Se si suppone,
per un'ipotesi inverosimile, che lo spirito filantropico, lo speculativo, il
religioso, l'estetico, non riconoscano rispettivamente altri valori all'infuori
di quelli che si possono commisurare al criterio di valutazione proprio di
ciascheduno, si troverà tuttavia che certe doti spirituali, poniamo,
l'alacrità, la tenacia, il dominio di sé, l'ardimento, sono e debbono essere
considerate come valori da tutti indistintamente i tipi supposti; perché tutti
(nell'ipotesi, sottintesa, che siano intelligenti) debbono riconoscere che
quelle doti personali sono condizioni o indispensabili o sommamente utili alle
forme di attività corrispondenti, cioè all'attuazione di quell'ordine di valori
che ciascuno ha posto a sé come tali.
Per la
medesima ragione si troverà (la deduzione è troppo ovvia perché occorra piú che
l'accenno) che debbono essere riconosciuti come valori il rispetto della
integrità e della libertà personale, l'osservanza dei patti, lo scambio dei
servizi e via dicendo, e con essi i costumi, le istituzioni, le leggi che
assicurano la conservazione e l'incremento di queste condizioni sociali; e le
disposizioni di spirito (lealtà, imparzialità, simpatia) che ne avvalorano il
rispetto nella coscienza personale.
Adunque
tutti i tipi suddetti, e gli altri che si potrebbero analogamente supporre,
saranno portati a riconoscere e ad apprezzare in sé e negli altri — astrazion
fatta da ogni valutazione morale — dei valori, sia propriamente personali (doti
della persona che possono sussistere nel soggetto indipendentemente dal suo
atteggiarsi rispetto ad altre persone); sia sociali (doti che riguardano questi
atteggiamenti); valori che nascono dal rapporto di condizionalità costante che
li stringe a ciascuno degli ordini supposti.
Di
piú: il rapporto di condizionalità dal quale viene ai valori citati in esempio
il carattere di strumentalità, è diverso, come è facile vedere, da quella
strumentalità esterna accidentale e variabile che lega il blocco di marmo
all'opera dello scultore, o la conferenza di propaganda al disegno
dell'altruista, o un libro agiografico all'interesse del mistico, o la scala
dell'Osservatorio agli studi dell'astronomo: appunto perché là si tratta di
condizioni preliminari indispensabili e permanenti, il cui valore non
solo non si esaurisce nell'atto singolo che ne dipende, ma non è sostituibile
da alcun altro strumento o condizione.
È
dunque una condizionalità necessaria, permanente e insurrogabile, in
forza della quale ciascuno dei detti tipi dovrà riconoscere a siffatti valori
condizionanti una superiorità, se non di pregio intrinseco, di precedenza
imprescindibile sui valori diretti e finali che ne dipendono.
* * *
Non
occorre lungo discorso per intendere come per effetto del medesimo rapporto il
filantropo potrà essere condotto a riconoscere i detti caratteri di
condizionalità anche a qualità attitudini forme di attività, alle quali o non
potrà attribuirli o dovrà forse attribuire un valore negativo, o di ostacolo,
ossia un disvalore, il mistico o l'esteta; e inversamente; e come perciò sarà
possibile una distinzione tra i valori propri esclusivamente di ciascun tipo di
valutazione, e i valori condizionanti comuni a qualsiasi ordine, dato (come gli
esempi citati dimostrano possibile) che ve ne siano di cosiffatti.
Questi
valori comuni avranno dunque oltre ai caratteri già notati, anche
quello di essere strumentali rispetto a quale si voglia criterio di
valutazione che sia posto come normativo; cioè avranno una condizionalità
universalmente necessaria permanente e insurrogabile.
