Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Victor Hugo
Lotte sociali

IntraText CT - Lettura del testo

  • 1848   Le giornate di Febbraio.
    • GIORNATA DEL 25
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

GIORNATA DEL 25

 

Nella mattinata il viavai alla mairie dell'VIII.° circondario e nei dintorni era relativamente calmo, e le misure prese alla vigilia per mantenere l'ordine, da Ernesto Moreau, sembravano garantire la tranquillità e la sicurezza del quartiere.

Io credetti di potere abbandonare Piazza Reale e potermi dirigere verso il centro con mio figlio Victor.

Il turbinìo di un popolo (del popolo di Parigi!) il giorno dopo aver compiuta una rivoluzione era uno spettacolo che mi attirava invincibilmente.

Tempo coperto e grigio, ma dolce e senza pioggia.

Le strade fremevano tutte per il rumore destato dalla gioia. Si seguitava, con incredibile ardore, a rafforzare le barricate già erette e se ne costruivano delle nuove.

Delle fiumane di popolo, con bandiere e tamburi, percorrevano le strade gridando: — Viva la Repubblica!

Si cantava la Marsigliese e il Morir per la patria!

I caffè rigurgitavano, ma molti magazzini erano chiusi come nei giorni di festa; e, infatti, tutto aveva l'aspetto di una festa.

Percorsi così tutti i quai, sino al Ponte Nuovo. La, io lessi ai piedi di un manifesto della proclamazione il nome di Lamartine, e, dopo aver veduto il popolo provai non so qual bisogno di andare a trovare il mio grande amico.

Rifeci dunque la strada con Victor e mi diressi verso l'Hotel de la Ville.

La piazza era, come alla vigilia, gremita dalla folla. Intorno al palazzo la gente era così fitta ch'ella non poteva più muoversi. Gli scalini della gradinata erano inespugnabili. Dopo inutili sforzi per avvicinarmi appena, stavo per andarmene quando fui veduto da Froment-Meurice, orefice artista, fratello del mio giovane amico Paul Meurice. Egli era comandante della guardia nazionale e di servizio, col suo battaglione, all'Hotel de Ville.

Io gli gridai il mio imbarazzo. — Largo! urlò con autorità. Largo a Victor Hugo!

E la muraglia umana si aprì, non so come, davanti alle sue spalline.

Guadagnata la scalinata, Froment-Meurice ci guidò, traverso ogni sorta di scale, di corridoi, e di sale ingombre dalla folla.

Vedendoci passare, un uomo del popolo si staccò da un gruppo e si piantò davanti a noi:

Cittadino Victor Hugo, disse; gridate: Viva la Repubblica!

— Quando mi si ordina, non grido nulla! risposi. Voi conoscete la parola libertà; io la pratico. Griderò sempre: Viva il popolo! perché mi piace così. Il giorno nel quale griderò: — Viva la Repubblica! sarà perchè io lo vorrò.

— Egli ha ragione! — Egli ha detto benissimo! mormorarono alcune voci. E noi passammo.

Dopo molti giri, Froment-Meurice c'introdusse in una stanzetta e ci lasciò per andare ad annunciarmi a Lamartine.

La porta vetrata della stanza nella quale noi ci trovavamo dava su di una galleria da cui vidi passare il mio amico David d'Angers, il grande scultore. Io lo chiamai. David, repubblicano di vecchia data, appariva raggiante.

— Ah, amico mio, che bel giorno! esclamò.

Poi mi narrò che il governo provvisorio lo aveva nominato Sindaco del XI.° circondario.

— Vi avranno mandato a chiamare, io credo, per qualcosa di simile?

— No, risposi, io non fui chiamato. Vengo da me, per serrare la mano a Lamartine.

Froment-Meurice tornò e mi disse che Lamartine mi aspettava. Lasciai Victor in quella sala dove sarei tornato a riprenderlo e seguii di nuovo la mia guida cortese, attraversando degli altri salotti e giungendo finalmente ad un vestibolo pieno di gente.

