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Vincenzo Monti
Poesie

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  • PARTE II SERMONI, IDILLI, CANTI
    • Le nozze di Cadmo e d’Ermione
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Le nozze di Cadmo e d’Ermione

 

IDILLIO

 

Il giorno ch’Ermïon, di Citerea

Alma prole e di Marte, iva di Cadmo

All’eccelso connubio, e la seguía

Tutta fuor Giuno, degli Dei la schiera,

Gratulando al marito e presentando

Di cari doni la beata sposa,

Col delio Apollo a salutarla anch’esse

Comparvero le Muse. Una ghirlanda

Stringea ciascuna d’olezzanti fiori

(Sempre olezzanti, perché mai non muore

Il fior che da castalia onda è nudrito);

E tal di quelli una fragranza uscía,

Ch’anco i sensi celesti inebbriava,

E tutta odor d’Olimpo era la reggia.

De’ bei serti immortali adunque in prima

Le divine sorelle incoronaro

Dell’aureo letto nuzïal la sponda;

Indi al canto si diero, e alle carole.

Della danza Tersicore guidava

I volubili giri; e in queste note

L’amica degli eroi Callïopea

Col guardo in raccolto il labbro apriva.

Beltà, raggio di lui che tutto move,

Tu che d’amor le fiamme accendi, e godi

Star di vergini intatte e di fanciulli

Nelle nere pupille, in guardia prendi

Di Venere la figlia, e al tempo avaro

Non consentir che le tue rose involi

Alle caste sue gote. A lei concedi

La non caduca gioventù de’ numi,

Ch’ella di numi è sangue; e come belle

Tu festi, o diva, d’Ermïon le forme,

Così virtude a lei fe’ bello il core.

Immenso della luce eterno fonte

Vibra i suoi dardi il sole, e nelle cose

Sveglia la vita; e tu, reina eterna

De’ cor gentili, se bontà vien teco,

L’amor risvegli che stagion non perde,

E spargi di perenne alma dolcezza

Le perigliose d’Imeneo catene.

Bacia queste catene, inclito figlio

D’Agenore; le bacia, ed in vederti

Genero eletto a due gran dii t’allegra,

Ma cognato al tonante egíoco Giove

Non ti vantar, chè l’alta ira di Giuno

Costar ti farà caro un tanto onore.

Pur, dove avvenga che funesto nembo

Turbi il sereno de’ tuoi , non franga

L’avversità del fato il tuo coraggio,

Chè a l’uom forte è dio. Tutte egli preme

Sotto il piè le paure, e delle Parche

Su ferrei troni alteramente assise

Con magnanima calma i colpi aspetta.

Così cantava. All’ultime parole,

Di non lieto avvenire annunziatrici,

Cadmo chinò pensoso il ciglio, e scura

Nube di duolo d’Ermïon si sparse

Su la candida fronte. Anco de’ numi

Si contristâr gli aspetti, ed un silenzio

Ne seguì doloroso. Allor la Diva

Col dolce lampo d’un sorriso intera

Ridestando la gioia in ogni petto,

Sull’auree corde fe’ volar quest’inno:

Schietta com’onda di petrosa vena

Delle Muse la lode i generosi

Spirti rallegra, e immortalmente vive

L’alto parlar che dal profondo seno

Trae dell’alma il furor che Febo inspira,

Quando ai carmi son segno i fatti egregi

De’ valorosi, o i peregrini ingegni

Trovatori dell’arte onde si giova

L’umana stirpe, e si fa bello il mondo.

Or di quante produsse arti leggiadre

Il mortale intelletto aura divina,

Quale il canto dirà la più felice?

Te, di tutte bellissima e primiera,

Che con rozze figure arditamente

Pingi la voce, e, color dando e corpo

All’umano pensiero agli occhi il rendi

Visibile: ed in tale e tanta luce,

Che men chiara del sol splende la fronte,

Ei vola e parla a tutte genti, e chiuso

Nelle tue cifre si conserva eterno.

Dietro ai portenti che tu crei smarrita

Si confonde la mente, e perde l’ali

L’immaginar. Qual già fuori del sacro

Capo di Giove orrendamente armata

Balzò Minerva, ed il paterno telo,

Cui nessuno de’ numi in sua possanza

Ardia toccar, trattò fiera donzella,

E corse in Flegra a fulminar tremenda

I figli della terra, e fe’ sicuro

Al genitore dell’Olimpo il seggio:

Tal tu pure, verace altra Minerva,

Dalla mente di Cadmo partorita,

E nell’armi terribili del vero

Fulminando atterrasti della cieca

Ignoranza gli altari, e la gigante

Forza frenasti dell’error, che, stretta

Sul ciglio all’uomo la feral sua benda,

Di spaventi e di larve all’infelice

Ingombrava il cerèbro, e sì regnava

Solo e assoluto imperador del mondo.

Tale è il mostro, o cadmèa nobile figlia,

A cui guerra tu rompi, e tanto hai tolto

Già dell’impero ch’ogni sforzo è indarno,

Se il ciel non crolla, a sostenerlo in trono.

Di selvaggia per te si fa civile

L’umana compagnia; per te le fonti

Del saper, dilatate in mille rivi

E a tutte aperti, corrono veloci

Ad irrigar le sitibonde menti.

