II.
Espulsione —
fuga
Il 24 Febbraio, il Duca e la Duchessa Decazes
furono cacciati, è la vera parola, dal Luxembourg.
E da chi?...
Dagli stessi abitanti del
palazzo, tutti impiegati della Camera alta, dei pari; tutta gente nominata dal
gran referendario!
Nel palazzo correva la voce che
i pari dovevano riunirsi nella nottata, ch'essi avrebbero fatto un atto
controrivoluzionario, che avrebbero pubblicato un manifesto, ecc., ecc.
Tutto il sobborgo S. Giacomo si
preparava per marciare contro il Luxembourg. Da questo, il terrore.
Sul principio si supplicò, poi
si spinse, infine si fece comprendere al Duca e alla Duchessa che bisognava
abbandonare il palazzo.
— Ma partiremo domani! noi non
sappiamo nemmeno dove andare, lasciateci almeno passar quì la notte!
Furono cacciati.
Essi andarono a dormire in una
pensione. L'indomani si stabilirono nella via Verneuil, 9.
*
* *
I ministri fuggirono tutti e non
senza penare. Dachatel particolarmente ebbe una gran paura.
Guizot, dopo la sanguinosa
scarica dei Cappuccini, si era alzato spaventato, ed era andato ad abitare al
ministero dell'interno. Egli viveva là in famiglia con Duchatel.
Il 24 Febbraio, Duchatel e
Guizot, stavano per sedere e per mettersi a far colazione, allorchè un usciere
accorse tutto affannato.
— La testa della colonna della
sommossa, sbocca dall'angolo di via Bourgogne!
I due ministri lasciarono la
tavola già servita, e non ebbero che il tempo di fuggire dalla parte del
giardino. Le loro famiglie li seguirono: la giovine sposa di Duchatel, la
vecchia madre di Guizot, e i bambini.
Un particolare: la colazione di
Guizot divenne il pranzo di Ledru-Rollin.
Non è la prima volta che quello
che ha servito alla monarchia viene mangiato dalla Repubblica.
Intanto i fuggitivi avevano
preso per via Bellechasse.
Guizot camminava il primo, dando
il braccio a Duchatel, con la sua pelliccia tutta abbottonata, il suo cappello come
di consueto gettato all'indietro della testa.
In via Hillerin-Bertin, la
signora Duchatel si accorse che due uomini con la blouse sbirciavano molto
singolarmente Guizot. Ella lo fece entrare in una rimessa, della quale
conosceva la portinaia. Poi si fece salire Guizot sino ad un quinto piano, in
una camera disabitata, e lo si nascose.
Guizot passò tutta una giornata
in quel nascondiglio, ma non vi poteva rimanere. Uno dei suoi amici si ricordò
di un libraio, grande ammiratore di Guizot, che molto sovente, in tempi
migliori, aveva dichiarato che si sarebbe votato ed avrebbe dato anche la vita,
per essere utile a quello che egli chiamava «un grand'uomo», e che egli
aspettava questa occasione. (Non mi hanno detto il nome di questo libraio). Si
andò a trovarlo. Gli si ricordarono le parole che egli aveva dette e gli si
disse che l'ora era venuta. Quel bravo libraio non fece fallire le speranze che
si avevano su di lui. Egli offrì la sua casa e nascose Guizot per dieci giorni
interi.
Alla fine di questi dieci giorni
si pensò di prendere tutti i posti di un compartimento della ferrovia del Nord.
Guizot vi si recò mentre annottava. Le sette persone che lo accompagnavano e
che si offrivano per farlo fuggire presero posto accanto a lui in quel
compartimento. Si arrivò in tal modo sino a Lilla, poi sino a Ostenda. Di là
Guizot passò in Inghilterra.
La fuga di Duchatel fu più
complicata.
Egli trovò la maniera per avere
un passaporto di agente della Repubblica in missione. Poi si travestì, si tinse
le sopracciglia, si mise un paio di occhiali bleu e abbandonò Parigi in una
vettura della Posta.
Due volte egli fu arrestato
dalle guardie nazionali delle città che attraversava.
Egli giuocò di audacia:
— Voi sarete responsabili
dinanzi alla Repubblica, del ritardo che frapponete alla mia missione! gridò.
La parola Repubblica produsse
sempre il suo effetto. Si fece largo al passaggio del ministro. La Repubblica salvò
Duchatel.
Arrivò in tal modo ad un porto
di mare (Boulogne, io credo) credendosi sempre pedinato e inseguito e per
questo molto agitato.
Un battello partiva per
l'Inghilterra. Di notte, Duchatel vi si recò e montò.
Egli stava per occupare la sua
cabina allorchè vennero a dirgli che il battello non partiva più. Si credette
scoperto e perduto. Il battello era semplicemente trattenuto dal console
d'Inghilterra, probabilmente per favorire al bisogno la fuga di Luigi Filippo.
Duchatel tornò a terra e passò
la notte e tutta la giornata dell'indomani nello studio di una pittrice a lui
molto devota.
Il giorno dopo, altro battello
ed altro imbarco; Duchatel discese sotto coverta per aspettare la partenza.
Egli non respirava credendo, ad ogni momento, di essere riconosciuto e
arrestato.
Finalmente la macchina sbuffa e
i primi giri di ruota battono l'acqua. Si parte.
Tutto ad un tratto, un grido
s'inalza dalla nave e dal porto:
— Fermate! Fermate!
Questa volta, quel povero
diavolo di un ministro si credè perduto.
Era un ufficiale della guardia
nazionale che si era trattenuto un po' troppo sul ponte della nave per dar
l'addio a qualcuno, e che non amava niente affatto trovarsi in Inghilterra
senza volerlo.
Vedendo che il battello
cominciava a camminare egli aveva gridato:
— Fermate!
E tutta la sua famiglia aveva
replicato dal porto:
— Fermate! Fermate!
Si mise l'ufficiale a terra e il
battello partì.
Fu così che Duchatel abbandonò la Francia e raggiunse
l'Inghilterra.
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