Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Victor Hugo Lotte sociali IntraText CT - Lettura del testo |
|
|
XII.
La spedizione di Roma8
On. Victor Hugo: — (Profondo silenzio:) Signori, io entro subito nella questione. Una parola del ministro degli affari esteri che, secondo il mio giudizio, interpretava male e al di fuori del vero, il voto emesso dall'Assemblea costituente, m'impone il dovere, avendo votato la spedizione romana, di ristabilire l'origine dei fatti. Nessun dubbio, nessun'ombra deve rimanere su quel voto che ha creato e che farà nascere ancora molti avvenimenti. In un affare così grave, io penso come l'on. relatore, è assolutamente necessario di precisare il punto dal quale noi siamo partiti perchè si giudichi meglio il punto a cui siamo arrivati. Signori, dopo la battaglia di Novara, il progetto della spedizione di Roma fu presentato alla defunta Assemblea nazionale. Il generale Lamoricière salì a questa tribuna e ci disse: — L'Italia ha perduto la sua battaglia di Waterloo — io cito il sunto delle parole che voi potrete benissimo riscontrare nel Monitore — l'Italia ha perduto la sua battaglia di Waterloo; l'Austria è padrona dell'Italia, padrona della situazione; l'Austria marcia su Roma come marciò su Milano, ed ella va a fare a Roma ciò che ha fatto a Milano, ciò che ha fatto dappertutto; proscrivere, imprigionare, fucilare, condannare. Volete che la Francia assista con le braccia incrociate a questo spettacolo? Se voi non lo volete, prevenite l'Austria e marciate su Roma. L'on. presidente del consiglio gridò: — La Francia deve andare a Roma per salvaguardare la libertà e l'umanità! — Ma il generale Lamoricière aggiunse: — Se noi non potremo salvare la repubblica, salviamo almeno la libertà! — La spedizione romana fu votata. L'Assemblea costituente non esitò punto, o signori. Ella votò la spedizione romana col fine della umanità e della libertà indicate dallo stesso presidente del consiglio; ella votò la spedizione romana col fine di contrappesare la battaglia di Novara; ella votò la spedizione romana per mettere la spada della Francia dove stava per cadere la spada dell'Austria (agitazione), votò la spedizione romana...... io insisto su questo punto: non una parola di più fu detta, non una spiegazione di più fu data se vi furono dei voti con una certa restrizione mentale, lo ignoro (si ride)... — l'Assemblea costituente votò, noi votammo la spedizione romana perchè non si dicesse che la Francia era assente, quando da una parte, l'interesse dell'umanità, dall'altra, l'interesse della sua grandezza, la chiamavano. La chiamavano per tutelare contro l'Austria Roma e gli uomini impegnati nella repubblica romana; contro l'Austria la quale, nella guerra che essa fa alle rivoluzioni, ha l'abitudine di disonorare tutte le sue vittorie, se vittorie possono chiamarsi quelle che ella macchia con inqualificabili indegnità! (Scoppio fragoroso di applausi a sinistra. Violenti proteste a destra. — L'oratore si volge da quella parte). Voi gridate?... Questa espressione così debole la trovate troppo forte?!... Ah! certe indignazioni fanno allora scoppiare dal mio cuore la collera che contenevo! Come? la tribuna inglese ha diffamato questi fatti fra gli applausi di tutti i partiti, e la tribuna di Francia sarà meno libera della tribuna d'Inghilterra?! Ascoltate!... (Ascoltate! Ascoltate!) Ebbene! io lo dichiaro; vorrei che in questo momento, da questa tribuna echeggiasse una voce così robusta, che bollando le tasse, le estorsioni di denaro, le spogliazioni, le fucilate, le esecuzioni in massa, le bastonate date alle donne, bollando tutte queste infamie, mettesse il governo austriaco alla gogna di tutta l'Europa! (Uragano d'applausi). Per conto mio, intanto, soldato oscuro, ma devoto all'ordine e alla civiltà, rigetto con tutta la forza del cuore indignato, quei barbari che rispondono al nome di Radetzki e di Haynau (agitazione) i quali pretendono