Le giornate di
Febbraio.
GIORNATA DEL 23.
Quando arrivai alla Camera dei
pari, erano le tre precise, il generale Rapatel uscendo dal vestibolo mi disse:
— La seduta è finita.
Andai alla Camera dei deputati.
Nel momento in cui la mia carrozza passava dalla via di Lilla una colonna
serrata ed interminabile di uomini in borghese, in blouse ed in berretto,
camminando l'uno a braccetto dell'altro, tre per tre, sboccava dalla via
Bellechasse e si dirigeva verso la Camera. Vedevo l'altra estremità della strada
chiusa da una fitta fila di fanteria di linea, l'arma al braccio. Sorpassai la
gente in blouse che era confusa a delle donne e che gridava: — Viva la Riforma! — Viva la linea!
— Abbasso Guizot! — Costoro si fermarono ad un tiro di fucile circa dalla
fanteria. I soldati aprirono i ranghi per lasciarmi passare. I soldati
discutevano e ridevano. Uno di essi, molto giovane, alzava le spalle.
Non sono andato più in là della
sala dei Paesi Perduti. Era gremita di gruppi affannati ed inquieti. Thiers, de
Remusat, Vivien, Merruau (del Costituzionale) da una parte; dall'altra
Emilio de Girardin, d'Althon-Shée e de Boissy; Franck-Carré, d'Houdetot, de
Lagrenèe. — Armand Marast traeva d'Alton vicino a se, — De Girardin mi ha
fermato mentre passavo; poi d'Houdetot e Lagrenée, Franck-Carré e Vigner ci
hanno raggiunti. Si è discusso. Io ho detto loro:
— Il gabinetto è gravemente
colpevole. Egli ha dimenticato che in tempi come i nostri, vi sono degli abissi
a destra e a sinistra e che non bisogna governare rasentando troppo le cime.
Certo, egli si è detto: — Non è che una sommossa, e si è tranquillizzato. Si è
creduto sicuro, ed eccoci daccapo! Ma, e poi, chi è che sa dove può finire una
sommossa? È vero; le sommosse rafforzano i gabinetti, ma le rivoluzioni rovesciano
le dinastie. E qual giuoco imprudente! rischiare la dinastia per salvare il
ministero! La situazione tesa serrò il nodo ed oggi è impossibile scioglierlo.
La corda si può rompere e allora tutto andrà alla deriva. La sinistra manovrò
imprudentemente e il gabinetto follemente.
La responsabilità è di tutti. Fu
una follìa per questo ministero confondere una questione di polizia con una
questione di libertà e opporre lo spirito del cavillo allo spirito di
rivoluzione! Mi fa l'effetto di colui che manda degli usceri con della carta
bollata ad un leone. Le arguzie di Hèbert di fronte alla sommossa! un
bell'affare!...
Mentre dicevo questo un deputato
è passato vicino a noi ed ha detto:
— Il ministero della marina è
preso!
— Andiamo a vedere! mi dice
Franc d'Houdetot.
*
* *
Siamo usciti. Abbiamo
attraversato un reggimento di fanteria che vigilava all'imboccatura del ponte
della Concordia. Un altro reggimento sbarra l'altro lato. La cavalleria carica,
sulla piazza Luigi XV, dei gruppi immobili e minacciosi, i quali,
all'avvicinarsi dei cavalieri, fuggono come uno sciame. Nessuno sul ponte,
tranne un generale in uniforme, con la croce di commendatore al collo; il
generale Prévot. — Egli passa al gran trotto e ci grida:
— Ci attaccano!...
Allorchè abbiamo raggiunto la
truppa ch'era all'altro lato del ponte, un capo di battaglione a cavallo, tutto
gallonato, e dalla figura grossa e bonacciona, ha salutato d'Houdetot.
— Che cosa c'è? gli ha chiesto
Franc.
— C'è, ha risposto il
comandante, che sono arrivato a tempo!
