XXI
La revisione della
Costituzione16
17 Luglio 1851
Victor Hugo, (profondo silenzio).
Signori, avanti d'accettare questa
discussione mi è impossibile non rinnovare le riserve fatte già dagli altri
oratori. Nell'attuale situazione, vigente ancora la legge del 3 maggio, più di
quattro milioni d'elettori erano cancellati dalle liste — resultato che io non
voglio qualificare da questa tribuna perchè tutto ciò che io direi sarebbe poco
per me, troppo per voi, ma che finirà, noi lo speriamo, col rendere inquieta,
coll'illuminare la vostra mente, — il suffragio universale, che vive ancora in
diritto, essendo soppresso di fatto, noi non possiamo che dire agli autori
delle diverse proposte che cuoprono in questo momento la tribuna:
Che cosa volete voi da noi?
Qual'è la questione?
Che cosa chiedete?
La revisione della costituzione?
Da chi?
Dal sovrano!
Dov'è?
Noi non lo vediamo — Che cosa se
ne è fatto? — (Movimenti).
Come! una costituzione è stata
fatta per mezzo del suffragio universale e voi volete demolirla per mezzo del
suffragio limitato!
Come! ciò che è stato fatto
dalla nazione sovrana, voi volete farlo rovesciare da un'azione privilegiata?
Come! questa finzione d'un paese
legale, temerariamente posto a faccia della maestosa realtà del popolo sovrano,
questa finzione che non regge, questa finzione fatale, voi volete ristabilirla,
volete restaurarla, volete di nuovo confidarvi a lei!
Un paese falsamente legale prima
del 1848 era imprudente. Dopo il 1848 è insensato (Sensazione).
Ed ora, una parola.
Quale può essere nella
situazione presente, finchè la legge del 31 maggio non sarà abrogata, puramente
e semplicemente abrogata, intendetemi bene, come pure tutte le altre leggi
della stessa natura che l'accompagnano e la sostengono, legge sul commercio
ambulante, legge contro il diritto di riunione, legge contro la libertà di
stampa — quale può essere l'esito delle vostre proposte?
Che cosa ne aspettate?
Che cosa ne sperate?
Come! è colla certezza di
naufragare dinanzi all'immutabile numero della minoranza, guardiana
inflessibile della sovranità popolare, della minoranza, ormai
costituzionalmente sovrana ed investita di tutti i diritti della maggioranza,
della minoranza, per meglio dire, divenuta essa stessa la maggioranza! come! è
senza alcun fine realizzabile dinanzi agli occhi, perchè nessuno suppone la
violazione dell'articolo 111, nessuno suppone il delitto.... (movimenti
diversi) come! è senza nessun possibile resultato parlamentare che voi, che
vi chiamate uomini pratici, uomini positivi uomini serii, che fate contro la
vostra modestia la violenza di decretare a voi stessi e solamente a voi il
titolo di uomini di stato; è senza alcun possibile resultato parlamentare, lo
ripeto, che voi vi ostinate in una questione così burrascosa e minacciosa! E
perchè? Per scatenare le burrasche delle questione! (bravo! bravo!) Per
agitare le Francia, per sommuovere le masse, per risvegliare le collere, per
paralizzare gli affari, per moltiplicare i fallimenti, per uccidere il
commercio e l'industria! per piacere! (Sensazione profonda).
Benissimo! Il partito
dell'ordine sente il capriccio da produrre del disordine e si cava questo
capriccio. Egli è il governo, ha la maggioranza nell'assemblea, gli piace di
turbare il paese, vuol questionare, vuol discutere, e ne è padrone!
Sia! Noi protestiamo; tempo
perso, tempo prezioso, e la pace pubblica è intanto gravemente turbata. Ma
poichè ciò vi piace, poichè lo volete, che la colpa ricada su chi si ostina a
commetterla. Sia! discutiamo.
Entro immediatamente nella
questione. (Rumori a destra — Voci: Chiusura! L'on. Molé, seduto in fondo
alla sala, si alza, traversa tutto l'emiciclo, fa un segno verso i banchi di
destra ed esce. Nessuno lo segue. Rientra — Risate a sinistra. L'oratore
continua).
Signori, comincio dal
dichiarare, qualunque sieno le proteste dell'on. De Falloux, le proteste dell'on. De Berryer, le
proteste dell'on. De Broglie, qualunque sieno queste proteste tardive,
che non possono bastare per cancellare tutto ciò che è stato detto, scritto e
fatto da due anni a questa parte — io dichiaro che ai miei occhi, e, lo dico
senza tema di smentita, agli occhi della maggior parte dei membri che seggono
da quella parte (l'oratore accenna alla sinistra), il vostro attacco
contro la repubblica francese è un attacco contro la rivoluzione francese!
Contro tutta la rivoluzione
francese, intendetemi bene; dalla prima ora che suonò nel 1789 fino all'ora in
cui siamo (A sinistra: sì, sì, è vero!)
Noi non facciamo distinzioni. A
meno che non vi sia logica nel mondo, la rivoluzione e la repubblica sono
indivisibili. Una di esse è la madre, l'altra la figlia. Una di esse è il moto
umano che si manifesta, l'altra è il movimento umano che si afferma. La
repubblica è la rivoluzione presa come base. (Vivi applausi).
Voi, voi vi dibattete invano
contro queste realtà: non si divide l'aurora dal sole. (Interruzioni a
destra. Applausi a sinistra).
Noi dunque non accettiamo le
vostre proteste. Il vostro attacco contro la repubblica, noi lo riteniamo un
attacco contro la rivoluzione, ed è così, per conto mio, che intendo
qualificare tale attacco di fronte al paese! No! non ci lasciamo ingannare! Io
non so se, come si è affermato, vi sono delle maschere in quest'aula, ma
affermo che non vi saranno dei turlupinati. (Rumori a destra).
Ciò detto, vengo alla questione.
Signori, ammettendo che le cose,
dal 1848 in
qua, avessero seguito il loro corso naturale e regolare, nel senso vero e
pacifico della democrazia sviluppantesi di giorno in giorno e del progresso,
dopo tre anni di prova leale della costituzione avrei capito si dicesse:
— La costituzione è incompleta. Essa
fa timidamente ciò che doveva farsi risolutamente. Essa è piena di restrizioni
e di definizioni oscure. Essa non ha fatto fare progresso, in materia penale,
che alla penalità politica, essa non ha abolito che a mezzo la pena di morte.
Essa contiene in germe i soprusi del potere esecutivo, la censura per certe
opere dello spirito, la polizia che limita il pensiero ed annoia il cittadino.
Essa non dà apertamente libertà individuale. Essa non dispone nettamente della
libertà industriale. (A sinistra: è così — mormorio a destra).
Essa ha mantenuto la
magistratura inamovibile e nominata dal potere esecutivo, vale a dire la
giustizia senza radici nel popolo. (Rumori a destra).
Che cosa significano questi
rumori? Come! voi discutete la repubblica e noi non potremmo discutere la
magistratura! Voi discutete il popolo, voi discutete il sovrano, e noi non
potremo discutere il giudice!
Presidente — Faccio
osservare che ciò che è permesso questa settimana non lo sarà la settimana
ventura; ormai è la settimana della tolleranza. (Risa d'approvazione a
destra).
On. De Panat. — E la
settimana dei saturnali.
Victor Hugo: — Signor
Presidente, ciò che voi avete detto non è serio. (A sinistra: Benissimo!)
Riprendo ed insisto.
Avrei dunque capito che si
dicesse: La costituzione ha dei difetti e delle lacune; essa mantiene la
magistratura inamovibile e nominata dal potere esecutivo, vale a dire, lo
ripeto, la giustizia senza radici nel popolo. Ora, è principio che ogni
giustizia emana dal sovrano.
In monarchia la giustizia emana
dal re; in repubblica, la giustizia deve emanare dal popolo. (Sensazione)
In qual modo? Col suffragio
universale, scegliendo liberamente i magistrati fra i laureati in legge. Ed
aggiungo che in repubblica è tanto impossibile ammettere il giudice inamovibile
quanto ammettere il magistrato. (Movimento prolungato).
Avrei capito che si dicesse: La
costituzione si è limitata ad affermare la democrazia; ora bisogna fondarla. È
necessario che la repubblica sia sicura nella costituzione, come in una fortezza,
è necessario che il suffragio universale abbia delle estensioni e delle
applicazioni nuove. Così; per esempio la costituzione crea l'onnipotenza di
un'unica assemblea, vale a dire d'una maggioranza, e noi ne vediamo oggi,
l'inconveniente tenuto, senza dare, per contrappeso a questa onnipotenza, la
facoltà alla minoranza di rivolgersi, in certi casi gravi e secondo forme
facili ad essa regolate preventivamente, ad una forma d'arbitrato che decidesse
fra lui e la minoranza, e ciò che al suffragio universale direttamente
invocato, direttamente consultato; forma d'appello al popolo molto meno
violenta e molto piú perfetta che l'antico metodo monarchico che consisteva
nello sciogliere il parlamento.
Io avrei capito che si
dicesse... (Interruzioni e rumori a destra).
Signori, e impossibile che io
non faccia un'osservazione che sottopongo alla coscienza di voi tutti. La
vostra attitudine calma e dignitosa di questa parte all'assemblea. (Accennando
a sinistra) (Urli sui settori della maggioranza. Eh via! Eh via!
Chiusura! chiusura! Il silenzio sì ristabilisce. L'oratore continua:)
Io avrei capito che si dicesse;
è necessario proclamare più completamente e sviluppare più logicamente che non
lo faccia la costituzione, oltre ai quattro diritti essenziali del popolo:
Diritto alla vita materiale, vale a dire, nell'ordine economico, il lavoro
assicurato...
On. Greslau: — Ma è il
diritto al lavoro!
Victor Hugo: — ......
l'organizzazione dell'assistenza, e nell'ordine penale, l'abolizione della pena
di morte; oltre a questo.
Il diritto alla vita
intellettuale e morale, vale a dire l'istruzione gratuita, la libertà di
coscienza, la libertà di stampa, la libertà di parola, la libertà dell'arte e
della scienza. (Bravo!).
Il diritto alla libertà, vale a
dire l'abolizione di tutto ciò che arresta, che ostacola l'evoluzione e lo
sviluppo intellettuale, morale, fisico e industriale dell'uomo.
