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Victor Hugo Lotte sociali IntraText CT - Lettura del testo |
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V.
Le giornate di giugno
NOTE SPARSE
L'insurrezione di Giugno presenta, fin dal primo giorno, dei lineamenti strani2. Ella mostra subito, alla società, delle forme mostruose e finora sconosciute. Le prime barricate furono drizzate il venerdì mattina 23 alla porta Saint-Denis. Esse furono attaccate lo stesso giorno. La guardia nazionale si condusse risolutamente. Erano dei battaglioni della prima e della seconda legione che arrivavano dai boulevards. Quando gli assalitori furono a portata, una scarica formidabile partì dalla barricata e coprì il terreno di guardie nazionali. La guardia nazionale, più irritata che spaventata, si slanciò in avanti al passo di corsa. In quel momento una donna apparve sulla cima della barricata, una donna giovane, bella, coi capelli in disordine, terribile. Quella donna, ch'era una femmina di malaffare, rialzò le sue vesti sino alla cintura e gridò alle guardie nazionali, in quella spaventevole lingua del lupanare che bisogna sempre tradurre: — Vigliacchi, tirate, se l'osate, sul corpo di una donna! Da quel momento la cosa diventò feroce. La guardia nazionale non esitò punto. Una scarica di pelottone rovesciò la sciagurata che cadde mandando un grido immenso. Vi fu un lungo silenzio di raccapriccio da ambo le parti, nella barricata e fra gli assalitori. Tutto ad un tratto una seconda donna apparve. Questa era ancora più bella, era ancora più giovane; era quasi una fanciulla; diciassette anni appena. Quale profonda miseria. Anch'ella era una donna pubblica. Come l'altra, alzò i suoi panni, mostrò il suo ventre e urlò: — Tirate, briganti! Sì sparò. Ella cadde crivellata dalle palle sul corpo della compagna. Fu così che questa guerra ebbe principio. Nulla è più ghiaccio e più triste di tutto ciò. È orrendo l'eroismo dell'abiezione rivelante la debolezza della forza; ed è quasi ridicola questa civiltà attaccata dal cinismo che si difende con la barbarie. Da un lato la disperazione del popolo; dall'altro la disperazione della società.
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Il sabato 24 alle quattro del mattino ero come rappresentante del popolo alla barricata della piazza Baudoyer difesa dalla truppa. La barricata era bassa. Un'altra barricata alta e stretta la proteggeva nella strada. Il sole scintillava gioiosamente sul culmine dei camini. Lo zig-zag della via S. Antonio si allungava sinistramente dinanzi a noi. I soldati stavano sdraiati sulla barricata che aveva appena tre piedi di altezza. I loro fucili erano puntati fra gl'interstizi delle pietre come fra dei merli. Di tanto in tanto fischiavano delle palle e venivano a colpire intorno a noi i muri delle case, facendo schizzare briciole di pietra e d'intonaco. In certi momenti un operaio, qualche volta la testa coperta da un berretto, appariva all'angolo della strada. I soldati sparavano. Quando il colpo aveva colto l'umano bersaglio essi si applaudivano reciprocamente: — Bravo!... Bene!... Bel tiro! Ridevano e chiacchieravano allegramente. Ad intervalli scoppiava una detonazione ed una pioggia di palle pioveva dai tetti e dalle finestre sulla barricata. Un capitano coi baffi grigi, alto della persona, stava tranquillamente nel mezzo. Le palle ballavano intorno a lui come dintorno ad un bersaglio. Egli rimaneva impassibile e sereno; intanto gridava: — Ehi, figliuoli! Si tira forte. Buttatevi giù! Stai attento, Lapiraud, perchè la tua testa esce fuori!... Ricaricate! Tutto ad un tratto una donna sbuca dall'angolo della strada. Ella va lentamente verso la barricata. I soldati gridano da tutte le parti per avvisarla del pericolo. Ah, la stupida! Vuoi uscire di là, p...! — Ma pensa per te, porcone!.. risponde lei. — È una spia! — Saltiamole addosso! — Abbasso la spia! Giù, fuo....! Il capitano li trattiene: — Fermatevi! Non tirate!... È una donna! La donna, che si era fermata per ascoltare, è scomparsa da una porticina bassa, che si è subito richiusa dietro a lei. Quella fu salva.