È questo capo di battaglione che
ha liberato il palazzo del Parlamento quando, stamani alle sei, la sommossa lo
aveva invaso.
Siamo scesi fin sulla piazza. Le
cariche di cavalleria turbinavano intorno a noi. All'angolo del ponte un
dragone alzava la sciabola sopra ad un operaio. Non credo che lo abbia colpito.
Del resto, il ministero della Marina, non era niente affatto preso. Un
assembramento aveva gettato una pietra contro un vetro del palazzo e ferito un
curioso che guardava dall'interno. Nulla più.
Scorgemmo delle vetture
arrestate e disposte come per una barricata nel gran viale dei Campi Elisi.
D'Houdetot ha detto:
— Laggiù comincia il fuoco!
Osservate; vedete il fumo?
— Bah! ho risposto, è il fumo
della fontana. Quel fuoco è dell'acqua. — E ci siamo messi a ridere.
Tuttavia laggiù il popolo aveva
fatto tre barricate con delle sedie. La pattuglia dei Campi Elisi era accorsa
per distruggerle. Il popolo ha respinto i soldati a sassate costringendoli a
rientrare nel corpo di guardia. Il generale Prèvot ha mandato allora una
squadra di guardie municipali per dar man forte. La squadra è stata circondata
ed è stata costretta a rifugiarsi coi soldati. La folla ha bloccato il posto.
Un uomo, presa una scala, è montato sul tetto del corpo di guardia, ha afferrato
la bandiera, l'ha stracciata e l'ha gettata al popolo. Per liberare il posto ci
è voluto un battaglione.
— Diavolo! diceva Franc
d'Houdetot al generale Prévot che ci raccontava tutto questo, una bandiera
presa!
Il generale ha risposto
vivamente:
— Presa, no! Rubata, sì!
È sopraggiunto Pietro Lacaze
dando il braccio a Napoleone Duchatel, tutti e due molto allegri. Essi hanno
acceso il loro sigaro al sigaro di Franc Houdetot, e ci hanno detto:
— Sapete?... Genoude ha
consegnato il suo atto d'accusa da solo. Non gli si è lasciato sottoscrivere
l'atto d'accusa della sinistra. Egli non ha voluto essere smentito, e adesso,
ecco il ministero fra due fuochi. A sinistra tutta la sinistra, a destra, De
Genoude.
Poi, Napoleone Duchatel ha
ripreso:
— Dicono che Duvergier de
Hauranne è stato portato in trionfo.
Eravamo tornati sul ponte.
Passava Vivien; egli ci ha subito abbordati. Col suo cappello a larghe falde ed
il suo pastrano abbottonato sino alla cravatta ha l'aria di una guardia di
città.
— Dove andiamo a finire?... mi
ha detto. Tutto quello che accade è molto grave!
Ciò che è certo si è che in
questo momento si sente tutta la macchina costituzionale come sollevata. Essa
non riposa più sul suolo. Si ode lo scricchiolìo.
La crisi si complica in tutta
l'Europa rumoreggiante.
Non per questo il re sarà meno
tranquillo e meno allegro. Tuttavia non bisogna scherzar troppo con questo
giuoco. Tutte le partite che vi si guadagnano non servono che a fare il totale
della partita che poi si perde.
Vivien ci raccontò che il re
aveva gettato nel suo cassetto un progetto di riforma elettorale, dicendo:
— Questo è per il mio
successore!
— È la frase di Luigi XV,
aggiunse Vivien, quando credeva che la riforma fosse il diluvio universale.
Sembra certo che il re abbia
interrotto Sallandrouze, allorchè questi gli portava le condoglianze dei progressisti,
e che gli abbia domandato bruscamente:
— Vendete molti tappeti?
A questo ricevimento dei
progressisti il re ha scorto Blanquì e si è diretto a lui, dicendo graziosamente:
— Ebbene? signor Blanquì; che
cosa dicono? che cosa succede?
