XV.
La
deportazione12
5 aprile 1850.
Signori; dopo le giornate di
febbraio, giornate che, nella storia, non si possono rassomigliare a
nessun'altre, vi fu un bel giorno; il giorno in cui la voce sovrana del popolo,
fra i rumori confusi della piazza, dettando i decreti del governo provvisorio,
pronunziò questa grande parola: — In materia politica la pena di morte è
abolita. (Benissimo.)
Quel giorno, tutti i cuori
generosi, tutti i caratteri seri, trasalirono.
E, di fatti; vedere il progresso
uscir subito, maestoso e calmo, da una rivoluzione ancor fremente; veder
sorgere al di sopra delle moltitudini commosse, Cristo vivente e incoronato;
vedere dal mezzo di un immenso crollo di leggi umane, uscire in tutto il suo
splendore la legge divina (Bravo!); vedere la folla comportarsi come un
savio; vedere tante passioni, tante intelligenze, tante anime che, nel giorno
prima, erano ancora piene di collera; vedere tante labbra che tornavano
dall'avere strappato delle cartucce, unirsi e confondersi in un solo grido, il
più bello che possa essere emesso dalle voce umana: — Clemenza! —fu, o signori,
per i filosofi, per i pubblicisti, per l'uomo cristiano, per l'uomo politico,
fu per la Francia
e per l'Europa, un magnifico spettacolo! (Bravo! Bravo!)
Gli stessi che dagli avvenimenti
del febbraio erano rimasti feriti ne' loro interessi, nei loro sentimenti,
nelle loro cose affettuose; gli stessi che gemevano, gli stessi che tremavano,
applaudirono! Applaudirono e riconobbero che le rivoluzioni possono confondere
il bene con le esplosioni violente, ma hanno questo di meraviglioso: basta
un'ora sublime perchè esse cancellino tutti gli errori! (Sensazione).
Del resto, o signori, questo
trionfo improvviso ed abbagliante, benchè parziale, del dogma che prescrive la
inviolabilità della vita umana, non stupisce punto coloro che conoscono la
potenza delle idee.
Nei tempi che si è convenuto di
chiamare tempi di calma, bisogna osservare il movimento profondo che si compie
sotto l'apparente immobilità della superficie; sono epoche dette tranquille,
nelle quali si disprezzano sdegnosamente le idèe, ed in cui è molto utile
rimanere indifferenti. — Sogno! declamazioni, utopie! — si dice. Non si tien
conto che dei fatti, e quanto più sono materiali tanto più vengono stimati.
Non si stimano che gli uomini
d'affari; non si stimano che gli uomini pratici, come si dice con un
certo linguaggio (Bravo!), e non si tien conto che degli uomini
positivi, i quali, viceversa, non sono che degli uomini negativi. (È vero!)
Ma quando scoppia una
rivoluzione, gli uomini d'affari e le persone abili che sembravano colossi, non
avendo la proporzione dei nuovi avvenimenti, crollano; i fatti materiali
ruzzolano, e le idee ingrandiscono sino al cielo.
È per questo, è per questa forza
d'espansione che le idee acquistano in tempi di rivoluzione, che si è compiuto
questo gran fatto: l'abolizione della pena di morte in materia politica.
Signori, questa grande cosa,
questo decreto fecondo che contiene in germe tutto un codice, questo progresso,
ch'è più di un progresso, che è un principio, l'Assemblea costituente lo ha
adottato e consacrato! Essa lo ha posto, dirò così, quasi in cima alla
costituzione, come un gran passo dello spirito della civilizzazione o come una
conquista; ma sopratutto come una promessa, come una specie di porta aperta che
lascia penetrare, fra i progressi oscuri ed incompleti del presente, la luce
serena dell'avvenire.
E di fatti, in un tempo non
lontano, l'abolizione della pena capitale in materia politica, ci condurrà
necessariamente, per forza di logica, all'abolizione pura e semplice della pena
di morte! (Sì! Sì!)13
Ebbene, o signori, oggi si
tratta di ritirare questa promessa! si tratta di rinunziare a questa conquista!
si tratta di respingere una cosa che non indietreggia! si tratta di cancellare
dalla storia questa meravigliosa giornata del febbraio segnata dall'entusiasmo
di un gran popolo per la nascita di un immenso progresso!
Col titolo modesto di legge
per la deportazione, il governo ci presenta e la commissione vi propone di
accettare, un progetto di legge che il sentimento pubblico, il quale non
s'inganna mai, ha già tradotto e sintetizzato in una riga che è questa: La Pena di morte è ristabilita
in materia Politica. (Bravo, a sinistra. Denegazioni a destra.)
