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Erminio Juvalta
Il vecchio e il nuovo problema della morale

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  • Parte prima IL FONDAMENTO DELLA MORALE
    • Capitolo Quinto LA INVERSIONE DEI PROBLEMI RELATIVI AL FONDAMENTO DELLA MORALE
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Capitolo Quinto

LA INVERSIONE DEI PROBLEMI
RELATIVI AL FONDAMENTO DELLA MORALE

 

Ogni sforzo di derivare una valutazione morale da qualche cosa di cui non sia già riconosciuto il valore morale è dunque vano o illusorio. O non quel che si cerca, o presuppone quel che si pretende di fondare.

In realtà i valori morali o valgono per sé o sono tali in grazia di altri valori che valgono essi come morali per sé.

Epperò ogni ragionamento col quale si dimostri per esempio che un'azione è buona o giusta, si risolve o nel ricondurre quell'azione a una classe di azioni, a un modo di operare già riconosciuto come morale, o nel dimostrare che questa azione fu od è voluta come condizione o mezzo di attuazione di un valore morale.

I valori morali diretti e immediati, apprezzati e voluti per sé, sono dunque dati di una esperienza morale non riducibile ad altre forme di esperienza e i giudizi nei quali questa validità diretta e immediata è ammessa o riconosciuta, sono postulati di valutazione morale (postulati etici in proprio senso).

E una dottrina morale in quanto è sistema di valutazioni si fonda in ultimo sui postulati etici, espressi o sottintesi, di cui si assume che sia ammessa la validità: cioè che siano dati immediati della coscienza morale.

Quando sia chiaramente riconosciuta questa indipendenza, questa validità per sé o autoassia dei postulati etici, le costruzioni dottrinali rivolte a cercare fuori della morale un fondamento che essa né può trovare né ha bisogno di cercare altrove, prendono un carattere e un significato diverso se non opposto; e forse considerate da questo aspetto rivelano meglio la tendenza profonda che muove e avviva in forme sempre risorgenti di tentativi diversi, i tipi di costruzione morale esaminati nei capi precedenti.

L'idea centrale dell'intellettualismo morale di cercare il fondamento morale in una realtà obbiettivamente data, e, in una conoscenza di questa realtà, dei suoi gradi di entità e di perfezione, il criterio della valutazione morale, diventa, guardata da questo aspetto, un'espressione della tendenza profonda e incoercibile, di trovare nel valore il senso e la ragion d'essere della realtà, nel criterio morale la chiave della sua interpretazione; di commisurare la realtà alla dignità, e riconoscere come esistente veramente soltanto ciò che è degno di esistere, facendo del bene il solo vero reale, e del male un mancamento, un difetto di realtà, l'irreale.

 

Dietro il pensiero che muove i tentativi dell'utilitarismo sotto qualunque forma si presenti (non soltanto edonistico, ma estetico, noetico, umanitario, religioso) di trovare la ragione del valore morale in un bene supremo o maggiore o piú alto di ogni altro, che ne persuada l'utilità o ne giustifichi l'autorità, appare la convinzione che anche sotto il rispetto soggettivo della felicità (per l'uomo patologico, direbbe il Kant) non è in ultimo veramente bene se non ciò che è morale, o ciò a cui la moralità apre la via.

Tutto ciò che ha valore, in quanto ha valore davvero, non può contrastare, ma si accorda, deve accordarsi coi valori morali, consistere in questi, o essere — in ultimocondizionato da questi.

 

E quando si tormenta la storia (storia esterna e storia interna della civiltà) per trovare nel processo di svolgimento, nella selezione subita o nel trionfo conquistato, i titoli di nobiltà che spieghino e legittimino l'autorità della morale, della nostra morale, si agita dietro l'acume e la sottigliezza delle indagini e sotto gli accorgimenti dell'induzione storica, il bisogno di trovare nella storia l'attuazione di un disegno etico, di fare dell'accadere storico un divenire morale, di confermare con l'esperienza morale del passato l'esperienza del presente, la nostra esperienza morale, la mia.

Come l'appello al consenso universale degli uomini, meglio che allo scopo di fondare su questo consenso la mia certezza morale, risponde alla esigenza che realmente abbiano valore per ogni coscienza quei valori che sono posti come universali dalla mia, e costituiscono non il mio soltanto, ma il patrimonio ideale piú prezioso di ogni uomo, dell'uomo.

 

E finalmente, quando dell'Autorità si cerca il fondamento in una Volontà superiore e distinta dalla volontà di ciascuno, che si impone a questa e ha il potere di obbligarla, l'esigenza a cui si obbedisce è quella stessa di cui si alimenta la coscienza del dovere: l'esigenza che il volere piú alto e il piú degno di autorità perché è il volere che pone i valori morali, sia nello stesso tempo un potere adeguato al compito suo, il potere piú forte10; sia, come il vero volere, cosí il supremo potere.

 

* * *

 

La forma generale, con la quale si presentano da questo punto di vista i problemi, è dunque inversa a quella nella quale sono posti e considerati nelle dottrine che cercano fuori della morale il fondamento della morale. Si tratta non già di vedere quale ragione d'essere, e d'esser tali piuttosto che altri o diversi, trovino i valori morali nella realtà che conosciamo, nei beni d'altro genere che desideriamo, nelle tradizioni e negli esempi del passato, nei giudizi dei contemporanei, nel comando di un Volere onnipotente; ma di vedere se e come sia possibile e sia legittimo costruire una realtà, graduare dei valori, interpretare la storia, pretendere il consenso, postulare una Volontà in cui si adegui il potere al volere, sul fondamento della certezza e validità immediata e diretta dei valori morali, e delle esigenze che essi implicano.

La formulazione generale di quei problemi dal punto di vista morale è dunque segnata da questo procedimento: Quali sono i valori morali; e quali sono le esigenze derivanti dalla loro posizione; se e quali postulazioni di ordine teoretico siano richieste a soddisfare queste esigenze; se e quale legittimità abbiano le postulazioni teoretiche fondate sopra di esse.

Ma qualunque cosa si pensi di questi problemi e delle loro soluzioni, sussiste, indipendente da ogni giudizio su di essi, e rimane stabilita chiaramente e incontestabilmente, la primarietà, la indipendenza, la autoassiomaticità delle valutazioni morali.

A fondamento dei giudizi morali non vi sono e non vi possono essere che dati e postulati di valutazione morale.






10 L'idea di «potere» è un elemento inespugnabile del concetto di volontà, perché la volontà è produzione, creazione, iniziativa. Dove si ravvisa o si presume che ci sia o ci debba essere una volontà, ivi si presume una forza (non è anzi la volontà la prima, e la sola forza, cioè attività che ci sia rivelata dall'esperienza diretta?); e una forza tanto maggiore quanto più grande e difficile è il compito che la volontà si pone.

Ed è perciò che questa forza appare nella forma più chiara, quando il volere morale si traduce in atto contro gli impulsi di ogni altro genere ed a prezzo dei più gravi sacrifici; è perciò che il sacrifizio è la prova più alta e la testimonianza più sicura (nell'espressione stupenda del Cristianesimo testimonio è il martire) della saldezza, della serietà del volere morale. Ed è anche per ciò che appare inevitabilmente pietoso o ridicolo un volere senza potere; e che il senso comune si fa beffe dei padri Zappata. Dei due elementi della volontà, la direzione consapevole e la forza, il senso comune è tratto senza esitazione a fare maggior stima della forza.

Ha torto? ha ragione?





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