— Sire, ha risposto Blanquì,
debbo dire al re che nei dipartimenti e particolarmente a Bordeaux, vi è molta
agitazione. La truppa percorre la campagna...
— Ah, ha interrotto il re; ancora
delle agitazioni!...
Ed ha voltato le spalle a
Blanquì.
Mentre Vivien narrava tutto
questo: — Ascoltate, ci ha detto; mi sembra di udire le fucilate!
Un giovane ufficiale di stato
maggiore si è rivolto, sorridendo, al generale d'Houdetot e gli ha chiesto:
— Generale, ne avremo ancora per
parecchio tempo?
— Perchè? ha detto Franc
d'Houdetot.
— Egli è che io... pranzo in
città! ha risposto l'ufficiale.
In quel momento, una comitiva di
donne a lutto e di fanciulli vestiti di nero passava rapidamente sull'altro
marciapiede del ponte.
Un uomo dava la mano al piú
grande dei fanciulli. Ho guardato ed ho riconosciuto il duca di Montebello.
—Guarda, ha esclamato
d'Houdetot, il ministro della marina!
Egli è accorso ed ha parlato per
qualche momento col duca. La duchessa aveva paura, e tutta la famiglia si
rifugiava sulla riva sinistra.
Siamo rientrati nel palazzo del
parlamento, Vivien ed io. D'Houdetot ci ha lasciati. Siamo stati subito
circondati. Boissy mi ha chiesto:
— Voi non eravate al
Lussemburgo? Ho tentato di parlare sulla situazione di Parigi. Sono stato
fischiato. Appena ho detto che la capitale corre un serio pericolo, mi hanno
interrotto e il cancelliere, ch'era venuto a presiedere appositamente per
questo, mi ha richiamato all'ordine. E sapete che cosa mi ha detto il generale
Gourgaud? — Signor Boissy, io ho sessanta pezzi di cannone pieni di mitraglia;
e li ho caricati da me! — E io gli ho risposto: — Generale, io sono incantato
di sapere qual'è il pensiero intimo del castello.
Duvergier de Hauranne, senza
cappello, i capelli arricciati, pallido, ma l'aria contenta, è passato in
questo momento e mi ha stesa la mano.
Ho lasciato Duvergier e sono
entrato nella Camera. Vi si discuteva sempre una legge sul privilegio della
Banca di Bordeaux.
Un buon uomo, che parlava col
naso, era alla tribuna, e Sanzet leggeva gli articoli della legge con aria
addormentata. De Belleyme, che usciva mi ha stretta la mano passando ed ha
esclamato:
— Ohimè!...
Molti deputati sono venuti da me;
Marie, Royer, (du Loiret), de Remusat, Chambolle e qualche altro. Io ho
raccontato loro il fatto della bandiera atterrata, aggravato dall'audacia
dell'attacco ad un corpo di guardia in aperta campagna.
Uno di essi mi ha osservato:
— Il più grave si è che bolle
sotto qualcosa di peggio. Stanotte più di quindici ricchi palazzi di Parigi
sono stati marcati sul portone con una croce; fra gli altri il palazzo della
principessa di Lieven, via Saint-Florentin, e il palazzo di madama de Talhouët.
— Ne siete sicuro? gli ho
chiesto.
— Ho veduto la croce coi miei
occhi sulla porta della signora Lieven, mi ha risposto.
Il presidente Franck-Carrè ha
incontrato stamani Duchâtel e gli ha fatto:
— Ebbene
— Tutto ciò va benissimo! gli ha
risposto il ministro.
— Che farete della sommossa?
— La lascerò all'appuntamento
ch'ella ha dato a se stessa. Che cosa volete che facciano sulla piazza Luigi XV
e ai Campi Elisi? Piove. Essi sguazzeranno là tutta la giornata. Stasera
saranno slombati e andranno a letto.
