III.
Luigi Filippo in
esilio
3 Maggio 1848.
La famiglia Orlèans in Inghilterra
è letteralmente nella miseria; essi sono ventidue a tavola e bevono acqua.
Tuttociò senza la minima esagerazione.
Essi, per vivere non hanno che
una quarantina di mila lire di rendita, così divise: 24.000 lire di rendita da
Napoli, provenienti dalla Regina Maria Amelia, e i frutti di una somma di
340.000 franchi che Luigi Filippo aveva dimenticati in Inghilterra, ecco in
quale occasione.
In quell'ultimo trionfale
viaggio che egli fece nel 1844 col principe di Joinville, il re si era fatto
aprire un credito di 500,000 franchi presso un banchiere di Londra. Da questa
cifra di 500.000 franchi egli non detrasse che 160,000 lire. Adesso è rimasto
molto stupito e molto piacevolmente sorpreso di trovare al suo arrivo a Londra,
la rimanenza della somma depositata sempre a sua disposizione.
Vatout è con la famiglia reale.
Essi, in tutti, non hanno che tre domestici dei quali, uno solo, li ha
seguiti dalle Tuileries.
In questo abbandono hanno
domandato a Parigi la restituzione di quello che, in Francia, spetta a loro; ma
i beni sono sotto sequestro e vi sono rimasti nonostante tutte le richieste
fatte. Tuttociò per varie ragioni.
Uno dei motivi allegati dal
governo provvisorio è il debito lasciato dalla lista civile che è di 30
milioni.
Si avevano delle strane opinioni
su Luigi Filippo; egli poteva essere avido, ma a colpo sicuro non era avaro.
Egli era il più prodigo, il più dissipatore ed il meno ordinato degli uomini.
Egli aveva dei debiti, dei conti e degli arretrati dappertutto.
Ad un falegname doveva 700,000
franchi, ed al suo ortolano, 70,000 franchi per burro.
Non si è dunque potuto togliere
dai suoi beni nessun sigillo e tutto è rimasto per i crediti dei suoi
fornitori, tutto, sino ai beni personali del principe e della principessa di
Joinville, rendite, diamanti, ecc.
Finanche la somma di 198,000
franchi appartenenti in proprio alla Duchessa d'Orleans.
Tuttociò che la famiglia reale
ha potuto ottenere è la restituzione degli abiti e di tutti gli effetti
personali, tranne quelli che non si sono più trovati.
Si sono costruite nella sala
degli spettacoli delle Tuileries tre lunghe tavole, sulle quali si è steso
tutto quello che i combattenti del Febbraio avevano depositato nelle mani del
governatore delle Tuileries Durand Saint-Armand, e si è formato un bizzarro
miscuglio.
Abiti della corte stracciati e
sdruciti; grandi cordoni della Legion d'onore trascinati nel rigagnolo; ordini
stranieri; dei tosoni; delle spade, delle corone; dei diamanti; delle collane
di perle, un collare del Toson d'oro, ecc. ecc. Ogni incaricato ed ogni
procuratore dei principi ha preso quello che ha potuto riconoscere. Sembra,
insomma, che si sia ritrovata poca roba. Il duca di Nemours si era limitato a
chiedere della biancheria e, prima di tutto, un paio di stivaloni.
Il principe di Jonville ha
avvicinato così il duca di Montpensier:
— Ah, eccovi quà, signore; anche
voi non siete morto? anche voi non avete avuto questa fortuna!
*
* *
Godin, il pittore di marine, che
torna dall'Inghilterra, ha visto Luigi Filippo. Il re è accasciatissimo; egli
ha detto a Godin:
— Io non ci capisco niente. Ma
che cosa è successo a Parigi?... quale idea ha mai attraversato il cervello dei
parigini, c'è da saperlo?... io non lo so!... Fra non molto si riconoscerà che
non ho nulla, nulla da rimproverarmi; non ho nessun torto.
Di fatti, egli non ha avuto
nessun torto, e gli ha avuti tutti.
Del resto era giunto ad un tale
ottimismo da rendersi assolutamente inesplicabile. Si credeva più re di Luigi
XIV e più imperatore di Napoleone.
Il giorno di martedi 22 egli era
così allegro, da sembrar quasi pazzo. E anche in quel giorno era unicamente
occupato dalle proprie particolari faccende, dalle cose più piccine.
Alle due, quando si tiravano i
primi colpi di fucile, parlava con Gerante, Scribe, e Denormandie, suoi agenti
d'affari, sul partito da trarre dal testamento di Madame Adelaide.
Il mercoledì, a un'ora, nel
momento preciso nel quale la guardia nazionale si pronunciava, (ciò che
annunciava una rivoluzione), in quel momento il re mandava a cercare il pittore
Hersent per dargli la commissione di non so quale pittura.
Del resto, Luigi Filippo in
Inghilterra porta molto onorevolmente il peso della sua disgrazia.
L'aristocrazia inglese si è
condotta poi nobilmente. Otto o dieci pari dei più ricchi hanno scritto a
Luigi-Filippo per offrirgli i loro castelli e le loro borse. Il re ha risposto:
— Io non accetto e non conservo
che le vostre lettere.
In questo momento, (maggio 1848)
le Tuileries sono già riordinate e Empis, stamattina, mi diceva:
— Con una bella spolverata non
si vedrà più niente.
Viceversa, Neuilly ed il Palazzo
Reale furono devastati.
La galleria dei quadri del
Palazzo Reale, già molto mediocre, è restata quasi distrutta.
Non è rimasto che un ritratto
perfettamente intatto: è il ritratto di Filippo-Egalitè.
Fu forse salvato dalla
sommossa?... fu una derisione, o fu il caso?...
Le guardie nazionali si
divertirono e si divertono ancora a sfondare le figure di quelle tele i cui
quadri non furono interamente bruciati.
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