Finalmente il diritto alla
sovranità, vale a dire il suffragio universale in tutta la sua larghezza, la
legge fatta e le imposte votate da dei legislatori eletti e temporanei, la
giustizia resa da dei giudici eletti e temporanei.... (Esclamazioni a
destra: a sinistra: Ascoltate! ascoltate! Molti deputati a destra: Parlate!
Parlate!)
Victor Hugo: —.... il comune
amministrato da dei magistrati eletti e temporanei; la giuria progressivamente
estesa, allargata, e sviluppata, il voto diretto di tutto il popolo, per si
o no in certe grandi questioni politiche o sociali, e ciò dopo una
precedente ed accurata discussione di ogni questione nel seno dell'assemblea
nazionale, sostenendo alternativamente, colla voce della maggioranza o con
quella della minoranza, il si o no dinanzi al popolo, giudice
sovrano. (Rumori a destra. Lunga e viva acclamazione e sinistra).
Signori supponendo che la
nazione ed il governo fossero l'uno di fronte all'altra nelle condizioni
corrette e normali alle quali accennavo poco fa, io avrei inteso che si dicesse
tutto questo e si aggiungesse:
La costituzione della repubblica
francese dev'essere il codice del processo umano nel secolo decimonono, il
testamento immortale della civiltà, la bibbia politica dei popoli. Essa deve
avvicinarsi, per quanto è possibile, all'assoluta verità sociale. Bisogna
dunque rivedere la costituzione.
Sì: io avrei capito tutto
questo.
Ma che in pieno secolo
decimonono, ma che in faccia alle nazioni civili, ma che in presenza
all'immenso sguardo del genere umano, sguardo fisso da ogni parte sulla
Francia, poichè è la Francia
che porta la face luminosa, si venga a dire: Questa face portata dalla Francia
e che rischiara il mondo, noi la spengeremo!... (proteste a destra).
Che si venga a dire: Il primo
popolo del mondo ha fatto tre rivoluzioni come gli dei d'Omero facevano tre
pasti. — Queste tre rivoluzioni ne formano una sola, e non è una rivoluzione locale,
è la rivoluzione umana; non è il grido egoista di un popolo è la rivendicazione
della santa eguaglianza universale, è la liquidazione di tutti i soprusi dal
giorno che l'umanità esiste, (Vive approvazioni a sinistra. Risa a destra),
è, dopo i secoli della schiavitù, della servitù, della teocrazia, del
feudalesimo, dell'inquisizione, del dispotismo sotto tutti i nomi, del
supplizio umano sotto tutte le forme, la proclamazione augusta dei diritti
dell'uomo! (Applausi vivissimi).
Dopo lunghe lotte, quella
rivoluzione ha creato in Francia la repubblica; in altri termini, il popolo
francese, coscente della propria forza e di sè stesso, ed in tutto il maestoso
esercizio della propria potenza, ha saputo togliere dalla regione dell'astratto
e rendere un fatto, costituire, istituire, e definitivamente od assolutamente
stabilire la forma di governo più logica e perfetta, la repubblica, che è per
il popolo una specie di diritto naturale, come la libertà lo è per l'uomo. (Mormorii
a destra. Approvazione a sinistra).
Il popolo francese ha tagliato
in un granito indistruttibile e posto nel centro stesso di questo vecchio
continente monarchico la prima pietra di quell'imane edificio dell'avvenire che
si chiamerà un giorno «gli Stati Uniti d'Europa! (Molti dicersi. Lungo
scoppio di risa e destra).17
Questa rivoluzione inaudita
nella storia, è l'ideale dei grandi filosofi realizzato da un gran popolo, è
l'educazione delle nazioni dietro l'esempio della Francia. La sua meta, il suo fine
sacrosanto, è il bene universale, una specie di redenzione dell'umanità. È
l'era intravista da Socrate, e per la quale egli bevve la cicuta; è l'opera di
Gesù Cristo e per la quale egli fu messo in croce! (Vive proteste a destra —
Grida all'ordine! — Ripetuti applausi a sinistra — Agitazione profonda e
prolungata).
On. De Fontaine (ed
altri): È una bestemmia!
On. De Heeckeren:18
— Si dovrebbe avere il diritto di fischiare certe cose e invece le si
applaudiscono!
Victor Hugo: — Signori,
bisogna dire ciò che io ho detto, o almeno bisogna vederlo, — poichè è
impossibile di non vedere che la rivoluzione francese, la repubblica francese,
Bonaparte lo ha detto, è il sole! — che lo si veda adunque e si
aggiunga: Ebbene, noi distruggeremo tutto ciò, noi sopprimeremo questa
rivoluzione, noi abbatteremo questa repubblica, noi strapperemo dalle mani del
popolo il libro del progresso e ne cancelleremo tre date: 1792, 1830, 1848; noi
sbarreremo il passo a questa pazza furiosa che fa tutto senza chiederci consiglio,
e che si chiama la provvidenza. Noi faremo indietreggiare la libertà, la
filosofia, l'intelligenza, le generazioni; noi faremo indietreggiare la Francia, il secolo,
l'umanità che marciano in avanti; noi faremo indietreggiare Iddio! (profonda
sensazione). Signori che si dica questo, che si sogni questo, che si
immagini tutto ciò, ecco quel che io ammiro fino alla stupefazione, ecco quel
che io non capisco! (A sinistra: Benissimo! Benissimo! — risa a destra).
E chi siete voi per far tali
sogni? Chi siete voi per tentar tali intraprese? Chi siete voi per dar tali
battaglie? Come vi chiamate? Chi siete insomma?
Io ve lo dirò. —
Voi vi chiamate la monarchia, e
siete il passato.
La monarchia?
Ma quale monarchia? (Risa e
rumori a destra).
On. E. De Girardin: — Ma
ascoltate dunque signori! noi vi abbiamo ascoltato ieri.
Victor Hugo. — Ed eccomi
alla viva, ardente realtà della questione.
Questa discussione, non siamo
noi che l'avremmo voluta, siete voi. E voi dovete, nella vostra lealtà, volerla
intera, completa e sincera. La questione monarchia o repubblica è posta.
Nessuno ha più il potere, nessuno ha più il diritto di scansarla, di eluderla.
Da più di due anni, questa questione sordamente o audacemente discussa, stanca
la repubblica; essa pesa sul presente, rende oscuro l'avvenire. Il momento è
venuto di liberarcene. Si, il momento è venuto di guardarla in faccia, il
momento è venuto di vedere ciò che essa contiene. Carte in tavola! E diciamo
tutto! (Ascoltate! Ascoltate! — Profondo silenzio).
Due monarchie si trovano in
faccia l'una dell'altra. Io lascio da parte tutto ciò che agli occhi stessi di
coloro che lo propongono e lo sottintendono, non sarebbe che tradizione o
espediente. La fusione ha semplificato la questione. Due monarchie sono in
faccia. — Due monarchie solamente si credono in diritto di chiedere la
revisione a loro beneficio, e di fare sparire a loro beneficio la sovranità del
popolo.
Queste due monarchie sono: la
monarchia di principio, vale a dire la legittimità; e la monarchia di gloria,
come dicono certi giornali privilegiati (risa e mormorio) vale adire
l'impero. Cominciamo dalla monarchia di principio. All'anzianità il primo
posto.
Signori, avanti che prosegua, lo
dico una volta per sempre, quando io pronunzio questa parola monarchia in questa
discussione, io metto da parte e fuori di discussione ogni personalità, i
principi, gli esiliati, per i quali non ho in fondo che quella simpatia che si
deve a dei francesi ed a il rispetto che si deve a dei proscritti; simpatia e
rispetto che sarebbero ancora più profondi, lo dichiaro, se questi esiliati non
fossero anco un po' proscritti dai loro amici. (Benissimo! benissimo!)
Riprendo dunque a dire: in
questa discussione è unicamente del principio della monarchia, del dogma
monarchico che io parlo: ed una volta messe in disparte le persone, non
trovando più in faccia a me altro che il dogma monarchico, io intendo
qualificarlo; io legislatore, con tutta la libertà della filosofia, con tutta
la severità della storia.
E prima di tutto, intendiamoci
bene su queste parole, dogma e principio. Io nego che la monarchia possa essere
un principio o un dogma. La monarchia non è mai stata altro che un fatto. (Rumori
su molti banchi).
Sì, io lo ripeto, a dispetto di
ogni protesta, il possesso di un popolo per parte di un uomo o di una famiglia
non è stato altra cosa che un fatto. (Nuovi rumori).
Mai — e, poichè le proteste
continuano, io insisto — mai questo così detto dogma, in virtù del quale — e
non è storia del medioevo che vi cito, è la storia quasi contemporanea, storia
che non data da un secolo — mai questo così detto dogma in virtù del quale, non
ancora ottanta anni fa, un elettore dell'Hesse vendeva degli uomini a un tanto
a testa al re d'Inghilterra per farli ammazzare nella guerra d'America (proteste
violente), le lettere esistono; le prove esistono, vi saranno mostrate
quando vorrete... (Il silenzio si ristabilisce) mai, io, dico, questo
preteso dogma ha potuto essere altro che un fatto, quasi sempre violento,
spesso mostruoso. (A sinistra: è vero! è vero!)
Io lo dichiaro dunque e lo
affermo in nome dell'eterna moralità umana, la monarchia è un fatto e nulla
piú. Quando il fatto sparisce, niente ne rimane, e tutto è detto. Ma altrimenti
avviene del diritto. Il diritto, anche quando non si appoggia più sul fatto
anche quando non ha più autorità materiale, conserva sempre l'autorità morale e
resta sempre il diritto.
Ed è per questo che di una
repubblica soffocata resta un diritto, mentre di una monarchia caduta non resta
che una rovina (Applausi).
Cessate dunque, voi,
legittimisti, di scongiurarci in nome del diritto. Di fronte al diritto del
popolo, che è la sovranità, non vi è altro diritto che quello dell'uomo, che è
la libertà. (Benissimo!) Oltre questo non vi è più che una falsa
chimera. Dire il diritto del re, nel gran secolo nel quale siamo, e da
questa tribuna dalla quale noi parliamo, è pronunziare parole vuote di senso.