* * *
Aggiungiamo
ora un nuovo elemento all'ipotesi; e supponiamo che tanto il filantropo quanto
lo speculativo e il mistico e l'esteta riconoscano, ciascuno, come l'ordine
dei valori morali, quell'ordine di valori che risponde alla direzione tipica
della propria coscienza. Accadrà che la valutazione morale dell'uno coinciderà
quanto al contenuto con la valutazione morale di ciascun altro soltanto
per quei valori nei quali si riscontra la sopraddetta condizione; e che
mentre ciascuno interiormente riconoscerà come una esigenza morale l'attuazione
di tutti i valori posti e dichiarati dalla sua coscienza a lui come morali,
dovrà riconoscere in pari tempo, che, per le volontà per le quali vale come
normativo un ordine di valori diverso, la detta esigenza non comprende
tutti questi medesimi valori, ma soltanto quelli la cui strumentalità
condizionale è universalmente necessaria. Cioè dovrà riconoscere che, esteriormente
alla propria coscienza, l'imperatività del proprio criterio è limitata a questa
piú ristretta sfera di valori. In altri termini, non potrà esser posto come
criterio morale e comune se non un criterio di valutazione che assuma, come
universalmente validi e costantemente subordinanti ogni altro valore, quei
valori appunto nei quali si riscontra la detta priorità condizionale; ma
che insieme non neghi, e non escluda i valori morali propri di
ciascuna coscienza in particolare, cioè nessuno di quegli ordini di valori, nel
quale si inquadra e si giustifica per ciascuna coscienza individuale quel
contenuto comune.
* * *
Si
delinea dunque, per la riflessione critica obbiettiva, una distinzione tra i
valori la cui attuazione è riconosciuta come un'esigenza universale e
costante per qualsiasi coscienza capace di moralità, e i valori la cui
attuazione è un'esigenza soltanto per la coscienza che li pone a sé
come morali; tra i valori per i quali ogni coscienza può riconoscere legittima
una legislazione esterna che ne imponga la validità; e i valori dei quali una
legislazione esterna deve soltanto non escludere la possibilità; tra i valori
che possono essere oggetto di una obbligazione a un tempo interna ed esterna, e
i valori che, non possono essere oggetto che di una obbligazione interna.
* * *
Gli
esempi addotti in principio di questo capitolo per chiarire il concetto di un
contenuto comune universalmente valido, non rispondono a una determinazione
rigorosa; e hanno soltanto un carattere provvisorio di opportunità. Se ora
cerchiamo di fissare con precisione quali sono propriamente i valori che lo
costituiscono, troveremo facilmente che essi si assommano in due condizioni
riconosciute in effetto (e non potrebbe essere altrimenti) come valori
primari fondamentali da ogni sistema morale: la libertà e la giustizia.
La
libertà esprime l'esigenza delle condizioni soggettive necessarie a fare
dell'uomo una persona padrona di sé di fronte a sé e di fronte a ogni altra
persona; la giustizia esprime l'esigenza delle condizioni obbiettive necessarie
all'esercizio universalmente efficace di questa libertà.
L'attuare
in sé e in ogni altra persona questi valori di libertà e di giustizia (ed i
valori impliciti in questi) deve dunque essere riconosciuto come un dovere
universalmente valido, anzi come il solo dovere (o la sola categoria di doveri)
veramente universale.
Ma qui
è da notare una circostanza rilevante.
La
libertà non è una condizione di fatto, un possesso dato; ma è, come vide e
affermò fervidamente il Fichte, una conquista da fare, una idealità che si viene
realizzando e che richiede sforzi sempre nuovi e impone sempre nuovi doveri. E
il medesimo è da dire della giustizia che è lo specchio sociale della libertà.
Ora se
il valore della libertà e della giustizia (e la validità dei doveri che ne
derivano) consiste, come apparirebbe dalla deduzione fattane qui, soltanto nel
loro essere condizione necessaria ad ogni ordine di valori; è continua ed
inevitabile la possibilità di un contrasto nella coscienza dell'intellettuale,
dell'esteta, dell'altruista, tra l'interesse sempre presente, diretto della
conoscenza o della bellezza o della simpatia e i doveri mediati e indiretti
della libertà e della giustizia; o, in termini generali, tra i valori diretti e
per la coscienza individuale supremi, e i valori che per lei appaiono soltanto
indiretti e strumentali.
* * *
Cosí obbiettivamente
nell'ordine di una possibile legislazione esterna, sarebbero doveri primari,
soli veri doveri, quelli appunto che soggettivamente per la
legislazione interna di molte se non di tutte le coscienze individuali, valgono
come doveri derivati, cioè tali soltanto in grazia di doveri d'altro
ordine, dei quali l'obbligatorietà esterna tutela subordinatamente, ma non
impone l'osservanza.
E
resta in ogni caso la questione: Quei valori che una coscienza riconosce come
valori in sé, e a cui commisura gli altri valori sono posti ad arbitrio?
|