Ètienne Arago, che entrava, ha
gettato senza fermarsi queste quattro parole:
— Di già sette feriti e quattro
morti! Vi sono delle barricate in via Beaubourg e via S. Avoye.
Dopo una sospensione della
seduta, arriva Guizot. Egli sale alla tribuna e annunzia che il re ha chiamato
Molè per incaricarlo di formare un gabinetto.
Grido di trionfo
dell'opposizione, grida di furore della maggioranza.
La seduta finisce con un tumulto
indescrivibile.
*
* *
Io sono uscito mentre uscivano i
deputati e sono tornato sui lungo Senna.
Sulla piazza della Concordia
continuavano le cariche. Due barricate erano state distrutte in via S. Onorato.
Gli omnibus delle barricate erano stati rialzati dalla truppa. In via S.
Onorato la folla lasciava passare le guardie di città; poi le saettava di sassate
alle spalle.
Una moltitudine saliva nei lungo
Senna col brulichio di un formicaio irritato.
Ho veduto passare una bella
donnina col cappellino verde ed un grande scialle di cachemire marciando nel
mezzo ad un gruppo di blouse e di braccia nude.
Ella rialzava le sue sottane
sino al ginocchio, a causa del fango, ed era tutta impillaccherata, poichè ogni
poco pioveva.
Le Tuileries erano chiuse. Ai
portoni del Carrosello la folla era ferma e guardava dalle arcate la cavalleria
sul piede di guerra davanti al palazzo.
Verso il ponte del Carosello ho
incontrato Giulio Sandeau. Egli mi ha chiesto:
— Che cosa ne pensate di tutto
questo?
— Che la sommossa sarà vinta ma
che la rivoluzione trionferà.
Sul quai di la Ferraille, altro incontro.
Vedo venirmi dinanzi un uomo inzaccherato sino alla schiena, la cravatta
ciondoloni, il cappello ammaccato. Ho riconosciuto il mio eccellente amico
Antonas Thouret. Thouret è un ardente repubblicano. Egli correva fin dal
mattino, andando di quartiere in quartiere, perorando di gruppo in gruppo. Io
gli ho chiesto:
— Ma, infine, che cosa
volete?... È forse la repubblica?
— Oh, no, dice lui; non questa
volta, non ancora. Vogliamo la
Riforma, e non delle persone abili!... Niente capacità! Ci
occorre tutta la Riforma,
intendete? E perchè no... il suffragio universale?!
— Alla buon'ora! gli ho
risposto; e gli ho serrato la mano.
Lungo tutto il quai
passavano delle pattuglie e la folla gridava:
— Viva la linea!
Le botteghe erano chiuse e le
finestre aperte.
In piazza del Châtelet ho inteso
un uomo dire ad un gruppo:
— È il 1830!
Io ho preso per il palazzo di
Città e per la via S. Avoye. Tutto era tranquillo al palazzo del Comune. Due
guardie nazionali passeggiavano e non vi erano barricate in tutta la strada.
Qualche guardia nazionale in
uniforme, la sciabola al fianco, andava e veniva per la via Rambuteau. Si
batteva l'appello nel quartiere del Tempio.
Fino a questo momento il potere
ha finto di non occuparsi, questa volta, della guardia nazionale. Ciò può esser
prudente. La guardia nazionale in massa doveva prender parte al convito.
Stamattina, il corpo di guardia di servizio alla Camera dei deputati, ha
rifiutato di marciare.
Si dice che una guardia
nazionale della settima legione è stata uccisa mentre s'interponeva tra il
popolo e la truppa.
*
* *
Il ministero Molè non era
certamente la Riforma,
ma il ministero Guizot era stato per molto tempo la resistenza alla Riforma.
Infranta questa resistenza bisognava contentare l'anima di fanciullo di questo popolo
generoso.
La sera, Parigi era in preda
alla gioia; la popolazione si riversava nelle strade: dappertutto echeggiava il
grido popolare Fuori i lumi! Fuori i lumi! — In un batter d'occhio la città fu
illuminata come per una festa.
