Non vi
è una coscienza morale, ma vi sono, a rigor di termini, tante
coscienze morali quante sono le coscienze personali nelle quali sono
riconosciuti come supremi e normativi e validi indipendentemente dal flusso
momentaneo e variabile delle valutazioni transitorie e accidentali, certi
valori; ed è riconosciuta l'esigenza che il criterio di valutazione
corrispondente possa valere non solo come norma costante del giudicare e del
volere proprio, ma anche come norma costante del giudicare e del volere altrui;
ossia come norma universale del giudicare e del volere di ogni persona.
Se si
ammette o si suppone che quei certi valori siano per tutte le
coscienze i medesimi, si può parlare della coscienza morale, come una ed
identica non solo di forma, ma anche di contenuto; se si ammette il contrario,
si deve riconoscere una pluralità di coscienze morali piú o meno discordanti e
una pluralità di criteri di valutazione che si presentano alle diverse
coscienze con la medesima autorità di valutazioni morali, cioè con la medesima
forma.
Il
fascino singolare che esercitò ed esercita la morale di Kant viene non dal suo
formalismo per sé, ma dal fatto che, mentre spoglia e purifica la moralità da
ogni fine materiale e quindi dal pericolo di ogni considerazione soggettiva, la
dottrina è sostenuta e vivificata dalla fiducia salda e incrollabile che si
debba riconoscere o si possa dimostrare che dentro quella forma cape, e non può
capire che un solo contenuto; dietro quella legge si debbano trovare
infallibilmente i fini che la coscienza morale riconosce come buoni, e quelli
soltanto.
Ma s'è
visto che lo sforzo è, e non poteva non essere, vano. Il criterio formale di
Kant sembra convenire ad un solo e unico contenuto, a certi valori ed
a quelli soltanto, perché si ammette già che la coscienza morale sia unica; che
la sua voce non soltanto parli in ogni coscienza con lo stesso tono, ma dica le
medesime cose.
In
realtà il criterio formale non esprime che l'esigenza della razionalità: una
legge non è legge se non è valida sempre nei medesimi casi; una norma non è
suprema se non a patto che ogni altra norma sia subordinata ad essa; un
criterio di valutazione non è piú un criterio, ma un capriccio, se i miei
giudizi di valore non si accordano costantemente con quello; se io non
riconosco legittimo — fatto da qualsiasi altro — il giudizio che quel criterio
esigerebbe da me nel medesimo caso.
Ma è
un'illusione credere che possa bastare la razionalità per sé a
distinguere i valori dai non valori; i valori morali dai valori non morali, a
farci riconoscere — senza appello diretto o indiretto a qualche dato o
postulato non razionale — il valore di un oggetto qualsiasi (di un
contenuto), ideale o reale.
Si
governa non meno razionalmente l'avaro, quando giudica ed opera in ogni caso
come se il danaro fosse l'unico bene per sé, il supremo bene, purché riconosca
legittimo che ogni altro giudichi e operi allo stesso modo, di quel che faccia
l'esteta quando ragguaglia ogni cosa a un ideale di bellezza, o l'intellettuale
che non riconosca altro scopo degno alla vita che la ricerca della verità. E
quando si dice o si crede di dimostrare che è «contrario alla ragione» non un giudizio
apprezzativo che contraddice al criterio accettato, ma il criterio
stesso come tale, non si può affermare o dimostrare questa contrarietà se
non perché si sottintende che vi sono — cioè sono riconosciuti e
desiderati — altri valori diversi, superiori o non subordinabili a
quello dal quale è tratto il criterio in questione; e si trova contrario alla
ragione che non si tenga conto di quest'altri valori, che si giudichi
e si operi come se questi non esistessero, o fossero inferiori mentre sono
superiori, o incondizionati mentre sono condizionati.
Ma se
si fa l'ipotesi che questi altri valori non siano tali per un Tizio che li
ignora, qualsiasi istanza di irragionevolezza contro di lui cadrebbe a vuoto,
anzi sarebbe essa irragionevole.
* * *
Adunque
il criterio del Kant non supera, dato che ci siano, le differenze di contenuto
valutativo.
Se in
nome della mia coscienza morale io pongo il valore dell'umiltà, e in nome della
propria coscienza morale un'altra persona lo nega, l'universalizzare le massime
che rispondono alle due valutazioni opposte non mi fa avanzare d'un passo verso
una soluzione del conflitto, se non a questa condizione: che io creda di poter
dimostrare che una delle massime si accorda e l'altra contrasta con una terza
massima nella quale è affermata l'esigenza di un volere riconosciuto o
ammesso incontestabilmente come morale.
