XX.
I funerali di
Balzac
20 Agosto 1850.
Signori,
L'uomo che è disceso in questa
tomba era uno di quelli ai quali il dolore pubblico fa corteo. Al giorni nostri
tutte le finzioni sono sparite. Gli sguardi si fissano ormai non sulle teste
che regnano, ma sulle teste che pensano, ed il paese intiero trasalisce quando
una di queste teste sparisce. Oggi, è lutto popolare la morte dell'uomo
d'ingegno: è lutto nazionale la morte dell'uomo di genio.
Signori, il nome di Balzac
resterà unito alla striscia luminosa che l'epoca nostra lascierà nell'avvenire.
Balzac faceva parte di quella
vigorosa generazione di scrittori del decimonono secolo che è venuta dopo
Napoleone, come venne dopo Richelieu, l'illustre pleiade di scrittori del
secolo una legge che fa succedere ai dominatori della spada i dominatori della
mente.
Balzac era uno dei primi fra i
più grandi, uno dei più alti fra i migliori. Non è questo il luogo per dire
tutto ciò che era quella splendida e sovrana intelligenza. Tutti i suoi libri
non formano che un libro, libro vitale, luminoso, profondo, nel quale si vede
andare e venire, e camminare, e muoversi come qualchecosa di spaventoso e di
terribile, pieno poi di verità, tutta la nostra civiltà contemporanea; libro
meraviglioso che il poeta ha chiamato commedia e che avrebbe potuto intitolare
storia, che prende tutte le forme ed ogni stile, che oltrepassa Tacito e va
fino a Svetonio, che lascia indietro Beaumarchais e raggiunge Rabelais; libro
che è l'osservazione e che è l'immaginazione; che ci dice il vero, l'intimo, il
borghese, la trivialità, la materialità, e che, di tratto in tratto, attraverso
le realtà bruscamente e largamente rivelate, lascia intravedere il più profondo
ed il più tragico ideale.
Senza saperlo, ch'egli lo voglia
e no, consenziente o no, l'autore di questa opera immensa e strana appartiene
alla forte razza degli scrittori rivoluzionarii. Balzac va dritto alla meta.
Egli attacca di fronte la
società moderna. Egli strappa a tutti qualche cosa, agli uni l'illusione, agli
altri la speranza, a questo un grido a quello una maschera. Scruta il vizio,
notomizza la passione. Approfondisce, scandaglia l'uomo, l'anima, il cuore, le
viscere, il cervello, quell'abisso che ognuno ha in sè. E, per un dono della
sua libera e vigorosa natura, per un privilegio delle intelligenze del nostro
tempo, le quali, avendo visto da vicino le rivoluzioni, intravedono meglio il
fine dell'umanità e meglio comprendono la provvidenza, Balzac si toglie
sorridente e sereno da questi studi gravosi che generavano la malinconia in
Molière e la misantropia in Rousseau.
Ecco ciò che egli ha fatto fra
noi. Ecco l'opera che egli ci lascia, opera alta e solida, robusto ammasso di
blocchi di granito, monumento! opera dall'alto della quale rispenderà ormai il
suo nome. I grandi uomini fanno il proprio piedistallo: l'avvenire pensa alla
statua.
La sua morte ha colpito di
stupefazione Parigi. Era tornato in Francia da qualche mese.
Sentendo di morire, aveva voluto
rivedere la patria, come alla vigilia d'un gran viaggio si dà un bacio alla
madre.
La sua vita fu corta, ma
feconda, più piena di opere che di giorni.
Ahimè! Questo lavoratore
possente e mai stanco, questo filosofo, questo pensatore, questo poeta, questo
genio, ha vissuto fra noi quella vita di burrasche, di lotte, di affanni, di
battaglie, che fu la vita comune in tutti i tempi di tutti gli uomini grandi.
Oggi, eccolo in pace. Egli esce dalle controversie e dagli odii. Egli entra,
nel giorno istesso, nella gloria e nella tomba. Egli brillerà ormai, al disopra
di tutte le fosche nubi che sono sulle nostre teste, fra le stelle luminose
della patria!
Voi tutti, che qui siete, non vi
sentite d'invidiarlo?
Signori, qualunque sia il nostro
dolore di fronte ad una tal perdita rassegnamoci a questi dolori. Accettiamoli
in ciò che hanno di penoso e di severo. È bene, è necessario forse, che in
un'epoca come la nostra, di tanto in tanto la morte di un grande dia agli
spiriti rosi dal dubbio e dallo scetticismo una specie di sentimento religioso.
La provvidenza sa ciò che essa fa quando mette il popolo in faccia al supremo
mistero, e lo fa meditare sulla morte, che è la grande eguaglianza ed anche la
grande libertà.
La provvidenza sa ciò che essa
fa, perchè è quello il più grande degli ammaestramenti. Non vi possono essere
che dei pensieri alti e profondi in tutti i cuori, quando un sublime spirito
passa, maestoso, all'altra vita, quando uno di quegli esseri che si sono
librati lungo tempo al disopra della folla colle ali visibili del genio, spiega
ad un tratto quelle altre ali che non si vedono e sparisce nell'ignoto.
No! non è l'ignoto! No, l'ho già
detto in un altra occasione dolorosa, e non mi stancherò di ripeterlo; no, non
è la notte, è la luce! Non è la fine, è il principio! Non è il nulla è
l'eternità!... E non è forse vero, dite, voi che mi ascoltate? Questi feretri
dimostrano l'immortalità; in presenza di certi morti illustri s'intravede più
distintamente il destino di questa intelligenza che passa sulla terra per
soffrire e parificarsi e che si chiama l'uomo; e si pensa che è impossibile che
coloro i quali furono dei genii in vita, non sieno delle anime dopo la morte!
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