— Tutto un mondo di sollecitatori i mi sussurrò Froment-Meurice.

Il governo provvisorio sedeva in permanenza nel salone a sinistra. Due granatieri della guardia nazionale, con l'arma al piede, vigilavano alla porta di quella sala, impassibili e sordi alle preghiere e alle minacce. Dovetti fendere la folla; uno dei granatieri, avvertito, mi aprì; il pigia pigia degli assedianti volle profittare di quel momento; urtò e si gettò sulle sentinelle; ma esse, con l'aiuto di Froment-Meurice, respinsero tutta quella gente e chiusero la porta dietro alle mie spalle.

Mi ritrovavo in una sala spaziosa che faceva angolo con uno dei padiglioni dell'Hotel de Ville, da due lati rischiarata da ampie finestre.

Avrei desiderato di trovare Lamartine solo; ma vi erano , seminati per la sala o parlando con degli amici, tre o quattro dei suoi colleghi del governo provvisorio; Arago, Marie, Armand Marrast... Lamartine, al mio arrivo, si alzò. Sul suo soprabito abbottonato come sempre, egli portava un'ampia sciarpa tricolore di seta.

Egli fece qualche passo venendomi incontro e stendendomi la mano:

— Ah! voi venite con noi, Victor Hugo! è una bella recluta per la Repubblica!

— Non correte troppo, amico mio! gli risposi ridendo. Io vengo semplicemente dal mio amico Lamartine. Voi, per esempio, non sapete che mentre ieri combattevate la Reggenza alla Camera io la difendevo in piazza della Bastiglia.

— Sta bene, ieri! Ma oggi... oggi non c'è più Reggenza regno. Non è possibile che, nel fondo, Victor Hugo non sia repubblicano.

— Per principio si, lo sono. La Repubblica, secondo il mio criterio, è il solo governo razionale, il solo degno delle nazioni. La Repubblica universale sarà l'ultima parola del progresso. Ma, la sua ora, è propriamente venuta in Francia? È appunto perchè io voglio la Repubblica che la desidero piena di salute, e che io la bramo definitiva. Voi interrogherete la nazione, non è vero? Tutta la nazione?

— Tutta la nazione, certo. Noi ci siamo tutti intesi, nel governo provvisorio, su questo punto, per il suffraggio universale. In quel momento, Arago si avvicinò a noi con Armand Marrast, il quale teneva un plico.

— Mio caro amico, mi dice Lamartine, sappiate che questa mattina noi vi abbiamo designato come sindaco del vostro circondario.

— Ed ecco qua il brevetto firmato da tutti noi, soggiunge Armand Marrast.

— Io vi ringrazio, rispondo, ma non posso accettare.

Perchè? riprende Arago. Non è una carica politica, ma puramente civile.

— Noi siamo stati informati del tentativo di rivolta al carcere della Force, aggiunge Lamartine. Voi avete fatto più che reprimerla; l'avete prevenuta. Voi siete amato, rispettato nel vostro circondario.

— La mia autorità è tutta morale, rispondo. Ella non può che soffrirne diventando ufficiale. Del resto poi io non voglio assolutamente spodestare Ernesto Moreau, che in queste giornate si è lealmente e validamente condotto.

Lamartine e Arago insistevano.

— Non rifiutate il nostro brevetto.

— Ebbene, risposi, io lo prendo.... per gli autografi; resta inteso però che lo terrò in tasca.

Sicuro, tenetelo in tasca, riprese ridendo Armand Marrast; così voi potrete dire che, dall'oggi al domani, siete stato pari di Francia e sindaco di Parigi.

Lamartine mi trasse nel vano di una finestra.

— Non è una carica di sindaco che io vorrei per voi, riprese egli; è un ministero. Victor Hugo ministro dell'istruzione della Repubblica! .... Guardiamo, guardiamo, giacchè voi dite di essere repubblicano...