Ma, se voi non potete parlare in
nome del diritto, parlerete in nome del fatto? Invocherete l'utilità? Ciò è
molto meno superbo, è lasciare il tono del padrone per quello del servitore: è
rimpiccolirsi e molto.
Ma sia pure! Vediamo. Direte voi
che la stabilità politica nasce dall'eredità monarchica? Direte voi che la
democrazia è cattiva per uno stato e la monarchia è buona? Andiamo, io non mi
metterò qui a sfogliare la storia, la tribuna non è una cattedra universitaria,
— io rimango nei fatti vivi, attuali, presenti alla memoria di tutti. Parlate!
Quali sono le vostre accuse contro la repubblica del 1848? Le sommosse? Ma la
monarchia aveva le sue. Lo stato delle finanze? Dio mio! io non esamino, non ne
è il momento, se da tre anni le finanze della repubblica sono state
democraticamente bene amministrate....
A destra: — No!
fortunatamente per loro!
Victor Hugo: — .... Ma la
monarchia costituzionale costava troppo cara; i grassi bilanci è la monarchia
costituzionale che li ha inventati. E dirò di più, poichè bisogna dir tutto, la
monarchia di principio, la monarchia legittima, che si crede o si pretende sia
nomina di stabilità, di sicurezza, di prosperità, di proprietà, la vecchia
monarchia storica di quattordici secoli, signori, faceva, spesso e volentieri,
fallimento! (Risa ed applausi).
Sotto Luigi XIV, vi cito l'epoca
bella, il secolo grande, il gran regno, si vede di tanto in tanto, come dice
Boileau, il possidente impallidire all'apparire d'un decreto che diminuisce
un quarto di rendita.
Ma, qualsiasi eufemismo di
scrittore satirico che adula un re non fa sì che un decreto che diminuisce un
quarto di rendita ai possidenti, non sia il fallimento. (A sinistra:
benissimo! — Rumori a destra. — E gli assegnati?)
Sotto il seggente, la monarchia
intasca, non è la parola nobile, è la parola vera, (si ride), intasca
trecentocinquanta milioni per la falsificazione della moneta; era il tempo nel
quale s'impiccava una donna di servizio per il furto di cinque soldi. Sotto
Luigi XV, nove fallimenti in sessant'anni.
Una voce a destra. — E le
pensioni ai poeti!... (Victor Hugo smette di parlare.)
A sinistra. — Disprezzate
queste parole! Sdegnate di rispondere!
Victor Hugo. — Io
risponderò all'onorevole interruttore che, ingannato da certi giornali, ha
fatto allusione a una pensione che mi è stato offerta dal re Carlo X, e che ho
rifiutata.
On. De Falloux.— Chiedo scusa,
l'avevate sulla cassetta privata del re. (Rumori a sinistra).
On. Bac. — Disprezzate
quelle ingiurie!
On. De Falloux. —
Permettetemi di dire una parola.
Victor Hugo. — Volete che
vi racconti il fatto? Esso mi onora e lo racconto volentieri.
On. De Falloux. — Chiedo
scusa... (A sinistra: sono personalità! — Si cerca lo scandalo! — Lasciate
parlare! — Non interrompete! — All'ordine! all'ordine!)
On. De Falloux. —
L'Assemblea ha potuto constatare, che io, fin dal principio della seduta, ho
mantenuto il più profondo silenzio, ed ho anche, di tanto in tanto, invitato a
mantenerlo come me, i miei amici. Chiedo soltanto il permesso di rettificare un
fatto materiale.
Victor Hugo. — Parlate!
On. De Falloux. —
L'onorevole Victor Hugo ha detto: «Io non ho mai riscosso pensioni dalla
monarchia....»
Victor Hugo. — No, io non
ho mai detto ciò! (proteste a destra, unite ad applausi e risa ironiche).
Molti deputati di sinistra.
(a Victor Hugo). Non rispondete!
On. Sonbies. (di
destra) — Aspettate almeno gli schiarimenti; i vostri applausi sono
vergognosi!
On. Fricon all'on. De
Falloux. — Antico ministro della repubblica, voi la tradite.
On. Lamarque. — Veleno
gesuitico!
Victor Hugo — rivolgendosi
all'on. De Falloux in mezzo al rumore. — Prego l'on. De Falloux che ottenga
dai suoi amici il permesso di potergli rispondere.
On. De Falloux. — Fo ciò
che posso.
All'estrema sinistra. —
Fate far dunque silenzio a destra, signor presidente.
Presidente. — Si fa del
chiasso da ambe le parti. (All'oratore). Voi volete sempre trarre
partito, in vostro vantaggio, dalle interruzioni; le biasimo, ma debbo
constatare che c'è tanto rumore a sinistra quanto a destra. (Proteste
violentissime a sinistra. I deputati seduti sui banchi inferiori di sinistra si
sforzano di ottenere il silenzio).
Un deputato di sinistra,
(al presidente). Voi non avete orecchie che per questa parte!
Presidente. —
S'interrompe da tutte le partii (No! no! — Sì! sì!) Io vedo e constato
.. (Nuove grida e proteste dai banchi di sinistra).
Io constato che da cinque minuti
gli onorevoli Schoelcher e Grevy reclamano il silenzio. (Esclamazioni e
proteste a sinistra — L'on. Schoelcher pronunzia qualche parola che il baccano
impedisce di sentire).
Io constato che voi stessi
reclamate il silenzio da qualche minuto, onorevoli Schoelcher e Grevy e vi
rendo giustizia di ciò.
On, Schoelcher. — Noi lo
reclamiamo perchè ci siamo promessi di tutto ascoltare.
Un deputato dell'estrema
sinistra: Il Monitore risponderà al signor presidente.
Presidente. — Si può
negare un fatto che succede in un ufficio, in uno studio privato, ma non si può
negare un fatto che succede in piena assemblea. (Vive apostrofi da sinistra
all'indirizzo del presidente). Avete fretta di riprendere i vostri metodi
preferiti. (Esclamazioni a sinistra).
Un deputato di sinistra.
— E a voi non par vero di riprendere i vostri...
Altri deputati. — Sono
provocazioni!
Presidente. — Chiedo si
faccia silenzio dall'una e dall'altra parte.
On. Arnaud (dell'Ariége)
— Sono personalità.
On. Savatier Laroche. — Sono
delle provocazioni che si cerca di rendere ingiuriose.
Presidente. — Ma volete
dunque far silenzio ed ascoltare l'oratore? (Il silenzio si ristabilisce).
Victor Hugo. — Io
ringrazio l'on. De Falloux. Non cercavo l'occasione di parlare di me stesso. Me
la fornisce un fatto che mi onora. (Volgendosi alla destra). Ascoltate
ciò che ho da dirvi. Voi avete riso per i primi; voi siete leali, io credo, ed
io vi dico che non riderete per gli ultimi, (Sensazione).
Un deputato dell'estrema
destra. — Sì!
Victor Hugo (all'interruttore).
— In questo caso voi non sarete leale. (bravo! a sinistra. Un profondo
silenzio si ristabilisce).
Avevo diciannove anni...
Un deputato di destra. —
Ah! Ero così giovane! (Lungo mormorio a sinistra — Grida; è un'indecenza!)
Victor Hugo, (volgendosi
all'interruttore). — L'uomo capace di una così inqualificabile
interruzione, deve avere il coraggio di nominarsi. (applausi a sinistra.
Silenzio a destra. Nessun si alza e si nomina). Egli tace. Io lo constato.
(Gli applausi a sinistra
raddoppiano. Silenzio e costernazione a destra).
Victor Hugo — Avevo
diciannove anni; pubblicai un volume di versi, Luigi XVIII che era un re
letterato, voi lo sapete, lo lesse e m'inviò una pensione di duemila franchi.
Questo atto fu spontaneo da parte del re: lo dico in suo ed in mio onore;
ricevetti questa pensione senza averla chiesta. La lettera che voi avete fra le
mani, on: De Falloux, lo prova. (L'on. De Falloux fa un segno
d'assenso.Movimento a destra).
On. De Larochejaquelein. — Benissimo, on. Victor Hugo!
Victor Hugo. — Più tardi,
qualche hanno dopo, regnava Carlo X, scrissi un lavoro per il teatro, Marion
De Lorme; la censura interdisse il lavoro, andai a trovare il re e lo
pregai di lasciarlo rappresentare; egli mi ricevè affettuosamente ma si ricusò
di togliere l'interdizione. Il giorno dopo, tornato a casa, ricevetti da parte
del re, l'avviso che, per indennizzarmi di quella interdizione, la mia pensione
era portata da duemila a seimila franchi. Rifiutai. (Lungo Movimento):
Scrissi al ministro che io non volevo altro che la mia libertà di poeta e la
mia indipendenza di scrittore. (Applausi prolungati a sinistra — Sensazione
profonda anche a destra).
È quella la lettera che voi, on.
De Falloux, avete fra le mani. (Bravo! bravo!). Io dico in quella
lettera che non avrei mai offeso il re Carlo X. Ed ho mantenuto la parola, voi
lo sapete. (Profonda sensazione).
On. De Larochejaquelein.
— È vero! ed in mirabili versi.
Victor Ugo — Voi vedete,
o signori, (volgendosi a destra) — che voi non ridete più, e che io
avevo ragione di ringraziare l'onorevole Falloux. (Si! si! — Lungo
movimento. Un deputato ride in fondo alla sala).
A sinistra Eh via! E'
un'indecenza.
Parecchi deputati di destra.
(A Victor Hugo). Avete fatto bene.
On. Soubies. — Colui che
ha riso avrebbe accettato ogni cosa.
Victor Hugo. — Io dicevo
dunque che la monarchia faceva qualche volta bancarotta. Io ricordavo che sotto
la reggenza, la monarchia aveva intascato trecentocinquanta milioni, alterando
la moneta. Continuo. Sotto Luigi XV nove bancherotte.
Volete che vi rammenti quelle
che mi tornino in mente? Le due bancherotte Desmaretz, le due dei fratelli
Pâris, la bancarotta del Visa, quella del Systeine.... Bastano? O ne volete
ancora? (Lungo scoppio di risa a sinistra).
