della volontà, portò
una mano alla tasca e ne estrasse la rivoltella.
Un monello che le veniva
incontro fischiando si accorse di qualche cosa, ma non fece motto;
soltanto quando l'ebbe oltrepassata si fermò e si voltò
a guardarla stupito e curioso.
Luisina aveva preso la
rincorsa e appuntava l'arma quasi a bruciapelo contro la schiena
larga e superbamente eretta del ricco vinaio.
Il colpo partì e l'uomo
cadde bocconi, la faccia sui ciottoli.
FINE
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