Voci: — Si riempie una
lacuna del Codice! Ecco tutto!
Altre: — È per
rimpiazzare la pena di morte!...
Hugo: — Ah! li sentite, o
signori, gli autori del progetto, i membri della commissione, gli onorevoli
capi della maggioranza? essi stessi dicono: — Non si tratta di questo, nemmeno
per idea! Esiste una lacuna nel codice penale; la si vuol riempire, e nulla
più! si vuol semplicemente... colmare la lacuna della pena di morte! — (Bravo!
Bravo!) Non è così?... È ben questo che si è scritto. Si vuol dunque,
semplicemente, rimpiazzare la pena di morte; e come si farà?... Si sceglie un
clima... Sì! qualunque cosa voi facciate, o signori, voi avrete un bel cercare,
scegliere, esplorare, andare dalle isole Marchesi al Madagascar, tornare dal
Madagascar alle isole Marchesi, che l'ammiraglio Bruat chiama la tomba degli
europei; il clima del luogo di deportazione, comparato al nostro, sarà
sempre un clima mortale, e l'acclimatamento, già molto difficile per le persone
che andandovi sono libere, sodisfatte, situate nelle migliori condizioni di
attività e d'igiene, sarà impossibile, m'intendete?... sarà assolutamente
impossibile per gli sciagurati detenuti! (È vero!)
Riattacco. Si vuol dunque,
semplicemente rimpiazzare la pena di morte. E che cosa si fa? Si stabilisce un
clima, l'esilio e la prigione.
Il clima offre la cattività,
l'esilio l'accasciamento, la prigione la disperazione: al posto di un carnefice
se ne mettono tre. La pena di morte è sostituita! (Profonda sensazione).
Ah, ma lasciate il giro di tante
parole, lasciate la fraseologia ipocrita; siate almeno sinceri e dite almeno
con noi:
— Si; la pena di morte è
ristabilita! (Bravo! a sinistra).
Si, è ristabilita; è ristabilita
la pena di morte, e or ora io vi proverò che apparentemente voi avete fatto
qualcosa di meno pauroso, ma sostanzialmente la vostra trovata è molto più
orribile! (È vero! È vero!)
Vediamo; vediamo, o signori, e
discutiamo freddamente.
Apparentemente voi non soltanto
volete fare una legge severa, ma anche possibile, una legge che all'indomani
della sua promulgazione non cada, ma sia riconosciuta degna di vivere... Non è
così?...
Ebbene; quando ad una legge voi
unite l'eccesso della severità, questa legge diviene impotente! (Si! Si! è
vero!)
Pretendere che una legge dia
troppo è il mezzo più sicuro perchè essa non dia nulla!
E sapete perchè avviene
tuttociò?...... Perchè una giusta pena ha, nel fondo di tutte le coscienze,
certi limiti che il legislatore non ha la forza di stabilire a suo modo. Il
giorno nel quale, per ordine nostro, la legge tenta di sorpassare questi
confini, questi confini sacri, inviolabili, questi limiti segnati nella equità
dell'uomo dal volere di Dio, la legge s'imbatte nella coscienza ed essa le
impedisce di andare oltre!
Unita all'opinione, allo stato
degli animi, al sentimento pubblico, ai costumi, la legge può tutto. In lotta
con le forze vive della società e della civilizzazione, ella non può niente! (Bravo!)
I tribunali esitano, i giurì assolvono, i testimoni negano; tutte le prove
spariscono sotto l'occhio stupefatto dei giudici! (Agitazione).
Pensateci, o signori; quello che
la penalità costruisce (e io lo dico per tutti i partiti; costruite pure delle
granitiche iniquità con la calce o col cimento) basterà un soffio per gettarlo
a terra! (Sì! Sì!) Basterà il soffio che esce da tutte le labbra e che
si chiama pubblica opinione! (Sensazione).
Io lo ripeto, ecco quà la
formola vera in questa materia Ogni legge penale perde di forza quanto acquista
di severità. (È vero!).
Tuttavia voglio immaginare di
sbagliare; voglio fingere che il mio ragionamento sia errato; però, rilevatelo
bene; io lo potrei consolidare con una infinità di prove. Ammetto dunque di
cadere in errore. Io suppongo che questa nuova pena non cadrà subito in disuso.
Vi concedo che, dopo aver votato una tal legge voi avrete anche la disgrazia di
vederla applicare. Ebbene, permettetemi di porre due domande:
— Dov'è l'opportunità di una tal
legge? — Dov'è la necessità?...
L'opportunità? ci dicono.
Dimenticate forse gli attentati di ieri, di ogni giorno, il 13 maggio, il 23
giugno, il 13 giugno?