Ed eccone altre del medesimo
regno: la bancarotta del cardinale Fleury, quella del controllore generale
Silhouette quella dell'abate Terray! Chiamo queste bancherotte della monarchia
col nome dei ministri che esse disonorano nella storia. Signori il cardinale
Dubois definiva la monarchia: un governo forte perchè può far bancarotta
quando vuole. (Nuovo scoppio di risa).
Ebbene! la repubblica del 1848 ha mai fatto, essa,
bancarotta? No, benchè da parte di ciò che io sono forzato a chiamare la
monarchia le sia stato forse un po' consigliato. (Si ride ancora a sinistra
ed anche a destra).
Signori, la repubblica che non
ha fatto bancarotta e che, si può affermarlo, se la si lascia nella sua franca
e dritta via di probità popolare non la farà mai. (A sinistra: No! No!),
la repubblica del 1848, ha
essa fatto la guerra europea! Nemmeno!
Il suo atteggiamento è stato
anzi un po' troppo pacifico, e lo dico nell'interesse della pace stessa, la sua
spada sguainata a mezzo, sarebbe stata sufficiente per far rientrare nel fodero
parecchi sciaboloni.
Che cosa le rimproverate dunque,
o signori capi dei partiti monarchici, che non siete ancora riusciti, che non
riuscirete mai a lavare la nostra storia contemporanea dalle macchie di sangue
del 1815? (Movimenti diversi) Si è parlato del 1793, ho bene il diritto
di parlare del 1815! (Vive approvazioni a sinistra).
Che cose dunque rimproverate voi
alla repubblica del 1848?
Dio mio! Vi sono delle accuse
basse che i vostri giornali continuano e che non sono ancora, a quel che
sembra, abbastanza consunte; accuse che ritrovavo non più tardi di stamane in
una circolare per la revisione totale, «i commissari di Ledru-Rollin! i
quarantacinque centesimi! le conferenze socialiste del Lussemburgo!...» — Il
Lussemburgo! ah! sì il Lussemburgo! ecco il gran male! Guardate, badate al
Lussemburgo; non andate troppo spesso da quella parte, voi finireste per
incontrarvi lo spettro del maresciallo Ney! (Viva acclamazione. Applausi
prolungati a sinistra).
On. De Rességuier. — Voi ci
trovereste il vostro posto di pari di Francia!
Presidente. — Onorevole
De Rességuier, voi non avete la parola.
Un deputato di destra. — La Convenzione ha fatto
ghigliottinare venticinque generali!
On. De Rességuier, —— La
vostra poltrona di pari di Francia! (Rumori).
Presidente. — Non
interrompete!
Victor Hugo. — Io credo,
Dio mi perdoni, che l'onorevole De Rességuier mi rimproveri d'essere stato fra
i giudici del maresciallo Ney! (Esclamazioni a destra. Risa ironiche ed
approvazioni a sinistra).
On. De Rességuier. — Voi
fraintendete.
Presidente. — Vi prego di
sedervi e tacere; voi non avete la parola.
On. De Rességuier. — Voi avete formalmente frainteso.
Presidente. — Onorevole
De Rességuier vi richiamo formalmente all'ordine.
On. De Rességuier. — Voi mi
avete frainteso in mala fede.
Presidente. — Io vi
richiamerò all'ordine e farò mettere il richiamo a processo verbale, se voi
continuate a non dare ascolto ai miei avvertimenti.
Victor Hugo. — Uomini
degli antichi partiti, io non trionfo di ciò che è la vostra sconfitta, e, ve
lo dico senza rancore, voi non giudicate il vostro tempo e il vostro paese da
un punto di vista giusto, sano, e benevolo. Voi sbagliate nel giudicare i
fenomeni contemporanei. Voi gridate contro la decadenza. E vi è infatti una decadenza,
ma io debbo confessare che essa è la vostra. (Risa a sinistra. Mormorio a
destra).
Perchè la monarchia se ne va,
voi dite: la Francia
muore! È un'illusione d'ottica. Francia e monarchia son due cose diverse. La Francia resta, la Francia s'ingrandisce,
sappiatelo! (Benissimo! — Risa a destra).
Mai la Francia è stata così
grande come ai giorni nostri; gli stranieri lo sanno, ed è doloroso dover dire,
e che viene confermato dalle vostre risa, che voi l'ignorate!
Il popolo francese ha raggiunto
l'età della ragione, ed è precisamente questo il momento da voi scelto per
tracciare i suoi atti di pazzia!
Voi rinnegate questo secolo
intero, la sua industria vi sembra materialista, la sua filosofia vi sembra
immorale, la sua letteratura vi sembra anarchica. (Risa ironiche a destra.
Sì! sì!)
Lo vedete, voi seguitate a
confermare le mie parole. Quella letteratura vi sembra anarchica, quella
scienza vi appare empia. La democrazia voi la chiamate demagogia. (Sì! sì! a
destra).
Nei vostri giorni di superbia,
voi dichiarate che i nostri tempi sono cattivi e che, per conto vostro, voi non
ne fate parte. Voi non fate parte del nostro secolo. Ecco il fatto. E ve ne
vantate. E noi ne prendiamo atto.
Voi non siete di questo secolo,
voi non appartenete a questo mondo, voi siete morti! Sta bene! io ve l'accordo!
(Risa ed applausi).
Ma poichè voi siete morti, non
risuscitate, lasciate i vivi in pace! (Risata generale).
On. De Tinguy (all'oratore)
— Ci supponete dunque morti, signor visconte?
Presidente. — Voi
risuscitate, signor De Tinguy.
On. De Tinguy. — Io
risuscito il visconte.
Victor Hugo. — (incrociando
le braccia e guardando verso la destra). Come! volete ricomparire! (Esplosione
d'ilarità e d'applausi).
Come! voi volete ricominciare!
Come! questi esperimenti pericolosi che annientano i re, i principi, il debole
come Luigi XVI, l'abile e il forte come Luigi Filippo, questi esperimenti
dolorosi che annientano delle famiglie nate sul trono, delle donne auguste,
delle vedove sante, dei bambini innocenti, non vi bastano ancora! ne volete
delle altre! (Sensazione).
Ma voi siete dunque senza pietà
come senza memoria! Ma, monarchici, dovremo noi chiedervi grazia per le
infelici famiglie reali?
Come, voi volete rientrare in
questa serie di fatti necessarii, di cui tutte le fasi sono previste, e per
così dire, segnate come delle tappe inevitabili! Voi volete rientrare in questi
formidabili ingranaggi del destino! (Movimento). Voi volete rientrare in
questa cerchia tremenda, sempre la stessa, piena di scogli, di burrasche di
catastrofi, che incomincia con delle riconciliazioni fittizie del popolo col
re, con delle restaurazioni, colle Tuilleries riaperte, con dei lampioni
accesi, con dei discorsi e delle fanfare, con delle cerimonie e delle feste: e
che continua con dei soprusi del trono sul parlamento, del potere sul diritto,
della monarchia sulla nazione, con delle lotte nella Camera, con delle
resistenze nella stampa, con delle sorde ribellioni nell'opinione, con dei
processi nei quali lo zelo enfatico e malaccorto dei magistrati che vogliono
piacere abortisce davanti l'energia degli scrittori (vivi applausi a
sinistra); che continua con delle violazioni dei patti, complici le
maggioranze, (Benissimo!), con delle leggi di compressione, con delle
leggi eccezionali, con delle prepotenze poliziesche da una parte, colle società
segrete e le cospirazioni dall'altra, — e che finisce... Dio! ma questa piazza
che voi traversate tutti i giorni, per venire in questo palazzo, non vi dice
dunque niente? (Interruzioni. All'ordine! All'ordine!) Ma battete il
piede su quelle lastre che sono a due passi da queste fatali Tuileries
che voi desiderate ancora; battete il piede su quelle pietre fatali, e ne
usciranno, a vostra scelta, o il patibolo che lancia la vecchia monarchia nella
fossa, o la vettura di piazza che conduce la nuova monarchia nell'esilio! (Applausi
a sinistra. Esclamazioni, mormorii).
Non mi sarà dunque permesso dir
ciò? E si chiama questa una discussione libera! (Vive approvazioni a
sinistra ed acclamazioni).
On. Emilio De Girardin. —
Essa lo era ieri!
Victor Hugo. — Ah! ma io
protesto! Voi volete soffocare la mia parola; ma essa tuttavia sarà udita... (Proteste
a destra), Sarà udita!
Gli uomini intelligenti che sono
fra voi, e ve ne sono, non ho difficoltà a convenirne...
A destra. — Troppo buono!
Victor Hugo. — Gli uomini
intelligenti che sono fra voi si credono forti in questo momento, perchè si
appoggiano sopra una coalizione d'interessi pericolanti. Strano punto
d'appoggio la paura! ma sufficiente a chi vuol far del male. — Signori, ecco
ciò che io debbo dire a questi uomini intelligenti. Fra poco gl'interessi
pericolanti si rassicureranno e voi perderete della vostra sicurezza man mano
che essi la riprenderanno.
Sì, fra poco gl'interessati
comprenderanno che oggi come oggi, nel decimonono secolo, dopo il patibolo di
Luigi XVI....
On. De Montebello. —
Ancora!...
Victor Hugo. — Dopo la
rovina di Napoleone, dopo l'esilio di Carlo X, dopo la caduta di Luigi Filippo,
dopo la rivoluzione francese in una parola, vale a dire dopo il rinnovamento
completo, assoluto, prodigioso, dei principii, delle credenze, delle opinioni,
delle condizioni, delle influenze e dei fatti, è la repubblica che è il fatto
positivo, la terra ferma, ed è la monarchia che è l'incertezza, e l'avventura
malfida (Applausi).
Ma l'on. Berryer vi diceva ieri:
mai la Francia
si adatterà alla democrazia!
A destra. — Non ha detto
così!
Una voce a destra — Egli
ha detto la repubblica.
On. De Montebello. — È
tutt'altro!
On. Mathieu Bourdon. —
C'è una bella differenza!
Victor Hugo. — Ciò
m'importa poco! accetto la vostra versione. L'on. de Berryer ha detto dunque: La Francia non si accomoderà
mai alla Repubblica.
Signori, trentasette anni or
sono, quando fu emanato il decreto di Luigi XVIII, tutti i contemporanei
possono attestarlo, i partigiani della monarchia pura, quelli stessi che
trattavano Luigi XVIII di rivoluzionario e Chateaubriand di Giacobino (ilarità),
i partigiani della monarchia pura, si spaventavano della monarchia
rappresentativa, precisamente come oggi i partigiani della monarchia
rappresentativa si spaventano della repubblica.
