Agita in riva
dell’Isonzo il fato,
Italia, le tue sorti; e taciturna
Su te l’Europa il suo pensier
raccoglie.
Stansi a fronte, ed il brando
insanguinato
Ferocemente stendono sull’urna
Lamagna e Francia con opposte
voglie;
Ch’una a morte ti toglie,
E dárlati crudel l’altra procura.
Tu muta siedi; ad ogni scossa i
rai
Tremando abbassi, e nella tua
paura
Se ceppi attendi o libertà non
sai.
Oh più vil che
infelice! oh de’ tuoi servi
Serva derisa! Sì dimesso il volto
Non porteresti e i piè dal ferro
attriti,
Se pel natio vigor prostrati i
nervi
Superba ignavia non t’avesse e il
molto
Fornicar co’ tiranni e co’ leviti:
Onorati mariti,
Che a Caton preponesti, a Bruto, a
Scipio!
Leggiadro cambio, accorto senno in
vero!
Colei che l’universo ebbe
mancipio,
Or salmeggia; e una mitria è il
suo cimiero.
Di quei prodi
le sante ombre frattanto
Romor fanno e lamenti entro le
tombe,
Che avaro piè sacerdotal calpesta;
E al sonito dell’armi, al fiero
canto
De’ franchi mirmidóni e delle
trombe,
Sussurrando vendetta alzan la
testa.
E voi l’avrete, e presta,
Magnanim’ombre. L’itala fortuna
Egra è sì, ma non spenta. Empio
sovrasta
Il fato, e danni e tradimenti
aduna:
Ma contra il fato è Bonaparte; e
basta.
Prometeo nuovo
ei venne, e nell’altera
Giovinetta virago cisalpina
L’etereo fuoco infuse, anzi, il
suo spirto.
Ed ella già calata ha la visiera;
E il ferro trae, gittando la
vagina,
Desïosa di lauro e non di mirto.
Bieco la guata ed irto
Più d’un nemico; ma costei nol
cura.
Lasciate di sua morte, o re, la
speme:
Disperata virtù la fa secura,
Nè vincer puossi chi morir non
teme.
Se vero io
parlo, Crèmera vel dica,
E di Coclite il ponte, e quel di
Serse,
E i trecento con Pluto a cenar
spinti.
E noi lombardi petti, e noi
nutrica
Il valor che alle donne etrusche e
perse
Plorar fe’ l’ombre de’ mariti
estinti.
Morti sì, ma non vinti,
Ma liberi cadremo, e armati, e
tutti:
Arme arme fremeran le sepolte
ossa,
Arme i figli, le spose, i monti, i
flutti;
E voi cadrete, o troni, a quella scossa.
Cadrete; ed
alzerà Natura alfine
Quel dolce grido che nel cor si
sente,
Tutti abbracciando con amplesso
eguale;
E Ragion sulle vostre alte ruine
Pianterà colla destra onnipossente
L’immobil suo triangolo immortale.
Ira e fiamma non vale
Incontro a lui di fulmini terreni,
E forza in van lo crolla ed
impostura:
Dio fra tuoni tranquillo e fra
baleni
Tienvi sopra il suo dito e
l’assecura.
Tu, primo degli
eroi, che su l’Isonzo,
Men di te stesso che di noi
pensoso,
Dei re combatti il perfido desìo;
Tu, che, se tuona di Gradivo il
bronzo,
Fra le stragi e le morti polveroso
Mostri in fragile salma il cor
d’un dio;
All’ostinato e rio
Tedesco or di’ che sul Tesin
lasciata
Hai la donna dell’Alpi ancor
fanciulla,
Ma ch’ella in mezzo alle battaglie
è nata
E che novello Alcide è nella
culla.
Molti per via
le fan villano oltraggio,
Ricchi infingardi, astuti cherci,
ed altra
Gente di voglie temerarie e prave.
Ella passa e non guarda; ed in suo
saggio
Pensier racchiusa non fa motto; e
scaltra
Scuote intanto i suoi mali, e
nulla pave.
Così lion, cui grave
Su la giubba il notturno vapor
cada,
Se sorride il mattin
sull’orizzonte,
Tutta scuote d’un crollo la
rugiada,
E terror delle selve alza la
fronte.
Canzon, l’italo
onor dal sonno è desto;
Però della rampogna,
Che mosse il tuo parlar, prendi
vergogna.
Ma, se quei vili che son forti in
soglio
T’accusano d’orgoglio,
Rispondi: Italia sul Tesin
v’aspetta
A provarne la spada e la vendetta.
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