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Erminio Juvalta
Il vecchio e il nuovo problema della morale

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  • Parte seconda LA PLURALITÀ DEI CRITERI MORALI
    • Capitolo Secondo LA DIVERSITÀ DEI CRITERI MORALI
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Capitolo Secondo

LA DIVERSITÀ DEI CRITERI MORALI

 

Non vi è una coscienza morale, ma vi sono, a rigor di termini, tante coscienze morali quante sono le coscienze personali nelle quali sono riconosciuti come supremi e normativi e validi indipendentemente dal flusso momentaneo e variabile delle valutazioni transitorie e accidentali, certi valori; ed è riconosciuta l'esigenza che il criterio di valutazione corrispondente possa valere non solo come norma costante del giudicare e del volere proprio, ma anche come norma costante del giudicare e del volere altrui; ossia come norma universale del giudicare e del volere di ogni persona.

Se si ammette o si suppone che quei certi valori siano per tutte le coscienze i medesimi, si può parlare della coscienza morale, come una ed identica non solo di forma, ma anche di contenuto; se si ammette il contrario, si deve riconoscere una pluralità di coscienze morali piú o meno discordanti e una pluralità di criteri di valutazione che si presentano alle diverse coscienze con la medesima autorità di valutazioni morali, cioè con la medesima forma.

Il fascino singolare che esercitò ed esercita la morale di Kant viene non dal suo formalismo per sé, ma dal fatto che, mentre spoglia e purifica la moralità da ogni fine materiale e quindi dal pericolo di ogni considerazione soggettiva, la dottrina è sostenuta e vivificata dalla fiducia salda e incrollabile che si debba riconoscere o si possa dimostrare che dentro quella forma cape, e non può capire che un solo contenuto; dietro quella legge si debbano trovare infallibilmente i fini che la coscienza morale riconosce come buoni, e quelli soltanto.

Ma s'è visto che lo sforzo è, e non poteva non essere, vano. Il criterio formale di Kant sembra convenire ad un solo e unico contenuto, a certi valori ed a quelli soltanto, perché si ammette già che la coscienza morale sia unica; che la sua voce non soltanto parli in ogni coscienza con lo stesso tono, ma dica le medesime cose.

In realtà il criterio formale non esprime che l'esigenza della razionalità: una legge non è legge se non è valida sempre nei medesimi casi; una norma non è suprema se non a patto che ogni altra norma sia subordinata ad essa; un criterio di valutazione non è piú un criterio, ma un capriccio, se i miei giudizi di valore non si accordano costantemente con quello; se io non riconosco legittimofatto da qualsiasi altro — il giudizio che quel criterio esigerebbe da me nel medesimo caso.

Ma è un'illusione credere che possa bastare la razionalità per sé a distinguere i valori dai non valori; i valori morali dai valori non morali, a farci riconoscere — senza appello diretto o indiretto a qualche dato o postulato non razionale — il valore di un oggetto qualsiasi (di un contenuto), ideale o reale.

Si governa non meno razionalmente l'avaro, quando giudica ed opera in ogni caso come se il danaro fosse l'unico bene per sé, il supremo bene, purché riconosca legittimo che ogni altro giudichi e operi allo stesso modo, di quel che faccia l'esteta quando ragguaglia ogni cosa a un ideale di bellezza, o l'intellettuale che non riconosca altro scopo degno alla vita che la ricerca della verità. E quando si dice o si crede di dimostrare che è «contrario alla ragione» non un giudizio apprezzativo che contraddice al criterio accettato, ma il criterio stesso come tale, non si può affermare o dimostrare questa contrarietà se non perché si sottintende che vi sono — cioè sono riconosciuti e desiderati — altri valori diversi, superiori o non subordinabili a quello dal quale è tratto il criterio in questione; e si trova contrario alla ragione che non si tenga conto di quest'altri valori, che si giudichi e si operi come se questi non esistessero, o fossero inferiori mentre sono superiori, o incondizionati mentre sono condizionati.

Ma se si fa l'ipotesi che questi altri valori non siano tali per un Tizio che li ignora, qualsiasi istanza di irragionevolezza contro di lui cadrebbe a vuoto, anzi sarebbe essa irragionevole.

 

* * *

 

Adunque il criterio del Kant non supera, dato che ci siano, le differenze di contenuto valutativo.