Si diceva allora: Sta bene... in
Inghilterra! esattamente come oggi l'on. Berryer dice: Sta bene.... in America!
(Benissimo! benissimo!)
Si diceva: La libertà di stampa,
le discussioni dalla tribuna degli oratori d'opposizione, dei giornalisti,
tutto ciò non è che disordine; mai la Francia potrà abituarvici! Ebbene, essa vi si è
abituata.
On. De Tinguy. — E si è
corrotta.
Victor Hugo. — La Francia si è avvezzata al
regime parlamentare: si avvezzerà al regime democratico. È un passo avanti,
ecco tutto. (Movimento).
Dopo la monarchia
rappresentativa ci abitueremo alla maggiore espansione di costumi democratici,
come dopo la monarchia assoluta si era finito per abituarsi alla maggiore
espansione di costumi liberali, e la prosperità pubblica s'ingrandirà
attraversando le agitazioni costituzionali. Le aspirazioni popolari si
regoleranno a poco a poco, come si sono regolate le passioni della borghesia.
Una grande nazione come la
Francia finisce sempre per ritrovare il suo equilibrio. La
sua massa è l'elemento della sua stabilità.
E poi bisogna pur dirvelo,
questa libertà di stampa, questa libertà sovrana di parola, questi comizi
popolari, queste moltitudini facenti cerchio attorno ad un'idea, questo popolo,
uditorio tumultuoso e tribunale paziente, queste legioni di voti che
raggiungono delle vittorie là dove le sommosse avevano delle sconfitte, questo
turbinio di schede che cuopre la
Francia, questo moto che vi fa paura, non è altro che il
fermento stesso del progresso. (Benissimo) fermento utile, necessario,
sano, fecondo, eccellente! Voi credete che ciò sia febbre? No! è la vita. (Lungo
scoppio d'Applausi).
Ecco ciò che io ho da rispondere
all'on. Berryer.
Voi lo vedete, o signori, nè
l'utilità, nè la stabilità politica, nè la sicurezza delle finanze, nè la
pubblica prosperità stanno, in questa questione, dal lato della monarchia.
Ora, perchè bisogna giungere a
questo punto, qual'è la morale di questa aggressione contro la costituzione,
aggressione che ne nasconde un'altra contro la repubblica?
Signori, io domando questo
specialmente agli anziani, ai capi invecchiati ma sempre preponderanti del
partito monarchico attuale, a quei capi che hanno fatto parte, come noi,
dell'assemblea, costituzionale, a quei capi coi quali io non confondo, lo
dichiaro, la parte giovane e generosa del loro partito che non li segue che a
malincuore.
Del resto, io non voglio certo
offendere nessuno, onoro tutti i membri di questa assemblea, e se mi sfuggisse
qualche parola che potesse offendere qualcheduno dei miei colleghi io dichiaro
di ritirarla fin d'ora. Ma, purtuttavia, bisogna bene che io lo dica, ci furono
dei monarchici....
On. Gallet. — Voi ne
sapete qualchecosa.... (Esclamazione a sinistra. — Non interrompete!)
On. Charras a Victor Hugo.
— Scendete dalla tribuna.
Victor Hugo. — È evidente
che non v'è più libertà di parola. (Proteste a destra).
Presidente. — Domandate
all'on. Michel (di Bourges), se la libertà di parola è soppressa.
On. Loubies. — Essa deve esistere
per tutti e non per uno solo.
Presidente. — Signori,
l'assemblea è la stessa: sono gli oratori che cambiano. È l'oratore che deve
formare l'uditorio, vi è stato detto ieri l'altro, ed è l'on. Michel che ve
l'ha detto.
On. Lamarque. — Ha detto
il contrario.
Presidente. — La variante
è mia.
On. Michel (di Bourges) —
(dal suo posto).
Signor presidente, volete voi
permettermi una parola? (Segno di consenso del presidente).
Voi avete mutato il senso a ciò
che io dissi ieri. Ciò che ho detto non è roba mia; è il più grande oratore del
decimosettimo secolo che lo disse, è Bossuet. Egli non ha detto che era
l'oratore che formava l'uditorio; ha detto che era l'uditorio che formava
l'oratore (A Sinistra: Benissimo! benissimo!)
Presidente. — Rovesciando
i termini della proposizione, la verità rimane la stessa; ed è questa, che
esiste una necessaria reazione dell'oratore sull'assemblea e dell'assemblea
sull'oratore. È lo stesso Royer Collard che, disperando di fare ascoltare certe
cose, diceva agli altri oratori: Fate in modo d'essere ascoltati.
Io dichiaro che mi è impossibile
far sì che si faccia silenzio egualmente per tutti gli oratori, quando essi
sono così profondamente differenti gli uni dagli altri. (Rumorosa ilarità
sui banchi della maggioranza. Rumori ed esclamazioni diverse a sinistra).
On. Emilio De Girardin. —
Le ingiurie sono dunque permesse?
On. Charras. — È una
impertinenza.
Victor Hugo. — Signori,
alla citazione di Royer Collard che ci ha fatto l'onorevole presidente,
risponderò con una citazione di Scheridan, che diceva: — Quando il presidente
non protegge più l'oratore, la libertà di parola è morta. (Ripetuti applausi
a sinistra).
On. Arnauld. —
(dell'Ariège). — Non si è mai vista una simile parzialità.
Victor Hugo. — Ebbene i
signori che cosa vi dicevo io dunque? Io vi dicevo, — e riferisco tutto ciò
all'aggressione diretta oggi contro la repubblica e pretendo trarne la morale —
io vi dicevo: Vi sono stati altre volte dei monarchici, quei monarchici, che
per circostanze di famiglia, hanno potuto unire delle tradizioni all'infanzia
di parecchi di noi, fra i quali io stesso, poichè mi si rammenta di continuo;
quei monarchici i nostri padri li hanno conosciuti, i nostri padri li hanno
combattuti. Ebbene! quei monarchici, quando confessavano i loro principii, lo
facevano nel giorno del pericolo, non mai nel giorno dopo! (A sinistra:
Benissimo! benissimo!)
Victor Hugo. — Non erano
dei cittadini, sia pure, ma erano degli uomini cavallereschi. Facevano una cosa
odiosa, insensata abominevole, empia, la guerra civile; ma la facevano, non la
provocavano! (Vive approvazioni a sinistra).
Avevano contro di loro, dritta,
giovanissima, terribile, fremente quella grande e splendida e formidabile
rivoluzione francese che mandava contro di loro i granatieri di Magonza e che
trovava cosa più facile vincer l'Europa che vincer la Vandea!
De la Rochejaquelein.
— È vero.
Victor Hugo: — Quella
rivoluzione l'avevano in faccia a loro e le tenevano testa. Non giuocavan
d'astuzia con lei, non si facevan volpi davanti al leone! (Applausi a
sinistra. — De la
Rochejaquelein fa un segno di approvazione).
Victor Hugo. — (a De La Rochefaquelein).
Questo è diretto a voi ed al vostro nome; è un omaggio che io vi rendo e
che rendo alla fine eroica di De La Rochejaquelein sepolto sul campo di battaglia.
Essi non venivano a toglierle
furtivamente, a questa rivoluzione, a poco, a poco, e per servirsene contro lei
stessa, i suoi principii, le sue conquiste, le sue armi! essi cercavano di
ucciderla, non di derubarla! (Bravo! a Sinistra).
Essi giuocavano a viso aperto,
da uomini arditi, da uomini convinti, da uomini sinceri come essi erano! e non
venivano in pieno giorno, in pieno sole, non venivano in mezzo all'assemblea
della nazione a balbettare: Viva il re! dopo aver strillato ventisette volte al
giorno: Viva la Repubblica!
(Acclamazioni ed applausi prolungati a sinistra).
On. Emilio De Girardin.
—— Nan mandavan denari per i feriti di Febbraio,
Victor Hugo: — Signori,
io riassumo in poche parole tuttociò che ho detto. La monarchia di principio,
la monarchia legittima, è morta in Francia. È un fatto che è stato e che non è
piú.
Restaurare la monarchia
legittima, vorrebbe dire la rivoluzione alla stato cronico, l'evoluzione
sociale turbata da sconvolgimenti periodici. La repubblica invece è il progresso
diventato governo. (Approvazioni).
Terminiamo sotto questo punto di
vista.
On. Leo De Laborde. —
Domando la parola. (Movimento prolungato).
On. Mathieu Bourdon. — Il
legittimismo si ridesta. (L'on.
De Falloux si alza).
A sinistra. — No! no! non
interrompete!
(L'on. De Falloux si avvicina
alla tribuna. Agitazione rumorosa).
A sinistra. (All'oratore).
— Non lo lasciate parlare! non lo lasciate parlare!
Victor Hugo. — Non
permetto che mi s'interrompa.
(L'on. De Falloux sale al banco
del presidente e scambia con questi qualche parola).
Victor Hugo. —
L'onorevole De Falloux dimentica talmente i diritti dell'oratore, che egli non
chiede più all'oratore stesso il permesso d'interrompere, ma lo chiede al
presidente.
On. De Falloux. — (tornando
verso la tribuna). Vi chiedo il permesso d'interrompervi.
Victor Hugo. — Ed io non
ve l'accordo.
Presidente. — Voi avete
la parola onorevole Victor Hugo.
Victor Hugo. — Ma dei
pubblicisti di un altro partito, dei giornali d'un altro colore politico, e che
incontestabilmente riflettono il pensiero del governo, poichè sono privilegiati
e si vendono per le strade, mentre si escludono gli altri, questi giornali ci
dicono:
— Voi avete ragione; il
legittimismo è impossibile, la monarchia di diritto divino e di principio è
morta; ma l'altra, la monarchia della gloria, l'impero, quella è non solamente
possibile, ma necessaria.
Ecco come si parla con noi.
Questo è il rovescio della
medaglia della questione monarchica. Esaminiamolo.
E, prima di tutto, voi dite che
la monarchia è gloriosa! Come, voi possedete la gloria? Mostratecela! (Ilarità).
Sarei curioso di vedere la gloria di questo governo! (Risa e applausi a
sinistra).