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Alle undici, tornato dalla barricata della piazza Baudoyer, ero andato a sedere al mio posto ordinario all'Assemblea. Un rappresentante che io non conoscevo e che più tardi seppi essere l'ingegnere Belly abitante in via Tournelles, venne a sedere vicino a me e mi disse: — Signor Victor Hugo, hanno attaccato il fuoco alla vostra casa. Gl'insorti l'hanno invasa entrando dalla porticina che dà sul chiassolo Guèmèncèe. — E la mia famiglia? chiesi. — Al sicuro. — Come l'avete saputo? — Vengo di là. Ho potuto passare traverso le barricate, non essendo conosciuto, e arrivare fin quà. La vostra famiglia si era già rifugiata alla mairie. C'ero anch'io. Visto il pericolo ho consigliato la signora Victor Hugo a cercare un'altro asilo. E di fatti, ella ha trovato ospitalità da un fumista chiamato Martignon, che abita accanto alla vostra casa, sotto al loggiato. Conoscevo la degna famiglia Martignon, e fui rassicurato. — E fin dove arriva la sommossa? chiesi al signor Belley. — Altro chè...! È una rivoluzione. In questo momento gl'insorti sono già padroni di Parigi!
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Lasciai il signor Belley e traversai rapidamente le poche sale che dividevano l'Assemblea dal gabinetto nel quale stava adunata la Commissione esecutiva. Era un saloncino, appartenente all'ufficio del presidente, preceduto da altre due piccole sale. In queste anticamere trovai alcuni ufficiali della guardia nazionale, con l'aria smarrita, spaventati, quasi fuori di ragione. Una guardia simile non faceva nessuna opposizione a coloro che volevano entrare. Bussai alla porta del gabinetto della Commissione esecutiva. Ledru-Rollin, tutto acceso nella faccia, era assiso sull'angolo della tavola. Garnier-Page, pallidissimo, e mezzo nascosto in una grande poltrona, faceva una curiosa antitesi col collega. Il contrasto era completo. Garnier-Page, magro e capelluto; Ledru-Rollin, grasso e tondo. Due o tre colonnelli, dei quali Charras era il rappresentante, discutevano in un canto. Non ricordo se Marie era là, e rammento Arago molto vagamente. Brillava il più bel sole del mondo. Lamartine, addossato al vano della finestra a sinistra, parlava con un generale in grande uniforme, che io vedevo per la prima e l'ultima volta, e che si chiamava Negrier. — Negrier fu ucciso quella sera stessa davanti ad una barricata. Corsi verso Lamartine il quale si mosse subito e mi venne incontro. Egli era accasciato, disfatto, la barba incolta, l'abito in disordine e tutto polveroso. Mi stese la mano: — Ah! buon giorno, Hugo! Ecco il dialogo che intavolammo, e del quale la minima parola è ancora impressa nella mia mente. — Dove andiamo a finire, Lamartíne!?... — Noi siamo f....! — Che cosa intendete di dire? — Voglio dire che fra un quanto d'ora l'assemblea sarà invasa. (Di fatti, una colonna d'insorti giungeva dalla via di Lilla. Una carica di cavalleria, fatta a tempo, la disperdeva). — Ma come? E le truppe? — Non ne abbiamo! — Ma mercoledì passato voi mi avete detto, e me lo avete ripetuto anche ieri, che avevate a vostra disposizione sessantamila uomini! — Lo credevo! — Sta bene, ma non ci si abbandona così. Non siete soltanto voi che siete in gioco; c'è anche l'Assemblea; e non c'è soltanto l'Assemblea; c'è la Francia, c'è la civiltà intera. Perchè ieri non avete ordinato l'arrivo di tutte le guarnigioni, che sono a quaranta leghe di circuito?... Voi avreste riunito così circa quarantamila uomini. — Abbiamo ordinato anche questo. — Ebbene? — Le truppe non arrivano! Poi Lamartine mi condusse da una parte e mi disse: — Io non sono il ministro della guerra! In quel momento entrarono rumorosamente alcuni rappresentanti. L'Assemblea aveva votato lo stato d'assedio. Quei rappresentanti dissero ciò a Ledru-Rollin ed a Garnier Pages in poche parole. Lamartine si volse a metà verso loro ed a mezza voce esclamò: — Lo stato d'assedio!... Lo stato d'assedio!... Sta bene... se voi lo credete necessario, fate pure. Io non dico nulla. E si lasciò cadere sopra ad una sedia, ripetendo: — Lo stato d'assedio!... Non ho nulla da ripetere... nè si, nè no. Fate! Intanto mi si era avvicinato il generale Negrier. — Signor Victor Hugo, mi disse, vengo a tranquillizzarvi. Ho delle notizie da piazza Reale. — Ebbene, generale? — La vostra famiglia è salva... — Grazie! Sì, me l'hanno già detto. — Ma la vostra casa è incendiata. — E che cosa vuol dire?... Negrier mi serrò vivamente le braccia: — Vi capisco. Pensiamo ad una cosa sola: salviamo il paese! Quando feci per ritirarmi Lamartine si staccò dal gruppo e mi si accostò: — Addio, mi disse; ma non dimenticate questo: non mi giudicate troppo presto... Io non sono ministro della guerra! Il giorno prima, quando la sommossa cresceva, Cavaignac aveva detto a Lamartine: — Per oggi basta. Erano appena le cinque. — Come! esclamò Lamartine. Ma abbiamo ancora quattro ore dinanzi a noi. E la sommossa ne approfitterà, mentre noi perderemo il nostro tempo! Egli, da Cavaignac, non potè levar altro che queste parole: — Per oggi basta!... Per oggi basta!...