La necessità?... Ma non è forse
necessario di opporre a questi attentati sempre possibili, sempre flagranti,
una forte repressione, una gagliarda intimidazione?.. La rivoluzione del
febbraio ci ha tolto la ghigliottina... Noi facciamo del nostro meglio per
rimpiazzarla; facciamo tutto quello che possiamo (Agitazione prolungata).
Me ne accorgo. (Risata).
Prima di proseguire, una parola,
per spiegarsi. Signori, di fronte a chicchessia, respingo e condanno, sotto un
regime che nasce dal suffragio universale, gli atti di ribellione e di
disordine, l'appello alla forza brutale.
Ciò che conviene di più ad un
popolo padrone di sè stesso, ad un gran popolo intelligente, non è l'appello
alle armi, ma l'appello alle idèe. (Sensazione).
Per me, del resto, dev'essere
così, l'assioma della democrazia: il diritto al suffragio abolisce il diritto
alla insurrezione. Il suffragio universale liquefà, distrugge le rivoluzioni. (Applausi).
Tale il principio, principio
incontestabile e assoluto, lo ripeto. Tuttavia, debbo dirlo; le applicazioni
penali fanno nascer sempre delle incertezze. Quando alcune funeste e deplorevoli
violazioni della pubblica quiete danno luogo a delle persecuzioni giuridiche,
nulla riesce più difficile che il precisare il valore dei fatti e proporzionare
la pena al delitto. Tutti i processi politici lo hanno provato. Tuttavia,
qualunque cosa avvenga, la società deve difendersi. Su questo punto sono
perfettamente d'accordo con voi. La società deve difendersi e voi avete
l'obbligo di proteggerla. I tumulti, le sommosse, le insurrezioni, i complotti,
gli attentati, debbono essere evitati, prevenuti, repressi. Sia; voglio lo
stesso anch'io.
Ma, per far questo, avete forse
bisogno di una nuova pena? Leggete il codice. Quale immensa forza per
intimidire e per far pentire!
Gettate dunque l'occhio sulle
pene attuali e osservate quanto è terribile la potenza ch'esse mettono nelle
vostre mani!
Come! ecco un uomo, un uomo che
il tribunale speciale ha condannato! Egli è colpito per il delitto più incerto,
il delitto politico; con la più incerta di tutte le giustizie, la giustizia
politica! (Rumori a destra. — Lunga interruzione).
Signori, mi meraviglio di questa
interruzione. Rispetto tutte le giurisdizioni legali e costituzionali; ma
quando qualifico la giustizia politica in generale come adesso, io non faccio
che ripetere ciò che in tutti i secoli è stato detto dalla filosofia dei popoli
e non sono altro che l'eco della storia!
Continuo.
Ecco dunque un uomo condannato
dal tribunale eccezionale. Quest'uomo vi viene abbandonato da una condanna alla
deportazione.
Osservate bene quello che voi ne
potete fare, osservate il potere che la legge vi dà! Io dico il codice penale
attuale, la legge attuale, con la sua definizione per la deportazione.
Quest'uomo, questo condannato,
questo delinquente secondo alcuni, quest'eroe secondo altri, poichè, ecco
qual'è il difetto dei tempi... (Esplosione rumorosa a destra).
Il Presidente: — Quando
la giustizia si è pronunziata, il delinquente è delinquente per tutto il mondo;
egli non può essere un eroe che per i suoi complici. (Bravo, a destra).
Hugo: —Farò osservare questo,
all'onorevole presidente Dupin: il maresciallo Ney, giudicato nel 1815, fu
dichiarato un delinquente dalla giustizia. Per me egli è un eroe ed io non sono
niente affatto suo complice! (Applauso lunghissimo a sinistra).
Continuo: il condannato, questo
delinquente secondo gli uni, questo eroe secondo gli altri, voi lo sequestrate
nel momento della sua fama, della sua influenza, della sua popolarità; voi lo
strappate da tutto; da sua moglie, dai suoi figli, dai suoi amici, dalla sua
famiglia, dalla sua patria; voi lo sradicate violentemente da tutti i suoi
interessi e da tutti i suoi affetti; voi lo sradicate mentre egli è ancora
caldo della passione che suscitava, della luce che spandeva, e lo gettate nelle
tenebre, nel silenzio, a non si sa quale distanza spaventevole dalla sua terra
natale. (Sensazione) Voi lo custodite là, solo, in preda a se stesso, ai
suoi dispiaceri se egli crede di essere stato un uomo necessario al suo paese,
ai suoi rimorsi se riconosce di essere stato un uomo fatale.