Andiamo, via! Dov'è la nostra
gloria? Io la cerco. Guardo intorno a me. Di che cosa essa si compone?
On. Lepic. — Domandatelo
a vostro padre.
Victor Hugo. — Quali ne
sono gli elementi? Che cosa è che io vedo? Che cosa vediamo noi tutti? Tutte le
nostre libertà prese al laccio, l'una dopo l'altra e strangolate; il suffragio
universale tradito, venduto, mutilato; i programmi socialisti che finiscono in
una politica di gesuiti; per governo un immenso intrigo, (movimento) la
storia dirà forse un complotto.... (viva sensazione), un non so quale
sottinteso inaudito che dà come meta alla repubblica l'impero, e che fa di
cinquecentomila funzionari una specie di lega frammassona bonapartista in mezzo
alla nazione! ogni riforma aggiornata o schernita, le imposte sproporzionate e
gravissime per il popolo, mantenute o ristabilite, lo stato d'assedio in cinque
dipartimenti, Parigi e Lione in stato di sorveglianza, l'amnistia rifiutata,
l'esilio raddoppiato, la deportazione approvata, i gesuiti alla Hasbah
di Bona, le torture a Belle-Isle, le casematte dove non si vuol lasciar marcire
dei materassi, ma dove si lasciano marcire degli uomini!.... (Profonda
sensazione) la stampa perseguitata, la giuria scelta con parzialità, poca
giustizia e troppa, molto troppa polizia, la miseria in basso, l'anarchia in
alto con l'arbitrio, la violenza, l'iniquità!.... ed al di fuori, il cadavere
della repubblica romana! (Bravo! a sinistra!)
Voci a destra. — Questo è
il bilancio della repubblica.
Presidente. — Lasciate
dunque parlare; non interrompete.
Questo dimostri che la parola è
libera. Continuate. (Benissimo! benissimo! a sinistra).
On. Charras. — Libera vostro malgrado.
Victor Hugo. — .... La forca, vale a dire l'Austria,
(movimento) drizzata sull'Ungheria sopra la Lombardia, sopra Milano,
sopra Venezia; la Sicilia
in preda alle fucilazioni; la fiducia delle nazioni nella Francia, distrutta;
spezzata la pace intima dei popoli; dappertutto il diritto calpestato, nel
settentrione come nel mezzogiorno, a Cassel come a Palermo; una latente
coalizione di re che non aspettano altro che l'occasione propizia; la nostra
diplomazia muta, per non dirla complice; qualcuno che è sempre vile dinanzi a
qualcuno che è sempre insolente; la
Turchia lasciata senz'appoggio contro lo czar, e costretta ad
abbandonare i proscritti; Kossuth, agonizzante in una cella di galera nell'Asia
Minore; ecco a qual punto ci troviamo! La Francia curva la testa, Napoleone freme di
vergogna nella sua tomba, e cinque o seimila mascalzoni gridano: Viva
l'imperatore! È forse tutto ciò che voi chiamate la gloria, per caso?
On. De Ladevensaye. — È
la repubblica che ci ha dato tutto ciò!
Presidente. — Ed è anche
al governo della repubblica che si rimprovera tutto ciò!
Victor Hugo. — Ed ora
parliamo del vostro impero. Non domando di meglio. (Risa a sinistra).
On. Vieillard.19 — Nessuno se lo sogna, voi lo sapete bene.
Victor Hugo. — Signori,
mormorate quanto volete, ma non cercate di creare degli equivoci. Mi si grida:
Nessuno si sogna l'impero. — È mia abitudine buttar giù le maschere.
Nessuno si sogna l'impero dite
voi! E che cosa significano allora, dunque, quelle grida di: Viva l'imperatore?
Una semplice domanda: Quelle grida chi le paga?
Nessuno pensa all'impero, voi
avete detto! E che significano dunque quelle parole del generale Changarnier,
quelle allusioni ai pretoriani nei saturnali, applaudite da voi?
Che cosa significano quelle
parole dell'on. Thiers, pure da voi applaudite: «l'impero è fatto»?
Che cosa significa questa
petizione ridicola, degna di mendicanti, per ottenere il prolungamento dai
poteri?
E che cosa è questo prolungamento
dei poteri ditemi. È il consolato a vita. E dove conduce il consolato a vita?
All'impero! Signori tuttociò nasconde un intrigo! Un intrigo, vi dico! Ed ho il
diritto di scrutarvi dentro. E lo scruto. Andiamo, via! La gran luce su tutto
questo fatto!
Non si deve ammettere che si
colpisca la Francia
a tradimento e che un bel giorno si trovi un imperatore senza saper perchè. (Applausi).
Un imperatore! Discutiamone un
po' la pretensione.
Come! Perchè vi è stato un uomo
che ha vinto la battaglia di Marengo, e che ha regnato, voi vorreste regnare,
voi, che non avete vinto altro che la battaglia di Satory. (Ilarità).
A sinistra. — Benissimo!
benissimo! Bravo!
On. Emilio De Girardin. —
Quella battaglia l'ha perduta!
On. Ferdinando Barrot.20 — Sono tre anni ch'egli vince delle battaglie;
quelle dell'ordine contro l'anarchia.
Victor Hugo. — Come! per
il fatto che dieci secoli or sono Carlomagno, dopo un periodo glorioso di
quarant'anni, lasciò cadere sulla faccia della terra uno scettro ed un brando
talmente smisurati che nessuno poi osò toccarli, nè lo potè, — e purtuttavia vi
sono stati in questo periodo degli uomini che si chiamarono Filippo Augusto,
Francesco I, Enrico IV, Luigi XIV! Come! Per il fatto che dopo mille anni,
poichè tale è il periodo di gestazione necessario all'umanità per riprodurre
uomini tali, per il fatto che dopo mille anni, un altro genio è venuto, che ha
raccattato quel brando e quello scettro, si è drizzato sul continente, ed ha
stampato quelle colossali pagine nella storia, il cui sfolgorio dura ancora,
che ha incatenato la rivoluzione in Francia e l'ha scatenata in Europa, che ha
dato al suo nome, sinonimi radiosi di gloria, i nomi di Rivoli, Iena, Essling,
Friedland, Montmirail! Come! per il fatto che, dopo dieci anni d'una gloria
immensa, d'una gloria quasi favolosa, tanto è grande, egli ha, a sua volta,
lasciato cadere, stanco, quello scettro e quel brando che erano stati strumenti
di tante opere colossali, venite voi, voi, volete voi, voi, raccattarli dopo di
lui, come egli li raccattò, come li raccattò Napoleone, dopo Carlomagno, e
prendere fra le vostre piccole mani quello scettro degno dei titani, quella
spada degna dei giganti! E per farne che? (Lungo scoppio d'applausi).
Come, dopo il grande Augusto,
Augusto il piccolo! Come! Come! Napoleone il piccolo, dopo Napoleone il grande!
(Applausi a sinistra, urli a destra. La seduta è sospesa per parecchi
minuti. Tumulto indicibile).
A sinistra. — Signor
presidente, noi abbiamo ascoltato l'onorevole Berryer; a destra si deve
ascoltare l'onorevole Victor Hugo. Fate tacere la maggioranza.
On. Savatier-Laroche. —
Rispettate i grandi oratori. (A sinistra: Benissimo!)
On. De La Moskowa,21 — L'onorevole presidente dovrebbe far
rispettare il governo nella persona del presidente della repubblica.
On. Lepic.22 — Si disonora la repubblica!
On. De La Moskowa. — Questi
signori gridano: «viva la repubblica» e ne insultano il presidente!
On. Ernesto di Girardin.
— Napoleone Bonaparte ha avuto sei milioni di voti; voi insultate l'eletto del
popolo! (Viva agitazione al banco dei ministri. Il presidente cerca invano
di farsi udire in mezzo ai rumori).
On. De La Moskowa. — E dai
banchi dei ministri, nemmeno una parola indignata contro queste parole.
On. Baroche,23 ministro degli affari esteri. — Discutete ma non
insultate.
Presidente. — Voi avete
il diritto di contestare l'abrogazione dell'articolo 45 in termine di diritto, ma
non avete il diritto d'insultare! (Gli applausi all'estrema sinistra raddoppiano
e cuoprono la voce del presidente).
Il ministro degli affari
esteri. — Voi discutete progetti che non esistono, e scagliate degli
insulti! (Gli applausi all'estrema sinistra continuano).
Un deputato dell'estrema
sinistra. — La repubblica bisognava difenderla ieri, quando la si
attaccava!
Presidente. L'opposizione
ha ostentato di coprire d'applausi e la mia osservazione e quella
dell'onorevole ministro che l'aveva preceduta.
Io dicevo all'onorevole Victor
Hugo che egli ha perfettamente il diritto di contestare la convenienza di
chiedere la revisione dell'articolo 45 in termini di diritto, ma che non ha il
diritto discutere, con forma insultante, una candidatura personale alla quale
nessuno pensa.
Voci all'estrema sinistra.
— Ma sì, ci si pensa.
On. De Charras. — Voi
l'avete vista da voi stessi, a Digione, ed in faccia. —
Presidente. — Io vi
richiamo all'ordine perchè io qui presiedo l'adunanza; a Digione rispettavo le
convenienze ed ho taciuto.
On. Charras. — Quelle
convenienze non furono rispettate verso di voi.
Victor Hugo. — Rispondo
all'onorevole ministro ed all'onorevole presidente, che mi accusano d'offendere
il signor presidente della repubblica, che avendo il diritto costituzionale di
mettere in istato d'accusa il signor presidente della repubblica, userò di tal
diritto quando penserò sia conveniente, e non perderò mai del tempo ad
offenderlo; ma io non l'offendo, quando e non è un grand'uomo. (Vive
proteste su alcuni banchi di destra).
On. Briffant. — I vostri
insulti non possono toccarlo.
On. De Coulaincourt. — Vi
sono delle ingiurie che non possono giunger fino a lui, sappiatelo bene!
Presidente. — Se voi
continuate, anche dopo i miei avvertimenti, io vi richiamerò all'ordine!
Victor Hugo. — Ecco ciò
che io ho da dire, e l'onorevole presidente non m'impedirà di completar il mio
pensiero. (Viva agitazione).