E si
presenta inevitabilmente, senza che sia possibile eluderla, la domanda:
C'è o non
c'è questa pluralità di contenuti discordanti nella valutazione morale?
C'è.
* * *
Si è
osservato piú sopra (Parte I, Cap. 3°) che ogni oggetto ideale o contenuto di
valutazione morale ha o può avere nello stesso tempo valore per altri rispetti,
cioè può essere considerato come un valore di altra specie. Anzi è per questa
relazione dei valori morali con valori di ordine diverso che si è cercato e si
è creduto di poter trovare il fondamento della valutazione, la ragione d'essere
del valore morale in una finalità di natura edonistica (egoistica o
altruistica) o noetica o estetica o religiosa.
Se si
considera una tale rivalutazione eterogenea come pretesa di far valere
— con questa e per questa ragione — per morale, un valore che non sia già
sentito come morale, il tentativo, è come s'è visto, del tutto illusorio.
Ma se
si considera, al contrario, come espressione di una finalità che può assumere
in questa o quella coscienza importanza prevalente, che può o potrebbe —
all'infuori del carattere specifico di eticità per il quale è posto da quella
stessa coscienza come valore morale — essere sentita come superiore in pregio
ai fini di ogni altro ordine, e degno di subordinarli, essa contiene in sé la
ragione capitale della diversità e discordanza dei fini e dei criteri, che
pretendono di valere ciascuno come supremo nella valutazione del contenuto
proprio dei valori morali.
L'esteta
si foggia un suo modo ideale di bellezza per il quale i valori si ordinano da
sé in una scala determinata dalle connessioni di inerenza e di condizionalità
degli altri valori, con i valori estetici; e il mistico un ideale di santità,
al quale subordina gli altri valori, accogliendoli e graduandoli in quanto
convengono, negandoli in quanto disconvengono; e cosí lo spirito contemplativo
che ama sopra ogni cosa la verità, e cosí l'egoista calcolatore e l'altruista
generoso.
I
valori che, per essere morali, hanno già una validità e un'autorità intrinseca
che li distingue dagli altri valori, si vestono di necessità nella coscienza
dell'esteta del mistico e cosí degli altri, di quel particolare colore, che li
fa sentire e riconoscere rispettivamente come valori estetici, religiosi,
noetici e via dicendo; e se continuano a valere per la forma come
morali, valgono — per il contenuto — soprattutto come valori di
quell'ordine che è nella coscienza il dominante. Basta per convincersene
badare alle differenze caratteristiche della motivazione, con la quale ciascuno
dei tipi di coscienza supposto giustifica a sé e agli altri il valore che
riconosce, poniamo, alla temperanza, o alla forza di volontà, o alla veracità,
o ad altra virtù.
Ora
questo coincidere e fondersi, quanto al contenuto, del valore morale col valore
dell'ordine che esprime l'orientamento prevalente della coscienza — anche
quando non è in giuoco la valutazione etica — non solo conduce alla
transvalutazione notata, ma tende a indurre insieme un processo di
transvalutazione inversa; cioè a dar colore e calore di convinzione e di
apprezzamento morale ai valori di quell'ordine, a riconoscerli come morali e a
pretendere che siano riconosciuti per tali anche dalle persone, nelle quali non
si afferma il medesimo orientamento.
Ed è
istruttivo (e non è sfuggito agli umoristi) il calore col quale parla di
diritti offesi e rivendica gli interessi sacrosanti della giustizia l'egoista
gretto che vede frustrato un suo piccolo calcolo ingegnoso che aveva a mala
pena il pregio di non urtare nel Codice penale; e quello (sia pure di dignità
fuor di paragone diversa) dell'artista, che grida allo scandalo e invoca un
preciso dovere dello stato a reprimerla, se offenda il suo senso estetico, la
trascuranza per un tronco di colonna dimenticato. E si potrebbe continuare, in
modo anche piú evidente, per gli altri.