Per te più puro e in un di Dio più degno

Si sublima il suo culto e con amore

Al cor s’apprende da ragion dettato;

Non da colei che in Aulide col sangue

D’Ifigenia propizi invoca i venti,

E, spinta in ciel la fronte e dell’eterno

Le sembianze falsando, spaventosa

Fra le nubi s’affaccia, e cupo grida:

Chiudi gli occhi, uman verme, e cieco adora.

Ma d’alta sapienza uso amoroso

E della prima idea diritto spiro,

Filosofia coll’armi adamantine

Della scritta ragion l’orrenda larva

Combatterà; vendicherà del nume

Da quell’empia converso in crudo spettro

L’oltraggiata bontade; e l’uom per vie

Tutte di luce al suo divin principio

Fatto più presso, si farà più pio,

E dirà seco: De’ miei mali il primo

E la prima mia morte è l’ignoranza.

Tal era della diva il canto arcano,

Della diva Calliope, a cui tutte

Stanno dinanzi le future cose,

E, secondo che il tempo le rivolve

Nel suo rapido corso, a tutte dona

E forma e voce e qualitade e vita

Con tal di sensi e di dottrine un velo

Ch’occhio vulgar nol passa: onde agli stolti

La delfica favella altro non sembra

Che canora follía. Povero il senno

Che in quei deliri ascoso il ver non vede!

sa quanta de’ carmi è la potenza

Su la reina opinïon che a nullo

De’ viventi perdona e a tutti impera!

Stava tacito attento alle parole

Profetiche di tanta arte il felice

Insegnatore; e nel segreto petto

Dell’alto volo, a cui l’uman pensiero

Le ben trovate cifre avrían sospinto,

Pregustava la gioia, e della sorte

Già tetragono ai colpi si sentía.

Preser le Muse da quel giorno usanza

Di far liete de’ canti d’Elicona

Degli eccelsi le nozze, ovunque in pregio

Son d’Elicona i dolci canti. Or quale,

Qual v’ha sponda che sia, come l’insúbre,

Dalle Grazie sorrisa e dalle Muse?

Qual tempio sorge a queste dee più caro

Che l’eretto da te, spirto gentile,

Nelle cui vene del Trivulzio sangue

Vive intero l’onor? Alto fragore

D’oricalchi guerrieri e d’armi orrende

Empiea, signor, le risonanti vôlte

Delle tue sale un , scuola di Marte,

Quand’il grand’avo tuo, fulmin di guerra,

Delle italiche spade era la prima.

Or che in regno di pace entro i lombardi

Elmi la lidia tessitrice ordisce

L’ingegnosa sua tela, e col ferrigno

Dente agli appesi avidi brandi il lampo

La ruggine consuma, a te concede

Altra gloria e più bella e senza pianti

Senza stragi e rovine il santo amore

De’ miti studi del silenzio amici,

Che da Febo guidati e da Sofia

Traggon l’uom del sepolcro e il fanno eterno.

Qui dell’arte di Cadmo e della sua

Imitatrice i monumenti accolti

Di grave meraviglia empion la vista

De’ riguardanti: qui, di Pindo e Cirra

Posti i gioghi in oblio, l’ascrèe fanciulle

Fermano il seggio, e grato a te le invia

Il gran padre Alighier che per te monde

D’ogni labe contempla le severe

Del suo nobil Convito alte dottrine.

Odi il suon delle cetre, odi il tripudio

Delle danze, ed Amor vedi, che gitta

Via le bende, e la terza e quarta rosa

Del tuo bel cespo ad Imeneo consegna:

Ed allegro Imeneo nel più ridente

Suol le trapianta che Panaro e Trebbia

Irrigano di chiare onde felici;

E germogli n’aspetta che faranno

Liete d’odori e l’una e l’altra riva

Di generose piante ambo superbe.

Or voi d’ambrosia rugiadose il crine,

Il cui sorriso tutte cose abbella,

Voi dell’inclita Bice al fianco assise,

Grazie figlie di Giove, accompagnate

Le due da voi nutrite alme donzelle;

E vengano con voi l’arti dilette

In che posero entrambe un lungo amore,

L’animatrice delle tele, e quella

Che di musiche note il cor ricrea:

Onde la vita coniugal sia tutta

Di dolce aspersa e di ridenti idee

Simiglianti alle prime di natura

Vergini fantasie che in piante e in fiori

Scherzano senza legge, e son più belle.

E tu, ben nato idillio mio, che i modi

Di Tebe osasti con ardir novello

All’avene sposar di Siracusa,

Vanne al fior de’ gentili, a lui che fermo

Nella parte miglior del mio pensiero

Tien della vera nobiltà la cima

E de’ cortesi è re, vanne e gli porgi

Queste parole: Amico ai buoni, il cielo

Di doppie illustri nozze oggi beati

Rende i tuoi lari, ed il canuto e fido

De’ tuoi studi compagno all’allegrezza

Che l’anima t’innonda il suo confonde

Debole canto che di stanco ingegno

Dagli affanni battuto è tardo figlio;

Ma non è tardo il cor, che come spira

Riverente amistade, a te lo sacra.

Questo digli e non altro. E, s’ei dimanda

Come del viver mio si volga il corso,

Di’ che ad umil ruscello egli è simíle,

Su le cui rive impetuosa e dura

I fior più cari la tempesta uccise.




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