anch'essi di servire la santa causa della civiltà facendole l'abbominevole ingiuria di difenderla con la barbarie!... (Nuove acclamazioni). Io venni qui, o signori, —per ricordarvi per quali ragioni la spedizione di Roma fu votata. Lo ripeto: volli compiere un dovere. L'Assemblea costituente non esiste più, essa non è più al suo posto per potersi difendere; il suo voto adesso si trova nelle vostre mani, per così dire; è affidato alla vostra discrezione; a questo voto potrete unire tutte le conseguenze che vi piaceranno. Ma se accadesse che queste conseguenze fossero fatali all'onore del mio paese, io avrò per lo meno messa in luce e ristabilita la intenzione puramente umana e liberale dell'Assemblea costituente, e l'idea della spedizione protesterà contro il resultato della spedizione stessa. (Bravo). Intanto, come la spedizione abbia deviato dal suo fine, voi tutti lo sapete; io non insisto, trascorro rapidamente su dei fatti compiuti che deploro, e giungo alla situazione. La situazione, eccola: Il due giugno l'armata è entrata in Roma. Il papa è stato restaurato puramente e semplicemente; bisogna bene che io lo dica. (Agitazione). Il governo clericale, che io distinguo assai dal governo pontificio come viene inteso dagli uomini eletti, e quale Pio IX, in un certo momento sembrava lo avesse inteso, il governo clericale è ristabilito a Roma. Un triumvirato è stato rimpiazzato da un altro. Gli atti di questo governo clericale, gli atti di questi tre cardinali, voi li conoscete e io non ho bisogno di dettagliarveli; mi sarebbe difficile enumerarli senza classificarli, e io non voglio irritare questa discussione. (Risa ironiche a destra). Mi basterà dire che fin dai suoi primi momenti l'autorità clericale, abbandonata alla reazione, e animata dallo spirito più cieco e più funesto, ferì gli uomini i più generosi e i più saggi, ed allarmò tutti gli amici intelligenti del pontefice e del papato. Fin qui, da noi, l'opinione fu commossa. Ogni atto di questa autorità fanatica, violenta, ostile a noi medesimi, sconcertò, in Roma l'armata, ed in Francia la nazione. Si domandò allora se era per questo che eravamo andati a Roma; e se la Francia faceva laggiù una parte degna di lei. Gli sguardi inquieti dell'opinione cominciarono a volgersi verso il nostro governo. (Sensazione). È a questo punto che una lettera apparve, lettera scritta dal presidente della repubblica ad uno dei suoi ufficiali d'ordinanza inviato in missione a Roma. On. Desmousseaux de Givrè: — Domando la parola. (Si ride). Victor Hugo: — Sodisfo subito l'on. Givrè. Signori, per dire tutto intero il mio pensiero, invece di quella lettera, avrei preferito un atto del governo deliberato in Consiglio. De Givrè: —Niente affatto! Niente affatto!... Io non sono di cotesta opinione! (Risate prolungate). Victor Hugo: — Io dico il mio, dei pensieri, e non il vostro! Io, dunque, avrei preferito a quella lettera un atto del governo. Quanto alla lettera stessa, l'avrei voluta più vagliata, più meditata; ogni sua parola doveva essere pesata; la più leggera traccia di leggerezza in un atto grave crea degl'imbarazzi; ma, così m'è, quella lettera, io lo constato, fu un fatto. Perchè?... Perchè essa non era altro che una manifestazione dell'opinione, perchè dava sfogo al sentimento nazionale, perchè rendeva a tutto il mondo il servizio di gridare molto alto ciò che ognuno pensava; perchè, infine, quella lettera, anche nella sua forma incompleta, conteneva tutta una politica. (Nuova agitazione). Essa dava una base ai negoziati in corso; dava alla santa sede, nel suo interesse, dei consigli utili e delle indicazioni generose; domandava le riforme e l'amnistia; tracciava al papa, al quale noi abbiamo reso il servizio, forse troppo grande, di restaurarlo senza prima aspettare di sapere se il suo popolo lo reclamava... (sensazione prolungata) tracciava al papa il programma serio di un governo della libertà, e dico governo della libertà