Ciò che noi domandiamo al
presidente responsabile della repubblica, ciò che noi attendiamo da lui, ciò
che abbiamo fermamente il diritto di esigere da lui, non è che egli stia al
potere da uomo grande, è che egli lo lasci da uomo onesto.
A sinistra. — Benissimo!
benissimo!
On. Clary.24 — Ma intanto, non lo calunniate.
Victor Hugo. — Coloro che
l'offendono, sono quelli fra i suoi amici, che lascian credere che la seconda
domenica di maggio egli non lascerà il potere puramente e semplicemente, come
deve fare, a meno che egli non sia un sedizioso.
Voce a sinistra. — E uno
spergiuro!
On. Vieillard.25 — Queste sono calunnie e l'onorevole Victor Hugo lo
sa bene.
Victor Hugo. — Signori
della maggioranza, voi avete soppresso la libertà di stampa; volete ora
sopprimere la libertà di parola! (Movimento). Io non vengo a chiedervi
dei favori, vengo a chiedervi della franchezza. Il soldato al quale s'impedisce
di compiere il proprio dovere, spezza la propria spada; se la libertà di parola
è morta ditemelo affinchè io rinunzi al mio mandato. Il giorno nel quale la
tribuna non sarà più libera, io ne scenderà per non più risalirvi. (A
destra: Gran disgrazia!) La tribuna senza libertà non è accettabile che da
un oratore senza dignità. (Profonda sensazione).
Ebbene! ora vedró se la tribuna
si rispetta ancora. Continuo.
No! Dopo Napoleone il Grande, io
non voglio Napoleone il piccolo!
Andiamo! Rispettate le grandi
cose! Tregua alle parodie! Per poter mettere delle aquile sulle bandiere,
occorre prima di tutto avere un'aquila alle Touileries!
E dov'è l'aquila? (Applausi
fragorosi).
On. Leone Fraucher. —
L'oratore insulta il presidente della repubblica. (Si! si! a destra).
Presidente. — Voi
offendete il presidente della repubblica. (Si! si! a destra. L'on. Abbatucci26 fa dei gesti vivissimi.)
Victor Hugo. — Continuo.
Signori, come chiunque, come voi
tutti, io ho avuto fra le mani in questi giorni quei giornali, quegli opuscoli,
quei libelli imperialisti o cesarei, come si dice oggi.
Un'idea mi colpisce e mi è
impossibile non comunicarla all'assemblea.
(Agitazione. L'oratore
prosegue:) Si, mi è impossibile di non lasciarla irrompere in questa
assemblea. Che cosa direbbe quel soldato, quel gran soldato della Francia, che
dorme, laggiù, agl'Invalidi ed all'ombra del quale si cerca un rifugio, e del
quale si invoca così spesso ed in così strano modo il nome? che cosa direbbe
quel Napoleone che, in mezzo a tante battaglie prodigiose è andato a ottocento
leghe lontano da Parigi, per provocare la vecchia barbarie moscovita a quel
gran duello del 1812! che cosa direbbe quel sublime spirito, che intravide con
orrore la possibilità d'un'Europa cosacca, e che, certo malgrado i suoi istinti
autoritarii, le preferiva un'Europa rebubblicana? che cosa direbbe, egli! se,
dal fondo della sua tomba, potesse vedere che il suo impero, il suo glorioso e
bellicoso impero, ha oggi per panegiristi, per apologisti, per teorici, e per
ricostruttori, chi? degli uomini che nell'epoca nostra radiosa e libera, si
volgono al nord con una disperazione che sarebbe comica se non fosse mostruosa?
degli uomini che ogni volta che ci sentono pronunziare le parole: democrazia,
libertà, umanità, progresso, si sdraiano e posano terrorizzati l'orecchio
contro terra, per ascoltare se non udranno finalmente giungere i cannoni russi!
(Lunghi applausi a sinistra.
Urli clamorosi a destra. — Tutta la destra balza in piedi e copre colle sue
grida le ultime parole dell'oratore. — All'ordine! all'ordine! all'ordine!.
Parecchi ministri si alzano
dai loro banchi e protestano vivacemente contro le parole dell'oratore. Il
tumulto raddoppia. — Delle apostrofi violentissime sono lanciate contro
l'oratore da un gran numero di membri dell'Assemblea. Gli onorevoli Bineau27 il generale Gourgaud e molti altri
rappresentanti dei primi banchi di destra si fanno notare per la loro
sovraeccitazione).
Il Ministro degli affari
esteri28. — Voi sapete bene che ciò non è
vero! In nome della Francia, noi protestiamo!
On. De Rancé29 — Noi chiediamo che l'oratore sia richiamato all'ordine.
On. Decrouseilhes, ministro
dell'istruzione pubbica30. — Date
un'applicazione personale alle vostre parole! A chi le applicate voi? I nomi! I
nomi!
Presidente. — Io vi
richiamo all'ordine, onorevole Victor Hugo, perchè, malgrado i miei
avvertimenti, voi non cessate d'insultare.
Voci a destra. — È un
insultatore pagato!
On. Chapot. — L'oratore
dica a chi allude.
On. De Staplande. —
Nominate coloro che voi accusate, se ne avete il coraggio! (Tumultuosa
agitazione).
Voci a destra. — Siete un
calunniatore infame!.. È una vigliaccheria ed un'insolenza. (All'ordine!
all'ordine!)
Presidente. — Col rumore che
voi fate, avete impedito all'oratore di udire il mio richiamo all'ordine.
Victor Hugo. — Domando di
spiegarmi. (Rumori prolungati).
On. De Heeckeren31. — Lasciatelo dire, lasciategli recitare la
sua parte!
On. Leone Faucher, ministro
dell'interno. — L'oratore.... (Interruzioni a sinistra).
L'oratore...
A sinistra. — Voi non
avete la parola!
Presidente. — Lasciate
l'onorevole Victor Hugo dare delle spiegazioni. È già richiamato all'ordine.
Il ministro dell'interno.
— Ma come! o signori, un oratore potrà qui insultare il presidente della
repubblica... (Rumorose interruzioni a sinistra).
Victor Hugo. — Lasciatemi
parlare! Non cedo la parola.
Presidente. — (rivolto
e destra). Voi non avete la parola, L'ordine della seduta non sta a voi
mantenerlo. — L'onorevole Victor Hugo è stato richiamato all'ordine; egli
chiede di dare delle spiegazioni, ed io gli do la parola — ma voi renderete
impossibile l'ordine se volete usurpare le mie funzioni.
Victor Hugo. — Signori,
ora vedrete il torto delle interruzioni troppo precipitose. (Più forte! più
forte!). Sono stato richiamato all'ordine; ed un onorevole rappresentante
che non ho l'onore di conoscere...
Un deputato di destra si alza
dal suo banco e viene fino ai piedi della tribuna, dicendo;
— Sono io.
Victor Hugo. — Chi, voi?
L'interruttore. — Io!
Victor Hugo. — Sta bene.
Tacete.
L'interruttore. — Noi non
vogliamo sentirne di più. La cattiva letteratura fa la cattiva politica. Noi
protestiamo in nome della lingua francese e della tribuna francese. Portate
codesta roba al teatro della porta San Martino, signor Victor Hugo.
Victor Hugo. — Voi sapete
il mio nome, a quel che pare, ed io non so il vostro. Come vi chiamate?
L'interruttore. —
Bourbousson.
Victor Hugo. — È assai
più di quel che non avrei sperato. (Lungo scoppio di risa da tutti i banchi.
L'interrutore torna al suo posto).
Victor Hugo, riprendendo.
— Dunque il signor Bourbousson dice che mi si dovrebbe applicare la censura.
Voci a destra.— Sì! sì!
Victor Hugo. — E perchè?
Per aver qualificato, com'è mio diritto,.. (denegazioni a destra), per
aver qualificato gli autori dei libelli cesarei... (Proteste a destra).(Victor
Hugo si curva verso lo stenografo del Monitore e gli chiede la comunicazione
immediata della frase del suo discorso che ha provocato l'emozione
nell'assemblea).
Voci a destra. —
L'onorevole Victor Hugo non ha il diritto di far cambiare la frase al Monitore.
Presidente. — L'assemblea
ha protestato contro le parole che debbono essere state raccolte dallo
stenografo del Monitore. Il richiamo all'ordine si riferisce a quelle
parole, tali e quali le avete proferite, e vi resteranno certamente. Ora, se,
spiegandovi, voi le cambierete, l'assemblea potrà giudicarne.
Victor Hugo. — Come lo
stenografo del Monitore le ha udite dalla mia bocca... (Interruzioni
diverse).
A destra. — Voi le avete
cambiate! — voi avete parlato allo stenografo! — (Rumori e confusione).
On. De Panat, questore
dell'Assemblea, ed altri membri. — Non avete nulla da temere. Le parole
dette dall'oratore usciranno domani nel Monitore come egli le ha dette.
Victor Hugo. — Signori,
domani, quando voi leggerete il Monitore.... (rumori a destra),
quando voi leggerete quella frase che avete interrotta e non avete intesa,
quella frase colla quale io ho detto che Napoleone si meraviglierebbe,
s'indignerebbe di vedere che il suo impero, il suo impero glorioso, ha oggi per
teorici e per ricostruttori... chi? degli uomini che ogni volta che noi
pronunziamo le parole democrazia, libertà, umanità, progresso, si sdraiano
terrorizzati e pongono l'orecchio a terra per ascoltare se non sentono
finalmente giungere i cannoni russi...
Voci a destra. — A chi
volete voi alludere!
Victor Hugo, — Sono stato
richiamato all'ordine per questo!
On. De Trevenenc. — A qual
partito indirizzate le vostre parole?
Voci a sinistra, — A
Romieu! Allo Spettro rosso!
Presidente, all'on. Victor
Hugo. — Voi non potete citare isolatamente una frase sola di tutto il
vostro discorso. Tutto ciò è accaduto in seguito ad un paragone insultante fra
il defunto imperatore e l'attuale presidente della repubblica, (Agitazione.
— Un gran numero di deputati scende nell'emiciclo; ed a fatica, dietro l'ordine
del presidente gli uscieri riescono a farli tornare ai loro posti ed ottenere
un po' di silenzio).
Victor Hugo. — Voi
riconoscerete domani la verità delle mie parole.