Voi lo mantenete laggiù, libero,
ma ben guardato; nessuna maniera d'evadere; egli è vigilato da una guarnigione
che occupa l'isola, è vigilato da una nave che sorveglia la costa, è vigilato
dall'oceano, il quale spalanca fra lui e la terra, un abisso lungo quattro mila
leghe.
Voi mantenete là quest'uomo
nella incapacità di nuocere, senza echi dintorno, accasciato, nell'isolamento,
nell'impotenza e nell'oblio, detronizzato, disarmato, infranto, distrutto!
E tutto ciò non vi basta! (Viva
attenzione).
Questo vinto, questo proscritto,
questo condannato dalla fortuna, quest'uomo politico polverizzato, quest'uomo
popolare atterrato, voi volete anche imprigionarlo! Volete fare una cosa senza
nome, perchè ancora nessuna legislazione l'ha fatta: aggiungere alle torture
dell'esilio le torture della prigione! moltiplicare un rigore con una crudeltà!
(È vero).
Non vi basta aver messo su
questa testa la volta del cielo tropicale, volete unirvi lo sfondo del
capannone! Quest'uomo, questo disgraziato, per voi deve essere murato vivo in
una fortezza, la quale, a questa distanza assume un aspetto funebre. Voi che la
costruite, ve lo dico francamente, voi stessi che la costruite non sapete
ancora che cosa ella sarà; se una capanna oppure una tomba! (Rumori
prolungati).
Voi volete che lentamente,
giorno per giorno, ora per ora, a fuoco lento, quest'anima, questa
intelligenza, — quest'ambizione, sia! — seppellita viva, sì, viva, io lo
ripeto, a quattro mila leghe dalla patria, sotto un sole che soffoca, con la
minaccia di questa orribile prigione-sepolcro, si contorca, si consumi, si
divori, domandi grazia, chiami la patria, implori l'aria, la vita, la libertà,
agonizzi e spiri misèrabilmente! Ah! è mostruoso! (Profonda sensazione). Ah! io
protesto a nome dell'umanità! Ah! voi siete senza pietà e senza cuore! Quello
che voi chiamate una espiazione io lo chiamo un martirio, e quello che voi
chiamate giustizia io lo chiamo assassinio!.. (Acclamazione a sinistra).
Ma insorgete, dunque, o
cattolici, o preti, vescovi, uomini della religione che sedete in quest'aula e
che io scorgo in mezzo a noi! insorgete, questo è il vostro compito! Che cosa
ci fate sui vostri scanni?.. salite a questa tribuna e venite, con l'autorità
della vostra santa fede, con l'autorità delle vostre sante tradizioni, venite a
dire a gl'ispiratori di queste misure così crudeli, a coloro che applaudono a
delle leggi così barbare, a coloro che sospingono la maggioranza in questa via
così funesta, dite loro che ciò che essi fanno è cattivo, è detestabile, è
empio!.. (Sì! Si!) Ricordate loro che Cristo venne a portare al mondo
una legge di mansuetudine e non una legge crudele; dite loro che il giorno nel
quale l'uomo Dio ha subìto una pena di morte, quel giorno egli l'ha abolita (Bravo
a sinistra) poichè ha dimostrato che la folle giustizia umana poteva
scendere e colpire qualcosa più d'una testa d'uomo, poteva colpire una testa
divina!... (Profonda sensazione).
Dite agli autori, dite ai
difensori di questo progetto, dite a questi grandi politici, non è facendo
agonizzare degli sciagurati in una cella a quattro mila leghe dal loro paese
che spazzeranno la pubblica piazza: con ciò essi creano invece un male; il male
d'esasperare la pietà del popolo e cambiarla in collera. (Sì! Si!) Dite
a questi uomini d'essere umani, ordinate loro di tornar cristiani; insegnate
loro che non è con delle leggi senza pietà che si difende un governo e che si
salva la società; quello ch'è necessario a' nostri tempi, agli spiriti ed ai
cuori malati, ciò che occorre per risolvere una situazione che appare creata da
molti malintesi e da molte definizioni non ancora definite, non sono le misure
di rappresaglia e di reazione, di rancore e di stizza, ma sono invece le leggi
generose, le leggi cordiali, le leggi di concordia e di saggezza; e dite anche
che l'ultima parola della crisi sociale che noi attraversiamo; io non mi
stancherò di ripeterlo; no! non è la repressione, no! è la fratellanza, poichè
la fratellanza, prima di essere nel pensiero dei popoli, fu nel pensiero di
Dio! (Lunga acclamazione).
Voi tacete! Ebbene, io continuo.
Io mi rivolgo a voi, signori ministri, mi rivolgo a voi, signori membri della
commissione. Serro più da vicino l'idea della vostra cittadella, o della vostra
fortezza, poichè si solletica il vostro amor proprio chiamando tutto ciò una cittadella.