perchè non so chiamare in altro modo un governo liberale... (Risa, approvazioni). Qualche giorno dopo quella lettera, il governo clericale, questo governo che noi abbiamo richiamato, ristabilito, rialzato; che noi proteggemmo e che proteggiamo anche in questo momento, e che deve a noi la sua attuale esistenza, il governo pubblicava la sua risposta. Questa risposta è il Motu proprio, con l'amnistia per proscritto. Vediamo adesso che cos'è questo Motu proprio. (Profondo silenzio). Signori, io non parlerò, in qualunque caso, del capo della cristianità, altro che con un profondo rispetto; io non dimentico di avere in un'altra sede, glorificato il suo avvento; io sono di coloro che credettero vedere in lui, a quell'epoca, il più magnifico dono che la provvidenza può fare alle nazioni, un grand'uomo in un papa. Aggiungo che adesso, la pietà si è aggiunta al rispetto. Pio IX, oggi, è più disgraziato di prima; io sono convinto ch'egli è restaurato, ma non è libero. Io non lo incolpo dell'atto inqualificabile emanato dalla sua cancelleria, ed è questo che mi da il coraggio di gridare da questa tribuna, sul Motu proprio, tutta la mia opinione. Lo farò con due parole. L'atto della cancelleria romana ha due facce; il lato politico che regola le questioni di libertà, e quello che io chiamerò il lato caritatevole, il lato cristiano, che regola le questioni di clemenza. In fatto di libertà politiche la santa sede non accorda niente. In fatto di clemenza, ella accorda meno ancora; accorda la proscrizione in massa. Soltanto ha la bontà di dare a questa proscrizione il titolo d'amnistia. (Risa e lunghi applausi). Ecco, o signori, la risposta data dal governo clericale alla lettera del presidente della repubblica. Un gran vescovo ha detto, in un libro rimasto famoso, che il papa ha sempre ambo le mani aperte, e che dall'una cade incessantemente sul mondo la libertà, dall'altra la misericordia. Voi lo vedete: il pontefice ha chiuso le sue mani. (Sensazione). Tale è, o signori, la situazione. Essa è tutta intera in questi due fatti, la lettera del presidente ed il Motu proprio, vale a dire la domanda della Francia e la risposta della santa sede. È su questi due fatti che voi potete pronunziarvi. Per quanto si faccia, per quanto si dica per attenuare la lettera del presidente, per allargare il Motu proprio, un gran vuoto li separa. L'uno dice si, l'altro dice no. (Bravo! bravo! Si ride) È impossibile uscire dal dilemma posto dalla forza degli avvenimenti; bisogna assolutamente dar torto ad uno dei due. (È questo!) Voi avete dinanzi, da una parte il presidente della repubblica reclamante la libertà del popolo romano a nome della grande nazione che da tre secoli spande a fasci la luce ed il pensiero sul mondo civilizzato; e avete dall'altra, il cardinale Antonelli che rifiuta a nome del governo clericale. Scegliete! Secondo la scelta che voi farete, io non esito a dirlo, l'opinione della Francia si separerà da voi o vi seguirà. Quanto a me, io non posso credere che la vostra scelta sia dubbia. Qualunque sia l'attitudine del gabinetto, qualunque cosa, dica il rapporto della commissione, qualunque cosa sembri pensare qualche membro influente della maggioranza, è bene tener presente che il Motu proprio è sembrato poco liberale perfino al gabinetto austriaco, e io spero che non ci mostreremo più sodisfatti del principe di Schwartzenberg. (Lungo scoppio di risa). Voi siete qui, o signori, per riassumere e tradurre in atti ed in leggi l'alto buon senso della nazione; voi non vorrete unire un brutto futuro a questa grave ed oscura questione d'Italia, voi non vorrete che la spedizione di Roma sia, per il governo attuale, ciò che fu la spedizione di Spagna per la restaurazione. (Sensazione). Non lo dimentichiamo; di tutte le umiliazioni, quelle che la Francia subisce meno volentieri, sono le umiliazioni che le giungono attraverso l'armata. (Viva emozione). In qualunque caso io scongiuro la