A destra. — Avete detto: Voi.
Victor Hugo. — Mai, e lo
affermo da questa tribuna, mai ho avuto in mente per un solo istante di indirizzarmi
a chicchessia che facesse parte dell'assemblea. — (Proteste e risa rumorose
a destra).
Presidente. — Allora
l'insulto è diretto intieramente al presidente della Repubblica.
On. De Heeckeren — (Senatore)
— Se non si tratta di noi, perchè dircelo e non riserbare la frase all'Enénement?
Victor Hugo. — volgendosi al
presidente. — Voi vedete che la maggioranza si pretende insultata. Non si
tratta più del presidente della Repubblica!
Presidente. — Voi l'avete
offeso tanto quanto era possibile!
Victor Hugo. — Ma non è
questa la questione!
Presidente. — Dite dunque
che non avete voluto insultare il presidente della Repubblica, nel vostro
paragone di poco fa... tanto meglio! (L'agitazione continua, delle apostrofi
violentissime vengono scagliate contro l'oratore, e scambiate fra i
rappresentanti di destra e di sinistra. L'on. Lefelvre — Duruflé, avvicinandosi
alla tribuna, consegna all'oratore un biglietto, pregandolo di leggerlo).
Victor Hugo. (dopo
aver letto). — Mi si trasmette questa osservazione alla quale darò
immediatamente soddisfazione. — Ecco qua:
«Ciò che ha turbato fino
all'indignazione l'Assemblea è che avete detto voi, e non avete parlato
indirettamente».
L'autore di questa osservazione
riconoscerà domani, leggendo il Monitore, che io non ho detto voi, che
ho parlato indirettamente, che non mi son rivolto personalmente a nessuno,
nell'Assemblea. E ripeto che non mi rivolgo a nessuno.
Cessiamo dunque con questo
malinteso.
A destra. — Bene! bene!
passiamo oltre.
Presidente. — Fate in
modo che l'assemblea si calmi ed esca da questo stato d'agitazione in cui
l'avete posta.
Signori, vi prego far silenzio.
Victor Hugo. — Voi
leggerete domani il Monitore che ha raccolte le mie parole e
rimpiangerete la vostra precipitazione.
Mai, nemmeno un istante io lo
dichiaro, ho pensato ad un sol membro di questa assemblea, e lascio il mio
richiamo all'ordine alla coscienza dell'onorevole presidente. (Movimento.
Benissimo! Benissimo!)
Ancora un momento e scenderò
dalla tribuna. (Il silenzio si ristabilisce su tutti i banchi. L'oratore si
volge verso la destra).
Monarchia legittima, monarchia
imperiale, che cosa volete voi da noi? Noi siamo uomini di un'altra età. Per
noi non vi sono fiori di giglio altro che a Fontenoy, non vi sono aquile altro
che a Eylau e a Wagram.
Ve l'ho già detto, voi siete il
passato. Con qual diritto discutete voi del presente? che cosa può esserci di
comune fra il presente e voi? Contro chi e per chi vi coalizzate? E che cosa
significa questa coalizzazione? Che cosa è questa alleanza? Che cosa significa
questa stretta di mano fra l'imperialismo e il legittimismo? Legittimisti,
l'impero ha ucciso il duca d'Enghien! Imperialisti, il legittimismo ha fucilato
Murat! (Viva impressione).
E vi stringete la mano; state
attenti, mescolerete delle macchie di sangue! (Sensazione).
E poi, che cosa sperate?
Distruggere la repubblica? Voi intraprendete un aspro lavoro. Ci avete ben
pensato? Quando un operaio ha lavorato diciotto ore, quando un popolo ha
lavorato diciotto secoli, e che finalmente hanno ricevuto l'uno e l'altro il
loro compenso, provatevi dunque a strappare a quell'operaio la sua paga, a quel
popolo la sua repubblica!
Sapete voi che cosa fa la
repubblica forte? Sapete voi che cosa la rende invincibile? Sapete voi che cosa
la rende indistruttibile? Ve l'ho già detto incominciando, e terminando ve lo
ripeto; perchè essa è la somma del lavoro delle generazioni, è il prodotto
accumulato degli sforzi anteriori; perchè essa è un resultato storico tanto
quanto un fatto politico, perchè essa fa parte, per dir così, della temperatura
civile, perchè è la forma assoluta, suprema, necessaria, del tempo nel quale
viviamo, perchè si trova nell'aria che noi respiriamo, perchè quando una
nazione si è imbevuta di quell'aria fate tutto ciò che vi pare, non può più
respirarne un'altra! Sì! sapete voi che cos'è quello che rende la repubblica
imperitura? È la sua identificazione da un lato col secolo, dall'altro col
popolo! essa è del primo l'idea, dell'altro la corona!
Signori revisionisti, io vi ho chiesto
ciò che voi volevate. Ciò che voglio, io, ora ve lo dirò. — Tutta la mia idea
politica la riassumo in poche parole. Bisogna sopprimere nell'ordine sociale un
certo grado di miseria, e nell'ordine politico una certa specie d'ambizione.
Non più pauperismo, non più monarchia. La Francia sarà tranquilla solamente quando, per la
forza delle istituzioni che daranno il pane agli uni e toglieranno ogni
speranza agli altri, avremo visto sparire, avremo tolto di mezzo tutti coloro
che tendono la mano, dal mendicante fino al pretendente. (Esplosione di
applausi. Urli e rumori a destra).
Presidente. — Lasciate
dunque terminare, per amor di Dio! (Risa).
On. Belin. — Per amor del
desinare.
Presidente. — Andiamo,
via! Ve ne prego!
Victor Hugo. — Signori,
vi sono due specie di questioni; le false e le vere.
L'assistenza, il salario, il
credito, le imposte, la sorte delle classi lavoratrici.... eh! Dio mio! sono
questioni sempre neglette, sempre aggiornate! Lasciate che vi se ne parli di
tanto in tanto! Si tratta del popolo, signori! Continuo. Le sofferenze dei
deboli, del povero, della donna, del fanciullo, l'educazione, la penalità, la
produzione, il consumo, la circolazione, il lavoro, che da il pane a tutti, il
suffragio universale, che contiene il diritto di tutti, la solidarietà fra
uomini e fra popoli, l'aiuto alle nazioni appresse, la fraternità francese,
irradiante luminosamente la fraternità europea, — ecco le vere questioni.
La legittimità, l'impero, la
fusione, la supremazia della monarchia sulla repubblica, le tesi filosofiche
che conducono alle barricate, la scelta fra i varii pretendenti, ecco le
questioni false.
Bisogna poi dirvi questo: voi
abbandonate le questioni vere per quelle false; voi dimenticate le questioni
vitali per le questioni che non esistono più. Come! È tale il vostro criterio
politico? Come! È questo lo spettacolo che voi ci date? Il potere legislativo
ed il potere esecutivo che questionano e vengono a colluttazione fra di loro;
niente si fa, niente progredisce; delle vane e miserabili dispute; i partiti
che si attaccano alla costituzione e la tirano per ogni verso nella speranza di
fare in pezzi la repubblica; gli uomini si smentiscono, l'uno dimentica ciò che
egli ha giurato, gli altri ciò che hanno gridato; e infine durano queste agitazioni
miserabili, il tempo, vale a dire la vita, si perde inutilmente!
Come! È questa la situazione che
voi ci preparate! La neutralizzazione di ogni autorità nella lotta, il
decadimento e per conseguenza l'abolizione del potere, l'inerzia, il torpore,
qualche cosa di eguale alla morte! Nessuna grandezza, nessuna forza, nessun
impulso. Delle noie, delle angherie, dei conflitti, degli urti. Ed un governo
nullo.
E tuttociò, in qual momento?
Nel momento in cui, più che mai
una potente iniziativa democratica è necessaria! nel momento in cui la civiltà,
alla vigilia di subire una prova solenne, ha più che mai bisogno di poteri
attivi, intelligenti, fecondi, riformatori, che abbiano simpatia per le
sofferenze del popolo, che sieno pieni d'amore, e, per conseguenza, pieni di
forza! nel momento in cui i giorni torbidi sovrastano! nel momento in cui tutti
gl'interessi sembrano pronti ad entrare in lotta contro tutti i principii! nel
momento in cui tutti i problemi più formidabili si pongono davanti la società
ed attendono la soluzione a scadenza fissa! nel momento in cui il 1852 si
avvicina misterioso, tetro, pieno zeppo di questioni paurose! nel momento in
cui i filosofi, i pubblicisti, gli osservatori serii, coloro che non sono
uomini di stato, che non sono altro che uomini savii ed attenti ed inquieti, si
volgono all'avvenire, si curvano sull'ignoto, fissano l'occhio in quell'ammasso
di ombre, credono di udire distintamente il rumore mostruoso della porta delle
rivoluzioni che si riapre nelle tenebre. (Viva ed universale emozione.
Qualche risata a destra).
Signori, io termino. Non
dissimuliamocelo, questa discussione per burrascosa che sia, per quanto
profondamente scuota le masse, non è che un preludio.
Lo ripeto, l'anno 1852 si
avvicina. L'istante giunge in cui riappariranno, risvegliate ed incoraggiate
dalla legge fatale del 31 maggio, armate da essa per l'ultima battaglia contro
il suffragio universale incatenato, tutte quelle pretenzioni di cui vi ho
parlato, tutte le antiche legittimità che non sono altro che usurpazioni
antiche! L'istante giunge in cui succederà una mischia terribile di tutte le
forme decadute, imperialismo, legittimismo, diritto della forza, diritto
divino, unite insieme per dar l'assalto al gran diritto democratico, al diritto
umano!
Quel giorno tutto sarà, almeno
in apparenza, posto di nuovo in discussione. Grazie alle testarde
rivendicazione del passato, l'ombra coprirà di nuovo questo grande ed illustre
campo di battaglia delle idee che si chiama la Francia. Io non so
quanto tempo durerà questa ecclissi, non so quanto durerà questa lotta; ma io
so, e lo predico, ed è certo, e lo affermo, che il diritto non perirà! e che,
quando tornerà la luce del giorno, non si troveranno più in piedi che due
combattenti, il popolo e Dio! (Immensa acclamazione. Tutti i deputati di
sinistra vanno a stringer la mano all'oratore. La seduta è sospesa).
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