(Si ride).
Quando pensaste d'istituire
questo penitenziario di deportati, quando ideaste di creare questo cimitero,
pensaste, immaginaste voi, quello che sarebbe accaduto laggiù?..
Lo sapete quello che accadrà? Ne
avete un'idea?.. Vi siete detti che abbandonereste gli uomini colpiti dalla
giustizia politica all'ignoto, e, quello che vi è di più orribile, nell'ignoto?
Siete penetrati nel dettaglio di tutto ciò che contiene quest'abominevole idea,
questa idea feroce della reclusione nella deportazione?.. (Mormorii a destra).
Guardate, cominciando, stavo
quasi per indicarvi e per caratterizzarvi con una sola parola ciò che sarà quel
clima, ciò che sarà quell'esilio, ciò che sarà quel capannone. Io vi ho detto
che saranno tre carnefici. Ve n'è un quarto che dimenticavo, ed è il direttore
del penitenziario. Vi siete rammentati di Jeannet, il carnefice di Sinnamari?
Vi siete resi conto, di ciò che sarà, dico subito necessariamente, l'uomo
qualunque che accetterà di fronte al mondo civilizzato la carica morale di
questo odioso stabilimento delle isole Marchesi, l'uomo che acconsentirà ad
essere il beccamorti di questa prigione ed il carceriere di questa tomba? (Proteste).
Ve la siete immaginata, così
lontana da qualunque controllo, resa così irresponsabile, con un'autorità senza
limiti e con delle vittime senza difesa, la possibile tirannia d'un'anima
cattiva e perversa?
Signori! le isole di S. Elena
producono gli aguzzini che si chiamano Hudson Lowe. (Bravo!)
Ebbene; vi siete figurate tutte
le torture, tutte le raffinatezze, tutti i dolori che un uomo del temperamento
di Hudson Lowe può inventare per degli uomini che non hanno l'aureola di
Napoleone?.. Un giorno, l'imperatore, preso dalla disperazione, tentò
d'avvelenarsi.
Se quando in Francia, a
Doullens, al Monte S. Michele... (L'oratore s'interrompe. Attenzione
vivissima).
Giacchè questo nome mi è venuto
alle labbra, colgo questa occasione per annunziare all'onorevole ministro
dell'interno che prossimamente conto di rivolgergli una interpellanza sui fatti
mostruosi che si sarebbero commessi in questa prigione del Monte S. Michele. (Confusione.
A sinistra: Benissimo! L'oratore riprende).
Nelle nostre prigioni in
Francia, a Doullens, al Monte S. Michele, appena si commette un abuso, appena
si tenta una iniquità, i giornali gridano, l'assemblea si commuove, e l'urlo
del prigioniero arriva sino al governo e al popolo, ripercosso dalla doppia eco
della stampa e della tribuna. Ma nella vostra cittadella delle isole Marchesi,
il paziente sarà ridotto a sospirare dolorosamente: Ah! se il popolo sapesse! (Benissimo).
Si, laggiù, laggiù lontano, a quella spaventevole distanza, in quel silenzio,
in quella solitudine, laggiù dove non giungerà nè arriverà alcuna voce umana, a
chi rivolgerà i suoi lagni quel disgraziato? chi lo sentirà?.. Fra il suo
pianto e voi si alzerà il fragore delle onde immense dell'oceano! (Sensazione
profonda).
Signori, l'ombra ed il silenzio
della morte peseranno su questo spaventevole bagno politico!
Nulla trasparirà, sino a voi,
nulla!.. se non, di tanto in tanto, ad intervalli, una notizia lugubre, la
quale, traversando i mari, verrà a ripercuotersi in Francia ed in Europa, più
ghiaccia di un funerale, con la stigmate viva e dolorosa dell'opinione, per
dirvi — Il tal condannato è morto! (Agitazione).
Quel condannato sarà (poichè in
quel momento non si scorgeranno che i meriti di quell'uomo) sarà un pubblicista
celebre, uno storico sommo, uno scrittore illustre, un oratore famoso.
Voi tenderete l'orecchio a quel
sinistro mormorio e calcolerete il pochissimo tempo che c'è voluto a farlo
sparire; allora fremerete! (Rumori. A sinistra: Essi ridono!)
Ah! voi lo vedete bene! tutto
ciò è la pena di morte! la pena di morte disperata! È qualcosa peggiore del
patibolo! È la pena di morte senza la gioia suprema di gettare l'ultimo sguardo
al cielo che ci ha veduti nascere! (Bravo! ripetuti a sinistra).
