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Vincenzo Monti
Poesie

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE II SERMONI, IDILLI, CANTI
    • ALLA MARCHESA Anna Malaspina della Bastia
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ALLA MARCHESA
Anna Malaspina della Bastia

DEDICATORIA DELL’AMINTA DI T. TASSO

A NOME DEL TIP. PARMENSE G.B. BODONI

 

I bei carmi divini, onde i sospiri

In tanto grido si levâr d’Aminta,

Sì che parve minor della zampogna

L’epica tromba, e al paragon geloso

Dei primi onori dubitò Goffredo,

Non è, donna immortal, senza consiglio

Che al tuo nome li sacro, e della tua

Per senno e per beltade inclita figlia

L’orecchio e il core a lusingar li reco,

Or che di prode giovinetto in braccio

Amor la guida. Amor più che le Muse

A Torquato dettò questo gentile

Ascreo lavoro; e infino allor più dolce

Linguaggio non avea posto quel dio

Su mortal labbro, benchè assai di Grecia

Erudito l’avessero i maestri,

E quel di Siracusa, e l’infelice

Esul di Ponto. Or qual v’ha cosa in pregio

Che ai misteri d’Amor più si convegna

D’amoroso volume? E qual può dono

Al genio Malaspino esser più grato

Che il canto d’Elicona? Al suo favore

Più che all’ombre cirrèe crebber mai sempre

Famose e verdi l’apollinee frondi,

«Onor d’Imperatori e di Poeti».

Del gran padre Alighier ti risovvenga,

Quando ramingo dalla patria e caldo

D’ira e di bile ghibellina il petto,

Per l’itale vagò guaste contrade,

Fuggendo il vincitor guelfo crudele,

Simile ad uom che va di porta in porta

Accattando la vita. Il fato avverso

Stette contra il gran Vate, e contra il fato

Morello Malaspina. Egli all’illustre

Esul fu scudo: liberal l’accolse

L’amistà sulle soglie, e il venerando

Ghibellino parea Giove nascoso

Nella casa di Pelope. Venute

Le fanciulle di Pindo eran con esso,

L’itala poesia bambina ancora

Seco traendo, che gigante e diva

Si fe’ di tanto precettore al fianco;

Poichè un nume gli avea fra le tempeste

Fatto quest’ozio. Risonò il castello

Dei cantici divini, e il nome ancora

Del sublime cantor serba la torre.

Fama è ch’ivi talor melodïoso

Errar s’oda uno spirto, ed empia tutto

Di riverenza e d’orror sacro il loco.

Del vate è quella la magnanimombra,

Che tratta dal desío del nido antico

Viene i silenzi a visitarne; e grata

Dell’ospite pietoso alla memoria,

De’ nipoti nel cor dolce e segreto

L’amor tramanda delle sante Muse.

E per Comante già tutto l’avea,

Eccelsa donna, in te trasfuso: ed egli,

Lieto all’ombra de’ tuoi possenti auspici,

Trattando la maggior lira di Tebe,

Emulò quella di Venosa, e fece

Parer men dolci i savonesi accenti;

Padre incorrotto di corrotti figli,

Che prodighi d’ampolle e di parole,

Tutto contaminâr d’Apollo il regno.

Erano d’ogni cor tormento allora

Della vezzosa Malaspina i neri

Occhi lucenti; e corse grido in Pindo

Che a lei tu stesso, Amor, cedesti un giorno

Le tue saette, s’accorse l’arco

Del già mutato arciero: e se il destino

Non s’opponeva, nel tuo cor s’apria

Da mortal mano la seconda piaga.

Tutte allor di Mnemosine le figlie

Fur viste abbandonar Parnaso e Cirra,

E calar su la Parma; e le seguía

Palla Minerva, con dolor fuggendo

Le cecropie ruine. E qui, siccome

Di Giove era il voler, composto ai santi

Suoi studi il seggio, e degli spenti altari

Ridestate le fiamme, d’Academo

Fe’ riviver le selve, e di sublimi

Ragionamenti risonar le vôlte

D’un altro Peripato, che di gravi

Salde dottrine, dagli eterni fonti

Scaturite del ver, vincea l’antico.

Perocchè, duce ed auspice Fernando,

D’un Pericle novel l’opra e il consiglio,

E la beltate, l’eloquenza, il senno

D’un’Aspasia miglior, scienze ed arti,

Che le città fan belle e chiari i regni,

Suscitando allegrâr Febo e Sofia.

Tu fulgidastro dell’ausonio cielo,

Pieno d’alto saver, splendesti allora,

Dotto Paciaudi mio; nome che dolce

Nell’anima mi suona, e sempre acerba,

Così piacque agli Dei, sempre onorata

Rimembranza sarammi. Ombra diletta

Che sei sovente di mie notti il sogno,

E pietosa a posarti in su la sponda

Vieni del letto ov’io sospiro, e vedi

Di che lagrime amare io pianga ancora

La tua partita; se laggiù ne’ campi

Del pacifico Eliso, ove tranquillo

Godi il piacer della seconda vita;

Se colà giunge il mio pregar, troppo

S’alza su l’ali il buon desîo, Torquato

Per me saluta, e digli il lungo amore

Con che sculsi per lui questa novella

Di tipi leggiadria; digli in che scelte

Forme più care al cupidocchio offerti

I lai del suo pastor fan dolce invito;

Digli il bel nome che gli adorna, e cresce

Alle carte splendor. Certo di gioia

A quel divino rideran le luci,

Ed Anna Malaspina andrà per l’ombre

Ripetendo d’Eliso, e fia che dica:

Perchè non l’ebbe il secol mio! memoria

Non sonerebbedolente al mondo

Di mie tante sventure. E, se domato

Non avessi il livor (chè tal nemico

Mai non si doma, Maron lo vinse,

il Meonio cantor), non tutti almeno

Chiusi a pietade avrei trovato i petti.

Stata ella fôra tutelar mio nume

La parmense eroina; e di mia vita

Ch’ebbe dall’opre del felice ingegno

lieta aurora e splendido meriggio,

Non forse avrebbe la crudel fortuna

amor tiranno in negre ombre ravvolto

L’inonorato e torbido tramonto.




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