Repubblicano... per principio. Ma, in realtà, ieri io era pari di Francia; ieri io era per la Reggenza; e siccome ritengo la Repubblica prematura, sarei anche oggi per la Reggenza.

— Le nazioni sono al di sopra delle dinastie, riprese Lamartine. Anch'io sono stato monarchico....

— Voi eravate un deputato eletto dalla nazione; io era un pari nominato dal sovrano.

— Il re, scegliendovi ai termini della Costituzione in una delle categorie nelle quali si reclutavano i membri della Camera alta, non fece che onorare i pari e onorare se stesso.

— Io vi ringrazio, gli risposi; ma voi guardate le cose dal di fuori; io le osservo nella mia coscienza.

Fummo interrotti da una scarica lunga di fucilate che scoppiò ad un tratto giú sulla piazza. Una palla venne a spezzare un cristallo al di sopra delle nostre teste.

— Che cosa succede, ancora? gridò dolorosamente Lamartine.

Armand Marrast e Marie uscirono per correre a vedere ciò che accadeva.

— Ah, amico mio, sussurrò Lamartine; come questo potere rivoluzionario è duro a portarsi! quali e quante responsabilità si hanno da prendere dinanzi alla propria coscienza, e dinanzi alla storia! Da due giorni io non so più come vivo. Ieri avevo qualche capello bianco; domani sarò canuto.

— Si, ma voi fate il vostro dovere di uomo grande, gli risposi.

Dopo pochi minuti Armand Marrast tornó.

— Non fu contro di noi, disse. Non mi hanno saputo spiegare la ragione di questa nuova dolorosa catastrofe.

C'è stato come una collisione; i fucili hanno esploso... come, perchè? forse un malinteso? forse una questione fra socialisti e repubblicani? Non si sa.

— Ma, vi sono dei feriti?

— Si, ed anche dei morti.

Seguì un silenzio lugubre. Io mi alzai.

— Senza dubbio voi avete da prendere delle misure.

— Ah! quali misure? riprese tristamente Lamartine. Stamattina noi abbiamo risoluto di decretare ciò che voi, in piccolo, avete potuto fare nel vostro quartiere. La guardia nazionale; ogni francese soldato ed elettore. Ma ci vuol del tempo; e intanto, mentre si aspetta...

E mi mostrò sulla piazza l'ondeggiare di tutte quelle migliaia di teste.

Vedete?... È come il mare...

Entrò un ragazzetto tenendo un porta-pranzo.

— Ah, benissimo, disse egli. Ecco la mia colazione. Volete favorire con me, Victor Hugo?...

Grazie, ma a quest'ora io ho già mangiato.

— Io no, invece, e muoio assolutamente di fame. Tuttavia, fatemi compagnia; poi vi lascerò libero.

Egli mi fece entrare in una sala che dava sopra ad una corte interna. Un giovanotto, dalla figura dolce, si alzò e fece l'atto di ritirarsi. Era il giovane operaio che Luigi Blanc aveva fatto aggiungere al governo provvissorio.

Restate, Alberto, gli disse Lamartine. Io non ho da dire a Victor Hugo nulla che possa esser segreto.

Io ed Alberto ci scambiammo il saluto.

Il ragazzetto accennò a Lamartine, sulla tavola, delle cotolette in un piatto di terraglia, un panetto, una bottiglia di vino ed un bicchiere. Tutta quella roba usciva da uno dei vinai vicini.

— Ebbene, chiese Lamartine, e la forchetta?

Credevo che lei l'avesse quì. Se vuole che io vada a prenderne una... Però, ho durato fatica a portar soltanto, cotesto fin quà.

Bah! disse Lamartine; a la guerre, comme â la guerre!

Egli spezzò il pane, prese una cotoletta per l'osso e schiacciò le noci coi denti.

Quando ebbe finito gettò gli ossi nel caminetto. In tal modo trangugiò tre cotolette e bevve due bicchieri di vino.

