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Vincenzo Monti
Poesie

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  • Parte I LIRICHE
    • Per il Congresso d’Udine
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Per il Congresso d’Udine

 

Agita in riva dell’Isonzo il fato,

Italia, le tue sorti; e taciturna

Su te l’Europa il suo pensier raccoglie.

Stansi a fronte, ed il brando insanguinato

Ferocemente stendono sull’urna

Lamagna e Francia con opposte voglie;

Ch’una a morte ti toglie,

E dárlati crudel l’altra procura.

Tu muta siedi; ad ogni scossa i rai

Tremando abbassi, e nella tua paura

Se ceppi attendi o libertà non sai.

Oh più vil che infelice! oh de’ tuoi servi

Serva derisa! Sì dimesso il volto

Non porteresti e i piè dal ferro attriti,

Se pel natio vigor prostrati i nervi

Superba ignavia non t’avesse e il molto

Fornicar co’ tiranni e co’ leviti:

Onorati mariti,

Che a Caton preponesti, a Bruto, a Scipio!

Leggiadro cambio, accorto senno in vero!

Colei che l’universo ebbe mancipio,

Or salmeggia; e una mitria è il suo cimiero.

Di quei prodi le sante ombre frattanto

Romor fanno e lamenti entro le tombe,

Che avaro piè sacerdotal calpesta;

E al sonito dell’armi, al fiero canto

De’ franchi mirmidóni e delle trombe,

Sussurrando vendetta alzan la testa.

E voi l’avrete, e presta,

Magnanim’ombre. L’itala fortuna

Egra è sì, ma non spenta. Empio sovrasta

Il fato, e danni e tradimenti aduna:

Ma contra il fato è Bonaparte; e basta.

Prometeo nuovo ei venne, e nell’altera

Giovinetta virago cisalpina

L’etereo fuoco infuse, anzi, il suo spirto.

Ed ella già calata ha la visiera;

E il ferro trae, gittando la vagina,

Desïosa di lauro e non di mirto.

Bieco la guata ed irto

Più d’un nemico; ma costei nol cura.

Lasciate di sua morte, o re, la speme:

Disperata virtù la fa secura,

Nè vincer puossi chi morir non teme.

Se vero io parlo, Crèmera vel dica,

E di Coclite il ponte, e quel di Serse,

E i trecento con Pluto a cenar spinti.

E noi lombardi petti, e noi nutrica

Il valor che alle donne etrusche e perse

Plorar fe’ l’ombre de’ mariti estinti.

Morti sì, ma non vinti,

Ma liberi cadremo, e armati, e tutti:

Arme arme fremeran le sepolte ossa,

Arme i figli, le spose, i monti, i flutti;

E voi cadrete, o troni, a quella scossa.

Cadrete; ed alzerà Natura alfine

Quel dolce grido che nel cor si sente,

Tutti abbracciando con amplesso eguale;

E Ragion sulle vostre alte ruine

Pianterà colla destra onnipossente

L’immobil suo triangolo immortale.

Ira e fiamma non vale

Incontro a lui di fulmini terreni,

E forza in van lo crolla ed impostura:

Dio fra tuoni tranquillo e fra baleni

Tienvi sopra il suo dito e l’assecura.

Tu, primo degli eroi, che su l’Isonzo,

Men di te stesso che di noi pensoso,

Dei re combatti il perfido desìo;

Tu, che, se tuona di Gradivo il bronzo,

Fra le stragi e le morti polveroso

Mostri in fragile salma il cor d’un dio;

All’ostinato e rio

Tedesco or di’ che sul Tesin lasciata

Hai la donna dell’Alpi ancor fanciulla,

Ma ch’ella in mezzo alle battaglie è nata

E che novello Alcide è nella culla.

Molti per via le fan villano oltraggio,

Ricchi infingardi, astuti cherci, ed altra

Gente di voglie temerarie e prave.

Ella passa e non guarda; ed in suo saggio

Pensier racchiusa non fa motto; e scaltra

Scuote intanto i suoi mali, e nulla pave.

Così lion, cui grave

Su la giubba il notturno vapor cada,

Se sorride il mattin sull’orizzonte,

Tutta scuote d’un crollo la rugiada,

E terror delle selve alza la fronte.

Canzon, l’italo onor dal sonno è desto;

Però della rampogna,

Che mosse il tuo parlar, prendi vergogna.

Ma, se quei vili che son forti in soglio

T’accusano d’orgoglio,

Rispondi: Italia sul Tesin v’aspetta

A provarne la spada e la vendetta.




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