Cosí
ciascuno degli orientamenti valutativi tende ad allargare nella direzione
corrispondente la sfera dei valori morali, includendovi un contenuto proprio
diverso, e non coestensivo al contenuto di ciascun altro. E perciò accade che i
diversi sistemi di valutazione — animati come sono e pervasi da un interesse
tipicamente diverso — abbiano in realtà in comune soltanto una parte
di quei valori che ognun d'essi, per l'esigenza sua propria, riconosce come
morali; abbiano cioè comuni soltanto quei valori morali che sono nello stesso
tempo valori diretti o indiretti del proprio genere, o che almeno non
contrastano e non negano quella propria specifica esigenza. I diversi sistemi
assomigliano cosí a cerchi eccentrici di vario raggio che si intersechino fra
di loro; dei quali è minima la superficie comune a tutti, ed è sempre piú
grande la parte d'estensione rispettivamente comune a un numero di cerchi
minore; e in misura variabile, secondo che sono meno o piú eccentrici fra di
loro.
* * *
D'altra
parte, anche la coscienza nella quale l'orientamento tipico è dato
dall'interesse stesso morale (la coscienza dell'homo ethicus) si
trova a dover considerare nei valori estetici religiosi intellettuali economici
il valore morale diretto o indiretto che assumono o possono assumere in grazia
di relazioni analoghe a quelle considerate sopra (il valore p. es. che
l'attività scientifica e l'estetica e le doti richieste e promosse da questa
attività possono avere per la cultura morale).
E non
solo: ma per la considerazione felicemente messa in evidenza dal Moore sul
valore organico (il «quanto» per il quale il valore di un tutto eccede
il valore di uno dei suoi fattori non è necessariamente eguale a quello del
fattore che rimane: ethics, Cap. VII: Intrinsic value),
si trova a dovere apprezzare diversamente l'oggetto ideale della valutazione
morale, quando esso è nello stesso tempo oggetto di una valutazione diversa,
intellettuale, per es., od estetica. (Non è senza significato anche per questo
rispetto che il Sommo Bene sia stato identificato col Sommo Bello).
Si
aggiunga finalmente (il «finalmente» chiude ma non esaurisce le osservazioni su
questo proposito) che il carattere di interiorità dei valori morali, il quale
si fa tanto piú spiccato quanto piú la coscienza personale è concepita come
sorgente e creatrice autonoma dei valori, tende a staccare, anche nella
coscienza dell'homo
ethicus, il valore morale dagli schemi
che esprimono una esteriore conformità alla valutazione, per riconoscere un
pregio preminente alle note interiori di spontaneità, di libertà, di autonomia;
il che porta ad estendere la dignità intrinseca dei valori morali anche a
quegli altri valori spirituali nei quali splende un raggio di quelle medesime
luci; e non tanto a distinguere i valori morali da altri valori spirituali,
quanto a distinguere il contenuto interiore e spirituale dei valori dal
contenuto esterno e materiale nel quale si traducono.
* * *
Cosí
nella coscienza personale si attenua e si fa piú incerta, e trasmutabile per
molti modi, la distinzione tra i valori morali e gli altri valori spirituali.
In altri termini: mentre, si può dire a un dipresso, dal trionfo dell'etica
cristiana fino al Kant la valutazione morale aveva avuto per le diverse
coscienze della stessa civiltà e cultura un contenuto comune determinato e
costante (e, in ogni caso, la parte di contenuto sulla quale cadeva il dissenso
finiva per essere praticamente quasi trascurabile), a partire dalla
«Dichiarazione dei diritti» della Rivoluzione francese, si delinea e si allarga
nel campo della valutazione morale una sempre maggiore differenza di contenuto
tra coscienza e coscienza; e si fa piú frequente e piú profondo il contrasto
tra i criteri di valutazione rispettivamente accolti come supremi.
E i
sistemi nei quali i valori morali sono ricondotti a un criterio intellettuale,
o estetico, o religioso, o etnico, o umanitario, o filogenetico, o
solidaristico, o egotistico, o quale altro si voglia, non sono piú, guardati
per questo rispetto, tentativi dispersi, ma, per cosí dire, paralleli di
giustificare o di «fondare» il valore di un medesimo contenuto;
essi esprimono invece, nella parte forse maggiore e piú significativa, una
diversità di contenuti contrastanti; e soltanto in parte un contenuto comune,
che si colora pur esso diversamente, secondo la fiamma a cui si riscalda.
Perciò,
considerata nell'interiorità della coscienza personale, la parte di contenuto
etico nella quale essa sente di concordare colle altre non ha per sé autorità
maggiore o diversa delle parti per le quali discorda. A meno che la coscienza
stessa possa o debba riconoscere, senza abbandonare il proprio criterio di
valutazione, una qualche differenza, se non di natura, di grado, tra quella e
queste.
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