— Ecco un pasto primitivo, mi disse. Però è sempre qualcosa di più e di meglio del nostro pranzo d'ieri. In tutti, noi non avevamo che un po' di formaggio e del pane, e bevemmo dell'acqua nella stessa tazza sbocconcellata. Quello che mi fa rabbia si è che stamani un giornale denunziava l'orgia di questa notte del governo provvisorio!

 

*

*   *

 

Quando, uscendo, entrai nella sala dove io avevo lasciato mio figlio Victor, non lo trovai più.

Pensai che, stanco di star ad aspettarmi, fosse tornato a casa solo.

Allorchè scesi sulla piazza della Greve la folla era ancora tutta commossa e costernata per la inesplicabile collisione avvenuta poco prima.

Vidi passare il cadavere di uno dei colpiti, spirato pochi minuti prima. Era il quinto, mi dicevano. Lo si trasportava come gli altri alla sala di S. Giovanni, dove erano esposti tutti i morti della vigilia, piú di un centinaio,

Prima di rientrare sulla Piazza Reale feci un giro per visitare tutti i nostri posti. Davanti la caserma dei Minimi, un ragazzetto di una quindicina d'anni, armato di un fucile tolto ad un soldato di linea, montava fieramente la guardia.

Mi sembrava di averlo già veduto, la mattina o il giorno prima.

— Dunque, sei di guardia un'altra volta? gli chiesi.

— No, mi rispose; non un'altra volta; sono sempre di guardia, perchè nessuno, ancora, è venuto a levarmi di quì.

— Ah, senti...! E allora, da quanto tempo ti trovi costì?...

— Eh, saranno... sicuro; saranno circa diciassette ore!

— Come?... E non hai dormito? Non hai mangiato?

— Sì, si; ho mangiato...

— Ah, dunque sei andato a prendere un boccone di qualche cosa?

— Oh, no!... O che una sentinella può abbandonare il suo posto?... Stamattina mi sono messo a gridare, rivolto alla bottega ch'è di faccia, che avevo fame... e allora mi hanno portato un po' di pane.

Presi l'impegno di far subito cambiare quel bravo ragazzo.

Arrivato a Piazza Reale domandai di Victor. Egli non era rincasato. Sentii un brivido, e, non so perchè, la visione di quei morti trasportati nella sala di S. Giovanni, traversò subito la mia mente.

Se il mio Victor fosse rimasto travolto in quella sanguinosa baraonda?

Trovai un pretesto per uscire di nuovo. Vacquerie era ; gli sussurrai sottovoce l'angoscia che mi teneva agitato, ed egli si offrì per accompagnarmi.

Andammo subito a cercare Froment-Meurice, i di cui magazzini erano nella via Loban, accanto all'Hotel de Ville, e lo pregai di farmi entrare nella sala di S. Giovanni.

Sul principio egli cercò di distogliermi dall'idea di vedere quel triste spettacolo; avendolo veduto il giorno avanti, ne era ancora impressionatissimo. Il quadro appariva orribile. In quelle sue reticenze e in quel consiglio mi parve di scoprire l'idea di volermi tener nascosto qualche cosa. Fu allora che insistei di più, e fu allora che partimmo.

Nella grande sala S. Giovanni, trasformata in una vasta morgue, si stendeva su dei letti da campo la lunga fila dei cadaveri, per la più parte irriconoscibili.

Passai quella lunga rivista, fremendo tutte le volte che qualcuno di quei cadaveri era giovane e coi capelli castagni.

Oh! si; era davvero uno spettacolo orribile quello di quei poveri morti tutti insanguinati! Ma io non saprei descriverlo; tutto ciò che io vedevo di ognuno di essi era... che nessuno era mio figlio. Finalmente arrivai all'ultimo e respirai.

Appena uscito da quel funebre luogo vidi corrermi incontro Victor. Egli aveva abbandonato la sala, dove mi aspettava, appena aveva udito lo sparo dei fucili; poi, non gli era stato più possibile rientrare; allora era andato a far visita ad un amico.

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License