Se in nome della mia coscienza morale io pongo il valore dell'umiltà, e in nome della propria coscienza morale un'altra persona lo nega, l'universalizzare le massime che rispondono alle due valutazioni opposte non mi fa avanzare d'un passo verso una soluzione del conflitto, se non a questa condizione: che io creda di poter dimostrare che una delle massime si accorda e l'altra contrasta con una terza massima nella quale è affermata l'esigenza di un volere riconosciuto o ammesso incontestabilmente come morale.

E si presenta inevitabilmente, senza che sia possibile eluderla, la domanda:

C'è o non c'è questa pluralità di contenuti discordanti nella valutazione morale?

C'è.

 

* * *

 

Si è osservato piú sopra (Parte I, Cap. ) che ogni oggetto ideale o contenuto di valutazione morale ha o può avere nello stesso tempo valore per altri rispetti, cioè può essere considerato come un valore di altra specie. Anzi è per questa relazione dei valori morali con valori di ordine diverso che si è cercato e si è creduto di poter trovare il fondamento della valutazione, la ragione d'essere del valore morale in una finalità di natura edonistica (egoistica o altruistica) o noetica o estetica o religiosa.

Se si considera una tale rivalutazione eterogenea come pretesa di far valere — con questa e per questa ragione — per morale, un valore che non sia già sentito come morale, il tentativo, è come s'è visto, del tutto illusorio.

Ma se si considera, al contrario, come espressione di una finalità che può assumere in questa o quella coscienza importanza prevalente, che può o potrebbe — all'infuori del carattere specifico di eticità per il quale è posto da quella stessa coscienza come valore moraleessere sentita come superiore in pregio ai fini di ogni altro ordine, e degno di subordinarli, essa contiene in sé la ragione capitale della diversità e discordanza dei fini e dei criteri, che pretendono di valere ciascuno come supremo nella valutazione del contenuto proprio dei valori morali.

L'esteta si foggia un suo modo ideale di bellezza per il quale i valori si ordinano da sé in una scala determinata dalle connessioni di inerenza e di condizionalità degli altri valori, con i valori estetici; e il mistico un ideale di santità, al quale subordina gli altri valori, accogliendoli e graduandoli in quanto convengono, negandoli in quanto disconvengono; e cosí lo spirito contemplativo che ama sopra ogni cosa la verità, e cosí l'egoista calcolatore e l'altruista generoso.

I valori che, per essere morali, hanno già una validità e un'autorità intrinseca che li distingue dagli altri valori, si vestono di necessità nella coscienza dell'esteta del mistico e cosí degli altri, di quel particolare colore, che li fa sentire e riconoscere rispettivamente come valori estetici, religiosi, noetici e via dicendo; e se continuano a valere per la forma come morali, valgono — per il contenuto — soprattutto come valori di quell'ordine che è nella coscienza il dominante. Basta per convincersene badare alle differenze caratteristiche della motivazione, con la quale ciascuno dei tipi di coscienza supposto giustifica a sé e agli altri il valore che riconosce, poniamo, alla temperanza, o alla forza di volontà, o alla veracità, o ad altra virtù.

Ora questo coincidere e fondersi, quanto al contenuto, del valore morale col valore dell'ordine che esprime l'orientamento prevalente della coscienza — anche quando non è in giuoco la valutazione etica — non solo conduce alla transvalutazione notata, ma tende a indurre insieme un processo di transvalutazione inversa; cioè a dar colore e calore di convinzione e di apprezzamento morale ai valori di quell'ordine, a riconoscerli come morali e a pretendere che siano riconosciuti per tali anche dalle persone, nelle quali non si afferma il medesimo orientamento.

Ed è istruttivo (e non è sfuggito agli umoristi) il calore col quale parla di diritti offesi e rivendica gli interessi sacrosanti della giustizia l'egoista gretto che vede frustrato un suo piccolo calcolo ingegnoso che aveva a mala pena il pregio di non urtare nel Codice penale; e quello (sia pure di dignità fuor di paragone diversa) dell'artista, che grida allo scandalo e invoca un preciso dovere dello stato a reprimerla, se offenda il suo senso estetico, la trascuranza per un tronco di colonna dimenticato. E si potrebbe continuare, in modo anche piú evidente, per gli altri.