maggioranza di riflettere; è un'occasione decisiva, per lei e per il paese, ed ella assumerà con questo voto un'alta responsabilità politica. Mi addentro ancora meglio nella questione, o signori. Riconciliare Roma col papato, far tornare, con l'adesione popolare, il papato in Roma; rendere questa grande anima a questo gran corpo; tale deve essere oramai, allo stato a cui i fatti compiuti hanno condotto la questione, l'opera del nostro governo; opera difficile, senza dubbio, a causa della irritazione e dei malintesi, ma possibile ed utile alla pace del mondo.9 Ma per far questo è necessario che il papato dal canto suo ci aiuti e si aiuti. Da troppo tempo egli rimane lontano dallo spirito umano e da tutti i progressi del continente. Bisogna che egli comprenda il suo popolo ed il secolo. (Esplosione di mormorii a destra. Lunga e violenta interruzione). Victor Hugo: — Voi mormorate! voi m'interrompete... A destra: — Sì! noi neghiamo quello che voi dite! Victor Hugo: — Ebbene, allora io dirò quello che volevo tacere! Colpa vostra! (Fremito d'attenzione nell'Assemblea). Ma come?!... In Roma, in quella Roma che ha per tanto tempo guidato luminosamente i popoli, sapete voi, o signori, a qual punto si trova la civilizzazione?... Niente legislazione, o, per meglio dire, per tutta la legislazione non so qual caos di leggi feudali e monastiche le quali producono fatalmente la barbarie nei giudizi criminali e la venalità nei giudizi civili. Soltanto a Roma, quattordici tribunali eccezionali! (Applausi — Parlate! Parlate!) Dinanzi a questi tribunali, nessuna garanzia, d'alcun genere, per chicchesia! Le sedute sono segrete, la difesa orale è proibita. Dei giudici ecclesiastici giudicano le cause laiche e le persone laiche! (Agitazione). Io continuo! L'odio al progresso in tutte le cose. Pio VII aveva creato una commissione speciale per la vaccinazione. Leone XII l'ha abolita! Che cosa posso dirvi? La confisca, legge di stato; il diritto d'asilo in vigore, gli ebrei ammonticchiati e chiusi tutte le sere come nel quindicesimo secolo; una confusione inaudita ed il clero mischiato dappertutto! I curati scrivono i rapporti di polizia. I custodi della pubblica ricchezza, del denaro pubblico, non debbono render conto al tesoro, ma a Dio solo. (Lungo scoppio di risa). Io continuo! (Parlate! Parlate!) Due censure pesano sul pensiero, la censura politica e la censura clericale; l'una strangola l'opinione, l'altra chiude le coscienze. (Profonda sensazione). Si è ristabilita la inquisizione... Io so bene che mi si dirà che la inquisizione non è più che un nome; ma è un nome orribile ed io non mi fido, poichè all'ombra di un cattivo nome non possono crescere che delle cattive cose! (Esplosione di applausi). Ecco qual'è la situazione di Roma. Tutto questo non è una condizione di cose mostruosa?!... (Sì! Sì! Sì!) Signori, se voi volete che la riconciliazione di Roma col papato si compia bisogna che questo stato di cose finisca! Bisogna che il papato, lo ripeto, comprenda il suo popolo e comprenda il secolo; bisogna che lo spirito del vangelo penetri e distrugga la morta gora di tutte queste istituzioni divenute barbare. Bisogna che il papato spieghi questa doppia bandiera cara all'Italia: secolarizzazione e nazionalità! Bisogna che il papato, io non voglio dire che prepari, ma, per lo meno, si comporti in modo da non respingere gli alti destini che lo aspettano nel giorno, giorno inevitabile, della liberazione e dell'unità d'Italia. (Esplosione di: Bravo!) Bisogna infine che egli si guardi dal suo peggior nemico; ora, il peggior nemico suo, non è lo spirito rivoluzionario; è lo spirito clericale. Lo spirito rivoluzionario non può che rialzarlo; lo spirito clericale può ucciderlo! (Rumori a destra. — Bravo! a sinistra). Ecco, o signori, in qual senso il governo francese dovrebbe influire sul governo romano. Ecco in qual senso io vorrei una clamorosa manifestazione dell'Assemblea, la quale, respingendo