Voi non vorrete tutto questo!
voi respingerete questa legge! (Rumori).
Questo grande principio,
l'abolizione della pena di morte in materia politica, questo generoso principio
fatto cadere dalla mano benefica del popolo, non lo sopprimerete! Voi non lo
riprenderete furtivamente alla Francia, la quale, lungi dall'attenderne la
sparizione, ne aspetta anzi, da voi, il compimento! Non ratificherete questo
decreto, ch'è la cosa la più onorifica, che è l'onore stesso della rivoluzione
del febbraio! Non darete una smentita a quello che fu qualcosa più del grido
della coscienza popolare, a quello che fu il grido della coscienza umana! (Viva
approvazione a sinistra. — Mormorii a destra).
So bene, o signori, che ogni
qual volta noi mettiamo fuori questa parola, la coscienza, ritenendo di trarne
il desiderato effetto, abbiamo invece la disgrazia di far sorridere molti
grandi uomini politici.
A destra: — È vero!.. È
vero!..
A sinistra: — Ne
convengono!..
Hugo: — Sul principio,
questi grandi politici, non ci credono molto ammalati, hanno pietà di noi, e
consentono a curare la infermità dalla quale ci ritengono afflitti, la
infermità della coscienza; e per far questo ci oppongono la ragione di stato.
Se poi persistiamo, ah! allora si annoiano, e ci dicono che non intendiamo
niente, in certi affari; che ci manca il senso politico, che non siamo degli
uomini seri, e... come debbo dire?.. pronunziano una gran parola, la quale equivale
per costoro alla più grande ingiuria che ci possa esser diretta: ci chiamano
poeti! (Si ride).
Allora ci fanno sapere che tutto
quello che noi crediamo di scoprire nella nostra coscienza, la fede nel
progresso, l'addolcimento della legge e dei costumi, l'accettazione dei
principi sorti dalle rivoluzioni, l'amore per il popolo, la devozione alla
libertà, il fanatismo per la grandezza del paese, tutto questo, ci dicono, è
buono senza dubbio, nel fondo, ma nell'applicazione conduce diritto all'inganno
ed alle chimère: per certe cose, bisogna invece comportarsi a seconda delle
congiunture e delle occasioni, vale a dire come consiglia la ragione di stato.
La ragione di stato!.. Ah!..
eccola la grande parola! di fatti anche or ora io la coglievo distintamente fra
una interruzione e l'altra.
Signori; esamino la ragione di
stato e ricordo tutti i cattivi consigli ch'ella ha già dati.
Apro la storia e scorgo in tutti
i tempi tutte le bassezze, tutte le indegnità, tutte le turpitudini, tutte le
vergogne, tutte le crudeltà che la ragione di stato ha autorizzato ed ha
compiuto!
Marat la invocava come Luigi XI;
essa ha fatto il 2 settembre dopo aver fatto la notte di S. Bartolommeo; essa
ha lasciato le sue tracce nelle Cévennes, e le ha lasciate a Sinnamari; è lei
che ha drizzato la ghigliottina di Robespierre, ed è lei che ha creato la
potenza di Haynau! (Agitazione).
Ah, il mio cuore si solleva! Ah!
io non voglio, non voglio, nè questa politica della ghigliottina, nè questa
politica della potenza; nè dei Marat, nè degli Haynau; e nemmeno le leggi
vostre sulla deportazione! (Bravo! Bravo!)
Qualunque cosa si faccia,
qualunque cosa si dica, ogni qual volta si tratterà di cercare una ispirazione
o un consiglio, io sono di coloro i quali non esiteranno un minuto fra quella
vergine che si chiama coscienza, e l'altra prostituta che si noma ragione di
stato! (Immensa, lunghissima acclamazione a sinistra. La destra appare
allibita.)
Io non sono che un poeta, lo
vedo bene!
Signori, se fosse possibile,
(che ciò stia lontano e che a Dio non piaccia, perchè prego con tutta l'anima)
se fosse possibile che quest'assemblea adottasse la legge che le viene
proposta, noi vedremmo, lo dico con dispiacere, vedremmo un doloroso spettacolo
messo a confronto della memorabile giornata che vi rammentavo incominciando:
vedremmo cioè un'epoca calma distruggere ed annientare quanto di buono e di
sublime fu fatto da un'epoca tempestosa. (Benissimo!)
Sarebbe la violenza del senato
contrastante con la saggezza della piazza. (Bravo a sinistra).
Sarebbe gli uomini di stato che
appaiono accecati dalla passione là dove il popolo si mostra intelligente e
giusto! (Mormorii a destra).
Sì! intelligente e giusto!