A piazza Reale, davanti alla
comunità, a due passi dalla mia casa, si era agglomerata una folla che si
faceva sempre più tumultuosa. Alcuni ufficiali e alcune guardie nazionali del
corpo di guardia là vicino, per allontanare la gente dal palazzo comunale,
gridarono: — Alla Bastiglia! — e, tenendosi a braccetto, si misero alla testa
di una colonna la quale ripetendo: — Alla Bastiglia! — si pose allegramente in
cammino dietro a loro. Il corteggio, a capo scoperto, fece il giro della
colonna di Giugno, ripetendo sempre: — Viva la Riforma! — salutò la
truppa — ferma sulla piazza al grido di: — Viva la linea! — e s'inoltrò nel
sobborgo S. Antonio. Un'ora dopo la colonna ripassava, smisuratamente
accresciuta, con delle torce e delle bandiere, e s'incamminava verso i
boulevards, con la intenzione di retrocedere per i lungo Senna, e portare in
tutta la città l'allegria della vittoria.
*
* *
In questo momento suona
mezzanotte.
L'aspetto delle strade è
cambiato. Tutto è lugubre. Ho fatto, un giro e sono rientrato. I fanali sono
rotti e sono spenti sul boulevard Bourdon, così giustamente chiamato boulevard
nero.
Stasera non ci sono state
botteghe aperte che nella via S. Antonio.
Il teatro Beaumarchais ha chiuso.
Piazza reale è guarnita come una piazza d'armi. Molte truppe sono imboscate
sotto gli archi. Nella via S. Luigi un battaglione si è disteso silenziosamente
lungo tutti i muri, nelle tenebre.
Quando si sono udite battere le
ore ci siamo affacciati al balcone, ascoltando, poi mia moglie ha chiesto:
— È la campana a martello?...
*
* *
Andando a letto non avrei potuto
dormire. Ho passato la notte nel mio salone, scrivendo, sognando e ascoltando.
Ogni tanto andavo sul balcone a
tender d'orecchio, poi rientravo, passeggiavo, o mi gettavo sopra ad una
poltrona. Facevo dei sonni brevi, leggeri, agitatissimi, pieni di visioni.
Sognavo di sentire delle grida
di collera e di rabbia; delle imprecazioni, e, lontano, lontano, le scariche
dei fucili. La campana a martello, intanto, batteva a tutte le chiese.
Quando mi sono destato per
l'ultima volta la campana a martello batteva davvero.
*
* *
La realtà aveva sorpassato in
orrore il sogno.
Quella folla che io avevo veduto
incamminarsi lieta ed allegra, cantando e ridendo, sui boulevards, aveva
proseguito senza ostacoli la sua marcia pacifica.
I reggimenti, l'artiglieria, i
corazzieri, si erano aperti dappertutto per lasciarla passare.
Soltanto sul boulevard dei
Cappuccini, una massa di truppe, cavalleria e fanteria, stesa lungo i due
marciapiedi e nascosta al piano terreno, custodiva il ministero degli esteri ed
il suo impopolare ministro, Guizot.
Davanti a quell'ostacolo
insormontabile la testa della colonna di popolo vuol fermarsi e tornare
indietro, ma l'onda irresistibile della enorme folla, spinge avanti le prime
file. In quel momento parte un colpo di fuoco, non si sa da chi nè da qual
parte. Scoppia il panico, quindi una scarica... Guizot, coricato, si scuote.
Ottanta morti o feriti rimangono
sulla piazza.
Un grido generale di spavento e
di furore s'inalza:
— Vendetta!...
I cadaveri delle vittime sono
caricati sopra ad un carro rischiarato dalle torce. Il corteggio riprende la
sua strada in senso inverso, in mezzo alle imprecazioni, e la sua passeggiata
diventa funebre.
In poche ore Parigi si è coperta
di barricate.
|