il Motu proprio e adottando la lettera del presidente, darebbe alla nostra diplomazia un forte punto d'appoggio. Dopo quello che la Francia ha fatto per la santa sede, ella ha il diritto di far conoscere e d'inspirare le proprie idee. Certo, si avrebbe anche quello d'imporle! (Proteste alla destra). Voci diverse: — Imporre le vostre idee?... Ah, ah! Provatevi!... Victor Hugo: — Mi s'interrompe ancora? ... Imporre le vostre idee, mi si dice; ma lo pensate davvero?... Voi, dunque, volete contradire il papa?... Come farete per contradire il pontefice?... Signori, se noi volessimo davvero contradire il papa, chiuderlo nel Castel S. Angelo, oppure condurlo a Fontainebleau.... (Al ricordo dell'opera di Napoleone I, i napoleonidi del «piccolo» balzano come offesi dalla vipera. Grida e proteste)... l'obiezione sarebbe seria e la difficoltà molta. Sì, ne convengo senza esitare, il contrasto sarebbe malagevole viso a viso con un tale avversario; la forza materiale si piega e si torce di fronte alla potenza spirituale. I battaglioni non possono nulla contro i dogmi; io dico questo... per una parte dell'Assemblea, e aggiungo, per l'altra parte, che non possono nulla nemmeno contro le idée. (Sensazione). Esistono due chimère ugualmente assurde, e sono; l'oppressione di un papa e la compressione di un popolo! (Nuovo mormorio). Certo io non desidero che si scelga la prima di queste chimère; ma manca forse la maniera di sconsigliare il papa di tentare la seconda?... Ma come! signori. Il papa abbandona Roma al braccio secolare?... L'uomo che dispone dell'amore e della fede ricorre alla forza brutale, come se egli non fosse altro che un disgraziato principe temporale?... Lui, l'uomo della luce, vuol gettare il suo popolo nella notte? Non potete avvertirlo? Il pontefice viene spinto in una voragine fatale; lo si consiglia ciecamente a fare il male; non possiamo noi consigliarlo a fare il bene?... (È vero!) Vi sono dei momenti, e questo è uno di quelli, nei quali un grande governo deve parlar chiaro e forte. Seriamente, tuttociò, è contradire il papa? è violentarlo?... (No! no! a sinistra. — Sì! Sì! a destra). Ma voi stessi, voi che fate delle obiezioni, non siete contenti che a metà, dopo tutto; il rapporto della commissione ne conviene, voi avete ancora molte altre cose da chiedere al santo padre. I più sodisfatti fra voi vogliono un'amnistia. Se egli rifiuta, come vi comporterete? La esigerete questa amnistia? La imporrete?... si o no?... (Sensazione) Una voce a destra: — No! (Agitazione). Victor Hugo: — No?! Allora voi lascerete il patibolo inalzarsi a Roma?... presenti voi, all'ombra della bandiera francese?... (Fremito su tutti i banchi. — Volto alla destra:) Ebbene; io lo dico a onor vostro; voi non lo farete! Quella parola imprudente io non l'accetto; non è uscita dai vostri cuori! (Violento tumulto a destra). La stessa voce: —Il papa farà ciò che vorrà; noi non lo contradiremo! Victor Hugo: — Ebbene! allora lo contradiremo noi! e se egli rifiuta l'amnistia, noi glie la imporremo! (Lungo applauso a sinistra). Permettete, o signori, che io termini con una considerazione, che vi colpirà, lo spero, poichè essa è fatta unicamente nell'interesse francese. Indipendentemente dalla cura del nostro onore, indipendentemente dal bene che noi vogliamo fare, secondo il partito verso il quale incliniamo, sia per il popolo romano, sia per il papato, noi abbiamo a Roma un interesse serio, pressante, sul quale saremo tutti d'accordo; e tale interesse eccolo qua, è questo: bisogna venir via il più presto possibile. (Denegazioni a destra). Noi abbiamo interesse a che Roma non diventi un'altra Algeria. (Agitazione. — A destra: Bah!) con tutti gl'inconvenienti dell'Algeria stessa senza il compenso di essere una conquista ed un nostro possedimento; una specie d'Algeria, dico, dove manderemo all'infinito i nostri milioni e i nostri soldati, quei soldati che la frontiera reclama e quei milioni