XVII.
Risposta all'on.
Montalembert
23 Maggio 1850.
Hugo: — Domando la parola
per un fatto personale. (Viva attenzione).
Il Presidente: — L'on. Victor Hugo ha la parola.
Hugo: — (alla tribuna;
profondo silenzio:)
Nelle circostanze gravi, simili
a quella che noi attraversiamo, le questioni personali non servono ad altro,
secondo me, che a far perdere del tempo alle assemblee, e se tre onorevoli
oratori, l'on. Giulio de Lasteyrie, un secondo di cui mi sfugge il nome, (risa
a sinistra; tutti gli occhi si posano sull'on. Bechard), e l'on.
Montalembert, non avessero tutti e tre, l'uno dopo l'altro, diretto contro di
me, a me, con una singolare persistenza, lo stesso strano rimprovero, io non
sarei certo montato a questa tribuna.
Io vi salgo dunque per dire una
parola sola. Io lascio da una parte gli attacchi appassionati che mi hanno
fatto sorridere. L'on. Cavaignac ha detto nobilmente ieri che egli sdegna certi
elogi anch'io sdegno certe ingiurie (sensazione) percui vado puramente e
semplicemente al fatto.
L'on. De Lasteyrie, ha detto, e
gli altri due onorevoli oratori lo hanno ripetuto dopo di lui, sotto altra
forma, che io ho glorificato più di un governo, e che, per conseguenza, le mie
opinioni sono mobili e che anche oggi sono in contradizione con me stesso.
Se i miei onorevoli avversari
intendono di alludere con questo ai versi realisti, ispirati del resto dal più
candido e piú puro sentimento, che io ho scritto nella mia adolescenza, anzi,
nella mia infanzia, poichè qualcuno fu fatto quando io avevo quindici anni, se
si è inteso di alludere a queste poesie tuttociò non è che una puerilità e io
non rispondo. (Impressione). Ma se invece è alle opinioni dell'uomo e
non a quelle del fanciullo che si è alluso (Benissimo a sinistra. — Risa a
destra), ecco qua la mia risposta. (Ascoltate! Ascoltate!)
Io abbandono all'esame di tutti,
di tutti i miei avversari, sia di questa assemblea, sia fuori, abbandono
dall'anno 1827, epoca nella quale io ebbi la età dell'uomo, abbandono tutto ciò
che ho scritto, versi o prosa; io abbandono tutto quello che ho detto a tutte
le tribune, non soltanto all'assemblea legislativa, ma all'assemblea
costituente, ma alle riunioni elettorali, ma alla tribuna dell'istituto, alla
tribuna della camera dei pari.
Io vi abbandono, da quell'epoca,
tutto quello che ho scritto ovunque lo abbia scritto, tutto quello che ho detto
ovunque o abbia detto, io vi abbandono tutto, senza tenermi nulla, senza
riserve, e sfido tutti, da questa tribuna, di trovare in tutto ciò in questi
ventitre anni dell'anima, della vita e della coscienza di un uomo, aperti,
spalancati davanti a voi, una pagina, una linea, una parola, che, su qualsiasi
questione di principii, mi metta in contraddizione con quello che io dico e con
quello che io sono oggi! (Bravo! Bravo! — Agitazione).
Esplorate, frugate, sfogliate,
cercate, io vi apro tutto; io vi abbandono tutto, mettete pure le mie antiche
opinioni a confronto con le nuove, io vi sfido. (Nuova agitazione).
Se questa sfida non è raccolta,
se voi retrocedete di fronte a questa sfida, io lo dico e lo dichiaro una volta
per tutte, risponderò a certa sorta di attacchi col più profondo sdegno, e li
additerò alla coscienza pubblica ch'è il giudice mio e vostro! (Acclamazione
a sinistra).
L'on. Montalembert ha detto, —
davvero, provo qualche pudore a ripetere tali parole, — egli ha detto che io ho
abbracciato tutte le cause e le ho rinnegate tutte. Io lo invito a venir qui
per dire quali sono le cause che ho abbracciato e quali quelle che ho
rinnegato.
È forse Carlo X del quale ho
ononorato l'esilio nel momento della sua caduta, nel 1830, e di cui ho onorato
la tomba, dopo la sua morte, nel 1836? (Sensazione).
Voci a destra: —
Antitesi!