Signori, sapete voi che cosa faceva il popolo del febbraio proclamando la
clemenza?... Egli chiudeva la porta delle rivoluzioni. E sapete che cosa fate
decretando la vendetta?... Voi la riaprite! (Rumori prolungati).
Signori, si dice che questa
legge non avrà effetto retroattivo e non sarà destinata ad altro che a regolare
l'avvenire.
Ah! giacchè voi pronunciate
questa parola, l'avvenire, è appunto su questo vocabolo e su ciò che egli
contiene che vi consiglio a riflettere.
Guardiamo: per chi fate voi
questa legge? Lo sapete?... (Agitazione su tutti i banchi).
Signori della maggioranza, in
questo momento voi siete vittoriosi, siete i più forti, ma siete sicuri
d'esserlo sempre?... (Rumori continuati a destra).
Non lo dimenticate, la spada
della pena politica non appartiene alla giustizia, appartiene all'azzardo. (L'agitazione
raddoppia). Ella passa al vincitore con la sua fortuna. Fa parte di quel
faldello rivoluzionario che ogni felice colpo di stato, che ogni sommossa
trionfante, trova nella strada e raccoglie l'indomani della vittoria, ed ha
questo di fatale, questa terribile spada; ogni partito è destinato, volta per
volta, a tenerla nelle sue mani ed a sentirla sulla sua testa! (Sensazione
generale).
Ah! quando voi fabbricate una di
queste leggi vendicative (No! No! a destra), che i partiti trionfanti chiamano
leggi giuste nella buona fede del loro fanatismo (proteste), siete molto
imprudenti aggravando le pene e moltiplicando i rigori. (Nuovi rumori).
Quanto a me non so nemmeno io, in quest'epoca di commozioni, quale avvenire mi
è riserbato. Io mi dolgo, con fraterna pietà, di tutte le vittime attuali, di
tutte le vittime possibili dei nostri tempi rivoluzionari. Io odio e vorrei
spezzare tutto ciò che può essere arma per la violenza. Ora, la legge che voi
volete fare, è una legge spregevole, perchè può avere degli strani
contraccolpi; è una legge perfida il cui avvenire è un'incognita. Forse, nel
momento nel quale io parlo contro voi, sapete chi difendo? Voi stessi! (Profonda
sensazione).
Sì; io insisto; voi stessi non
sapete ancora bene quello che un dato giorno, in circostanze possibili, questa
vostra legge farà di voi! (Agitazione vivissima, profonda. Le interruzioni
s'incrociano).
Voi gridate, costà, da cotesta
parte?... Non credete alle mie parole?...
A destra: — No!.. No!...
Hugo: — Osserviamo. Voi
potrete esser ciechi per ciò che concerne l'avvenire, ma chiuderete gli occhi
anche al passato?... L'avvenire si può contestare, ma il passato non si nega. (Rumori)
Ebbene! volgete la testa,
guardate qualche anno indietro. Supponete che le due rivoluzioni scoppiate
negli ultimi venti anni siano state vinte dalla monarchia, e supponete che la
vostra legge sulla deportazione sia esistita allora. Carlo X avrebbe potuto
applicarla all'on. Thiers, e Luigi Filippo all'on. Odilon Barrot. (Applausi
a sinistra).
On. Odilon Barrot:
alzandosi: — Domando all'oratore il permesso d'interromperlo!
Hugo: — Volentieri!
Odilon Barrot: — Io non
ho mai cospirato; ho sostenuto, ultimo fra tutti, la monarchia; non cospirerò
mai, e nessuna giustizia mi potrà cogliere in fallo nell'avvenire, come nessuna
giustizia lo potè nel passato. (Benissimo! a destra).
Hugo: — L'on. Odilon
Barrot, di cui onoro il nobile carattere, si è avuto a male delle mie parole. Egli
dimentica che nel momento nel quale io parlavo, non parlavo della giustizia
giusta, ma della giustizia ingiusta, della giustizia politica, della giustizia
dei partiti. Ora, la giustizia ingiusta colpisce l'uomo giusto e poteva
benissimo, e lo può ancora, colpire l'on. Odilon Barrot. E questo quello che io
ho inteso di dire, ed è questo che io mantengo. (Proteste alla destra).
Quando io vi parlo delle
rivincite del destino e di tutto ciò che una tal legge può contenere di
contraccolpo, voi mormorate...
Ebbene! io insisto ancora! e vi
prevengo soltanto che se voi mormorate dell'altro, mormorate contro la storia!
(Il silenzio si ristabilisce. — Ascoltate! Ascoltate!)
Fra tutti gli uomini i quali
hanno diretto il governo o dominato l'opinione pubblica da sessant'anni, non ve
n'è uno, non uno, intendete bene? che non ne sia stato rovesciato, sia prima
sia dopo.