de' quali le nostre miserie hanno tanto bisogno (Bravo! a sinistra. — Mormorio a destra) e dove saremo costretti di bivaccare, fino a quando?... Dio solo lo sa! sempre all'erta, sempre con gli occhi aperti, paralizzati a metà in causa delle complicazioni europèe. Il nostro interesse, io lo ripeto, non appena l'Austria avrà abbandonato Bologna, è di venir via da Roma il più presto possibile! (È vero! È vero! a sinistra. Denegazioni a destra). Ebbene; per potere evacuare Roma, qual'è la prima condizione? Essere sicuri che non ci lasciamo dietro una rivoluzione. E che cosa occorre fare, per non lasciarci alle spalle una rivoluzione?... Bisogna procurare di farla terminare mentre ci siamo. Ora, come finisce una rivoluzione?... Io ve l'ho già detto una volta e torno a ripeterlo: finisce accettandola in quello che ella ha di vero, sodisfacendola in quello che ha di giusto! (Agitazione). Il nostro governo lo ha già pensato, e io lo lodo, ed è in questo senso che il suo giudizio deve pesare nel governo del papa. Da questo la lettera del presidente. La santa sede pensa il contrario; vuole, anche lei, terminare la rivoluzione, ma con un altro mezzo, con la compressione, ed ha regalato il Motu proprio. Ora che cosa è accaduto?.... Il Motu proprio e l'amnistia, questi calmanti così efficaci, hanno sollevato la indignazione del popolo romano; nell'ora in cui siamo, un'agitazione profonda turba Roma ed il ministro degli affari esteri non mi smentirà. Domani, se noi abbandoniamo Roma, appena le porte saranno chiuse dietro alle spalle dei nostri soldati, sapete voi che cosa accadrà? Scoppierà una rivoluzione, più terribile della prima, e tutto sarà da ricominciare. (Sì! Sì! a sinistra. — No! no! a destra). Ecco, o signori, la situazione che il governo clericale si è creata e ci ha creato! Ma proprio?! voi non avete il diritto d'intervenire, e d'intervenire energicamente dando un ultimo colpo, in una situazione che dopo tutto è anche la vostra?.... Voi vedete che il sistema adottato dalla santa sede per terminare le rivoluzioni è cattivo; ebbene, sceglietene un altro, scegliete quello buono che io sto per accennarvi. Sta a voi giudicare se vi sentite la forza di mantener sulle spalle uno stato d'assedio fuori di casa vostra! Sta a voi giudicare se vi conviene che la Francia sia un Capitolo per ricevere la consegna del partito nero. Quanto a me io non lo voglio; io non voglio nè umiliazioni per i nostri soldati, né questa rovina per le nostre finanze, nè questo abbassamento morale per la nostra politica! (Sensazione). Signori; due metodi sono difronte: il metodo delle sagge concessioni che vi permette di abbandonare Roma; il sistema della repressione che vi condanna a restare. Quale preferite voi? Un'ultima parola, o signori. Pensateci: la spedizione di Roma, irreprensibile al suo punto di partenza, credo di averlo dimostrato, può diventare colpevole per il resultato. Voi non avete che una sola maniera per provare che la costituzione non è stata violata, ed è quella di mantenere la libertà del popolo romano! (Agitazione vivissima). E, su questa parola libertà, niente equivoci! Noi, ritirandoci dobbiamo lasciare in Roma, non la tale o tal'altra franchigia municipale, vale a dire quello che press'a poco quasi tutte le città italiane avevano nel medio evo, ma il vero e proprio progresso! (Si ride. — Bravo!) la libertà vera, la libertà seria, la libertà propria al diciannovesimo secolo, la sola che possa veramente essere garantita da colui che si chiama popolo francese a colui che si chiama popolo romano, quella libertà che illumina i popoli che nascono e rialza i popoli che cadono, vale a dire la libertà politica. (Sensazione). E non ci si venga a dire, con delle circonlocuzioni e senza nulla provare, che queste transazioni liberali, che questo sistema di concessioni sagge, che questa libertà funzionante alla presenza del papato, sovrana nell'ordine spirituale, limitata nell'ordine