Pensiero d’Amore (viii)
Alta è la notte, ed in profonda
calma
Dorme il mondo sepolto, e in un
con esso
Par la procella del mio cor
sopita.
Io balzo fuori delle piume, e
guardo;
E traverso alle nubi, che del
vento
Squarcia e sospinge l’iracondo
soffio,
Veggo del ciel per gl’interrotti
campi
Qua e là deserte scintillar le
stelle.
Oh vaghe stelle! e voi cadrete
adunque,
E verrà tempo che da voi l’Eterno
Ritiri il guardo, e tanti Soli
estingua?
E tu pur anche coll’infranto carro
Rovesciato cadrai, tardo Boote,
Tu degli artici lumi il più
gentile?
Deh! perché mai la fronte or mi
discopri,
E la beata notte mi rimembri,
Che al casto fianco dell’amica
assiso
A’ suoi begli occhi t’insegnai col
dito!
Al chiaror di tue rote ella
ridenti
Volgea le luci; ed io per gioia
intanto
A’ suoi ginocchi mi tenea
prostrato
Più vago oggetto a contemplar
rivolto,
Che d’un tenero cor meglio i
sospiri,
Meglio i trasporti meritar sapea.
Oh rimembranze! oh dolci istanti!
io dunque,
Dunque io per sempre v’ho perduti,
e vivo?
E questa è calma di pensier? son
questi
Gli addormentati affetti? Ahi, mi
deluse
Della notte il silenzio, e della
muta
Mesta Natura il tenebroso aspetto!
Già di nuovo a suonar l’aura
comincia
Dei miei sospiri, ed in più larga
vena
Già mi ritorna su le ciglia il
pianto.
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