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Il 24, alle ore tre, nel momento più critico, un rappresentante del popolo, con la sua sciarpa, giunse alla mairie del secondo circondario, via Chauchat, dietro l'Opera. Lo si riconobbe subito. Era Lagrange. Le guardie nazionali lo circondarono. In un attimo il gruppo divenne minaccioso. — È Lagrange! Colui che ha scaricato la pistola! — Che cosa venite a fare quì?... — Siete un vile! — Andate dietro alle barricate, quello è il vostro posto! — I vostri sono là! — Via di quì! — Essi vi proclameranno loro capo! Andate! — Essi, almeno, sono onesti! Danno il loro sangue per le vostre follie. — E voi; voi avete paura! — Voi avete un triste dovere da compiere! — Via! Via! — Fuori! Fuori di quì! Lagrange tentò di parlare. Gli urli coprirono la sua voce. Ecco come quei furibondi accolsero quell'uomo che, dopo aver combattuto per il popolo, veniva ad offrirsi per la società.
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25 Giugno. Gl'insorti tiravano su tutta la lunghezza di quanto è lunga la via Beaumarchais, dall'alto delle case nuove. Molti si erano nascosti nel grande fabbricato in costruzione di faccia a via Galiote. Alcuni avevano messo alle finestre dei fantocci, fasci di paglia vestiti con delle blouses e coperti con dei berretti. Io scorgevo distintamente un uomo che, in una cucina, stava nascosto dietro la tendina dei cristalli, infranti. Era all'angolo del quarto piano della casa che fa fronte alla via Pont-aux-Choux. Quell'uomo prima di tirare osservava attentamente... e uccideva un monte di persone. Erano le tre. I soldati e la milizia mobile correvano sui tetti del boulevard del Tempio e rispondevano al fuoco. Si era gettato un obice dinanzi alla Gaité per demolire la casa de la Galiote e percorrere tutto il boulevard. Credetti di dover tentare uno sforzo per far cessare, se era possibile, l'effusione del sangue, e m'avanzai fino all'angolo della via d'Augoulème. Quando stavo per passare la piccola torricella ch'è là vicina, una scarica di fucili mi assalì. La torricella fu crivellata di palle dietro a me. Era coperta di avvisi di teatro stracciati dai colpi di moschetto. Staccai un pezzo di manifesto per ricordo. L'avviso al quale apparteneva annunziava per quella stessa domenica una festa al Castello dei Fiori, con diecimila fanali.
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Da quattro mesi noi viviamo in una fornace. Ciò che mi consola è che la statua dell'avvenire sarà fatta. Soltanto questo bracere può fondere un tal bronzo.
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2 Alla fine del Giugno 1848, quattro mesi dopo la proclamazione della Repubblica, il lavoro regolare si era fermato, e gl'inutili laboratori detti laboratori nazionali erano soppressi dall'Assemblea Nazionale. La miseria fece allora scoppiare una delle più formidabili insurrezioni che abbia registrate la storia. Il potere era in quel momento nelle mani di una Commissione esecutiva di cinque membri: Lamartine, Arago, Ledra-Rollin, Garnier-Pages e Marie. Il generale Cavaignac era ministro della guerra. |
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