Hugo: — È forse madama la Duchessa di Berry, della
quale ho diffamato il mercante e condannato l'acquirente?.... (Tutti gli
occhi si volgono verso l'on. Thiers).
Il Presidente: — (Volgendosi
alla sinistra:) Adesso, siete sodisfatti; fate silenzio. (Urli a
sinistra).
Hugo: — Signor
presidente, voi, questo, non lo avete detto ieri quando la destra applaudiva.
Il presidente: — Voi
trovate brutto quando si ride, ma trovate buono quando si applaudisce. L'una
cosa e l'altra sono contrarie al regolamento. (Gli applausi della sinistra
raddoppiano).
On. de la Moskowa: — Signor
presidente, ma ricordatelo almeno il principio della libera difesa...!
Hugo: — Continuo l'esame
delle cause che ho abbracciato e che poi ho rinnegato.
È forse la causa di Napoleone,
per la famiglia del quale ho domandato il ritorno sul suolo della patria, nel
seno dell'assemblea dei pari, contro gli amici attuali dell'on. Montalembert,
che non voglio nominare, e i quali, coperti da capo ai piedi dai benefici
dell'imperatore, alzavano la mano contro il nome dell'imperatore stesso?... (Tutti
gli sguardi cercano l'on di Montebello).
È forse, infine, la causa di madama
la duchessa d'Orleans, della quale io ho, uno degli ultimi giorni, forse
l'ultimo, sulla piazza della Bastiglia, il 24 febbraio, alle due del dopo mezzo
giorno, in presenza di trentamila uomini del popolo armati, proclamata la
reggenza perchè mi ricordavo del mio giuramento di pari di Francia? (Agitazione).
Signori; io sono di fatti un
uomo strano; nella mia vita non ho prestato che un giuramento e l'ho mantenuto!
(Benissimo! Benissimo!).
Vero è che, dal giorno che la
repubblica è stata proclamata io non ho congiurato contro la repubblica stessa;
è forse questo che mi si rimprovera? (Applausi a sinistra).
Signori, io dunque dirò all'on.
Montalembert:
— Ma dite dunque quali sono le
cause che ho rinnegato; per ciò che riguarda voi, non lo dirò quali sono le
cause che avete abbracciato e che avete rinnegato, perchè io non le adopro
troppo leggermente certe parole. Ma però indicherò quali sono le bandiere che
avete, tristamente per voi, abbandonate; ve ne sono due; la bandiera della
Polonia e la bandiera della libertà. (A sinistra: Benissimo! Benissimo!)
On. Giulio de Lasteyrie:
— La bandiera della Polonia noi l'abbiamo abbandonata il 15 maggio!
Hugo: — Un'ultima parola.
L'onorevole Montalembert mi ha rimproverato
ieri, amaramente, il delitto di assenza. Io gli rispondo: — Sì, quando io sarò
affranto dalla fatica dopo un'ora e mezzo di lotta contro gli onorevoli
interruttori ordinari della maggioranza (grida a destra), i quali
ricominciano, come voi udite! (Risa a sinistra),
Quando io avrò finito la voce,
quando non potrò più pronunziare una parola, e voi sentite che è un miracolo se
quest'oggi io trovo la forza necessaria a farmi sentire (la voce
dell'oratore è, di fatti, fiochissima); quando io giudicherò che la mia
presenza muta non è utile all'assemblea; sopratutto quando non si tratterà che
di lotte personali, quando non si tratterà che di voi e di me, sì, sì, signor
Montalembert, io potrò lasciarvi la sodisfazione di crivellarmi a piacere, me
assente, e durante questo tempo mi riposerò. (Lungo scoppio di risa a
sinistra ed applausi) Sì, allora io posso non esser presente! Ma attaccate,
con la vostra politica, voi e il partito clericale, (viva attenzione)
attaccate le nazionalità oppresse, l'Ungheria suppliziata, l'Italia garrottata,
Roma crocifissa, (profonda sensazione); attaccate il genio della umanità
con la vostra legge sull'insegnamento; attaccate il progresso umano con la
vostra legge sulla deportazione; attaccate il suffragio universale con la vostra
legge di mutilazione; attaccate la sovranità del popolo, attaccate la
democrazia, attaccate la libertà, e vedrete, quel giorno, se io sarò assente!
(Esplosione. — Tutti i
deputati della sinistra circondano la tribuna e accolgono l'oratore fra una salva
lunghissima di applausi. Gli uscieri gridano. La seduta è sospesa).
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