Cosí ciascuno degli orientamenti valutativi tende ad allargare nella direzione corrispondente la sfera dei valori morali, includendovi un contenuto proprio diverso, e non coestensivo al contenuto di ciascun altro. E perciò accade che i diversi sistemi di valutazioneanimati come sono e pervasi da un interesse tipicamente diverso — abbiano in realtà in comune soltanto una parte di quei valori che ognun d'essi, per l'esigenza sua propria, riconosce come morali; abbiano cioè comuni soltanto quei valori morali che sono nello stesso tempo valori diretti o indiretti del proprio genere, o che almeno non contrastano e non negano quella propria specifica esigenza. I diversi sistemi assomigliano cosí a cerchi eccentrici di vario raggio che si intersechino fra di loro; dei quali è minima la superficie comune a tutti, ed è sempre piú grande la parte d'estensione rispettivamente comune a un numero di cerchi minore; e in misura variabile, secondo che sono meno o piú eccentrici fra di loro.

 

* * *

 

D'altra parte, anche la coscienza nella quale l'orientamento tipico è dato dall'interesse stesso morale (la coscienza dell'homo ethicus) si trova a dover considerare nei valori estetici religiosi intellettuali economici il valore morale diretto o indiretto che assumono o possono assumere in grazia di relazioni analoghe a quelle considerate sopra (il valore p. es. che l'attività scientifica e l'estetica e le doti richieste e promosse da questa attività possono avere per la cultura morale).

E non solo: ma per la considerazione felicemente messa in evidenza dal Moore sul valore organico (il «quanto» per il quale il valore di un tutto eccede il valore di uno dei suoi fattori non è necessariamente eguale a quello del fattore che rimane: ethics, Cap. VII: Intrinsic value), si trova a dovere apprezzare diversamente l'oggetto ideale della valutazione morale, quando esso è nello stesso tempo oggetto di una valutazione diversa, intellettuale, per es., od estetica. (Non è senza significato anche per questo rispetto che il Sommo Bene sia stato identificato col Sommo Bello).

Si aggiunga finalmente (il «finalmente» chiude ma non esaurisce le osservazioni su questo proposito) che il carattere di interiorità dei valori morali, il quale si fa tanto piú spiccato quanto piú la coscienza personale è concepita come sorgente e creatrice autonoma dei valori, tende a staccare, anche nella coscienza dell'homo ethicus, il valore morale dagli schemi che esprimono una esteriore conformità alla valutazione, per riconoscere un pregio preminente alle note interiori di spontaneità, di libertà, di autonomia; il che porta ad estendere la dignità intrinseca dei valori morali anche a quegli altri valori spirituali nei quali splende un raggio di quelle medesime luci; e non tanto a distinguere i valori morali da altri valori spirituali, quanto a distinguere il contenuto interiore e spirituale dei valori dal contenuto esterno e materiale nel quale si traducono.

 

* * *

 

Cosí nella coscienza personale si attenua e si fa piú incerta, e trasmutabile per molti modi, la distinzione tra i valori morali e gli altri valori spirituali. In altri termini: mentre, si può dire a un dipresso, dal trionfo dell'etica cristiana fino al Kant la valutazione morale aveva avuto per le diverse coscienze della stessa civiltà e cultura un contenuto comune determinato e costante (e, in ogni caso, la parte di contenuto sulla quale cadeva il dissenso finiva per essere praticamente quasi trascurabile), a partire dalla «Dichiarazione dei diritti» della Rivoluzione francese, si delinea e si allarga nel campo della valutazione morale una sempre maggiore differenza di contenuto tra coscienza e coscienza; e si fa piú frequente e piú profondo il contrasto tra i criteri di valutazione rispettivamente accolti come supremi.

E i sistemi nei quali i valori morali sono ricondotti a un criterio intellettuale, o estetico, o religioso, o etnico, o umanitario, o filogenetico, o solidaristico, o egotistico, o quale altro si voglia, non sono piú, guardati per questo rispetto, tentativi dispersi, ma, per cosí dire, paralleli di giustificare o di «fondare» il valore di un medesimo contenuto; essi esprimono invece, nella parte forse maggiore e piú significativa, una diversità di contenuti contrastanti; e soltanto in parte un contenuto comune, che si colora pur esso diversamente, secondo la fiamma a cui si riscalda.

Perciò, considerata nell'interiorità della coscienza personale, la parte di contenuto etico nella quale essa sente di concordare colle altre non ha per sé autorità maggiore o diversa delle parti per le quali discorda. A meno che la coscienza stessa possa o debba riconoscere, senza abbandonare il proprio criterio di valutazione, una qualche differenza, se non di natura, di grado, tra quella e queste.





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