Tutti gli uomini che rammentano
dei trionfi, si ricordano anche delle catastrofi; la storia le indica con dei
nomi su' quali esse sono impresse, dal prigioniero d'Olmutz, ch'era stato La Fajette, sino al deportato
di S. Elena ch'era stato Napoleone! (Mormorio).
Osservate e riflettete. Chi ha
ripreso il trono di Francia nel 1814? L'esiliato di Hartwel. Chi ha regnato
dopo il 30? Il proscritto di Reichenau, ridoventato oggi l'esule di Clermont.
Chi governa in questo momento?... Il prigioniero di Ham. (Profonda
sensazione). E adesso fate delle leggi di proscrizione! (Bravo a
sinistra).
Ah! che tutto questo vi
ammaestri! che la lezione toccata agli uni non vada perduta per l'orgoglio
degli altri!
L'avvenire è un edificio
misterioso che inalziamo da noi stessi con le nostre proprie mani, nella
oscurità, e che più tardi deve servire a tutti noi come dimora. Spesso arriva
un giorno nel quale ci si trova rinchiusi in quello che noi abbiamo costruito.
Ah! poichè noi lo costruiamo
quest'oggi per abitarvi domani, poichè egli ci aspetta, poichè ci afferrerà
senza dubbio, componiamolo, quest'avvenire, con tutto quello che noi abbiamo di
migliore nell'anima, e non con quello che abbiamo di peggio con l'amore, e non
con la collera! Facciamolo pieno di luce e non tenebroso! facciamo un palazzo e
non una prigione.
Signori, la legge che vi si
propone è cattiva, barbara, iniqua. Voi la respingerete. Ho fede nella vostra,
saggezza e nella vostra umanità. Pensateci nel momento di votare. Quando gli
uomini introducono in una legge l'ingiustizia, Dio vi pone la giustizia; Egli
colpisce con quella stessa legge coloro che l'hanno fatta! (Impressione
vivissima e prolungata).
Un'ultima parola, o, per meglio
dire, un'ultima preghiera, un'ultima invocazione.
Ah! credete a me, io m'indirizzo
a voi tutti, uomini di tutti i partiti che sedete in quest'aula, e fra' quali
su questi banchi vi sono tanti cuori elevati e tante intelligenze generose,
credete a me; io vi parlo con profonda convinzione e con profondo dolore; non è
un impiegar bene il nostro tempo impiegandolo a fare simili leggi! (Benissimo.
È vero!)
Non è spender bene il nostro
tempo tendere, l'un contro l'altro, delle imboscate con una pena terribile e
oscura, e spalancare sotto ai piedi dei nostri avversari degli abissi colmi di
miseria e di sofferenze dove forse potremo cadere anche noi stessi! (Agitazione).
Ma quando finiremo, dunque, di
minacciarci e di strapazzarci a vicenda?., Noi abbiamo intanto altre cose da
fare! Noi abbiamo vicini a noi, i lavoratori che domandano lavoro, i fanciulli
che domandano delle scuole, i vecchi che domandano degli asili, il popolo che
domanda del pane, la Francia
che domanda della gloria!... (Bravo! a sinistra. — A destra si ride).
Noi abbiamo da fare una società
nova, uscita dai detriti della vecchia società, e per conto mio sono di coloro
i quali non vogliono sacrificare, nè la madre nè il fanciullo. Via! noi non lo
abbiamo il tempo di odiarci! (Impressione).
L'odio sperde la forza ed è la
peggior maniera di gettar via la robustezza, (Benissimo! Bravo!) Uniamo
invece tutti i nostri sforzi per un fine comune, il bene del paese. Anzichè
almanaccare penosamente per delle leggi d'odio e d'animosità, per delle leggi
che calunniano coloro che le fanno (impressione), cerchiamo insieme, e
cordialmente, la soluzione del problema della civilizzazione che ci sta di
fronte, e che contiene, secondo quello che noi sapremo fare, le catastrofi più
fatali, o il più magnifico avvenire! (Bravo! a sinistra).
Noi siamo una generazione
predestinata, rasentiamo una crisi decisiva, e abbiamo dei doveri molto più
grandi, molto più gravi di quelli dei nostri padri.
I nostri padri non avevano che
da servire il paese; noi abbiamo da salvarlo. No, noi non l'abbiamo il tempo
per odiarci! (Impressione ripetuta, vivissima. Hugo, più forte). Io voto
contro il progetto di legge!... (Acclamazione a sinistra. Si sospende la
seduta mentre tutta la sinistra in massa scende e viene a felicitare l'oratore
ai piedi della tribuna).
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