temporale, non è possibile! Io, allora risponderò: signori, ciò che non è possibile non è questo! Ciò che non è possibile ve lo dirò io. Ciò che non è possibile si è che una spedizione intrapresa, così dicevano, con un principio di umanità e di libertà, termini col ristabilire il santo ufficio! Ciò che non è possibile si è che noi non si debba aver portato anche a Roma quelle idee generose e liberali che la Francia porta seco dappertutto nelle pieghe della sua bandiera! Ciò che non è possibile si è che dal nostro sangue versato non esca nè un diritto nè un perdono! si è che la Francia sia andata a Roma e che alla vista del patibolo sia passata oltre come l'Austria! Ciò che non è possibile è l'accettazione del Motu proprio, è l'amnistia del triunvirato dei cardinali! è di subire tanta ingratitudine, tanto smacco, tanto affronto! è di lasciare schiaffeggiare la Francia dalla mano che dovrebbe benedirla! (Lunghi applausi). Ciò che non è possibile si è che questa Francia abbia impegnato una delle cose le più grandi e le più sacre ch'esistano al mondo, la sua bandiera; si è ch'ella vi abbia impegnato ciò che non è nè meno grande nè meno sacro, la sua responsabilità morale di fronte alle nazioni, si è che ella vi abbia prodigato il suo denaro, il denaro del popolo che soffre; si è che ella vi abbia versato, io lo ripeto, il glorioso sangue dei suoi soldati; si è che ella abbia fatto tutto questo per nulla!... (Sensazione profonda). Sbaglio: che la Francia lo abbia fatto per l'onta! Ecco quello che non è possibile! (Esplosione di bravo e di applausi. L'oratore scende dalla tribuna e riceve i complimenti di una vera folla di rappresentanti, fra' quali si notano gli on. Dupin, Cavaignac e La Rochejaquelein. La seduta è sospesa per venti minuti).
|
8 Il triste episodio della spedizione contro Roma è troppo conosciuto perchè sia necessario spendere un lungo commento per questo discorso. Tutti sanno che l'Assemblea Costituente che precedette l'Assemblea Legislativa in Francia, aveva votato un credito di 1.200,000 fr. per le prime spese di un corpo di spedizione destinato all'Italia, sotto la esplicita dichiarazione del potere esecutivo che quella forza doveva soltanto servire per proteggere la penisola dall'invasione dell'Austria. E si ricorda anche che udendo la notizia dell'attacco a Roma fatto dalle truppe del generale Oudinot, l'assemblea costituente votava un ordine del giorno col quale prescriveva al potere esecutivo di ricondurre la spedizione al suo primo scopo. Dal giorno che fu riunita l'Assemblea legislativa, questa fece subito comprendere che avrebbe veduto volentieri la distruzione della Repubblica Romana, e dette ordine al generale Oudinot di attaccare Roma e di invaderla coûte que coûte. La città fu presa e il papa restaurato. Il presidente della Repubblica francese, Luigi Bonaparte, scriveva al suo aiutante di campo Edgard Ney, una lettera che fu pubblicata dove egli manifestava il desiderio di ottenere dal pontefice Pio IX delle istituzioni favorevoli al popolo degli Stati romani. Il papa non tenne alcun conto di questa raccomandazione fattagli dal suo restauratore, e pubblicò una bolla che consacrava il più assoluto e dispotico governo clericale in tutti i suoi domini temporali. La questione romana, già molte volte dibattuta nel seno dell'Assemblea legislativa francese, vi fu discussa di nuovo nelle sedute del 18 e 19 ottobre 1849 a proposito di una domanda di crediti supplementari. Fu in questa discussione che l'on. Thuriot de la Rosiere, dichiarò che Roma e il papato erano proprietà indivisibili del papa. Victor Hugo sostenne, al contrario, la tesi giusta e santa «così cara all'Italia, disse egli, della secolarizzazione e della nazionalità.» 9 Nel 1849, il grande poeta li chiamava: malintesi. Più tardi, dopo Mentana, doveva anch'egli aprir gli occhi e dar loro un altro titolo. (N. D. T.) |
Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License |