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Erminio Juvalta
Il vecchio e il nuovo problema della morale

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  • Parte seconda LA PLURALITÀ DEI CRITERI MORALI
    • Capitolo Terzo LA CONDIZIONALITÀ NEI VALORI MORALI
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Capitolo Terzo

LA CONDIZIONALITÀ NEI VALORI MORALI

 

Se si suppone, per un'ipotesi inverosimile, che lo spirito filantropico, lo speculativo, il religioso, l'estetico, non riconoscano rispettivamente altri valori all'infuori di quelli che si possono commisurare al criterio di valutazione proprio di ciascheduno, si troverà tuttavia che certe doti spirituali, poniamo, l'alacrità, la tenacia, il dominio di sé, l'ardimento, sono e debbono essere considerate come valori da tutti indistintamente i tipi supposti; perché tutti (nell'ipotesi, sottintesa, che siano intelligenti) debbono riconoscere che quelle doti personali sono condizioni o indispensabili o sommamente utili alle forme di attività corrispondenti, cioè all'attuazione di quell'ordine di valori che ciascuno ha posto a sé come tali.

Per la medesima ragione si troverà (la deduzione è troppo ovvia perché occorra piú che l'accenno) che debbono essere riconosciuti come valori il rispetto della integrità e della libertà personale, l'osservanza dei patti, lo scambio dei servizi e via dicendo, e con essi i costumi, le istituzioni, le leggi che assicurano la conservazione e l'incremento di queste condizioni sociali; e le disposizioni di spirito (lealtà, imparzialità, simpatia) che ne avvalorano il rispetto nella coscienza personale.

Adunque tutti i tipi suddetti, e gli altri che si potrebbero analogamente supporre, saranno portati a riconoscere e ad apprezzare in sé e negli altri — astrazion fatta da ogni valutazione morale — dei valori, sia propriamente personali (doti della persona che possono sussistere nel soggetto indipendentemente dal suo atteggiarsi rispetto ad altre persone); sia sociali (doti che riguardano questi atteggiamenti); valori che nascono dal rapporto di condizionalità costante che li stringe a ciascuno degli ordini supposti.

Di piú: il rapporto di condizionalità dal quale viene ai valori citati in esempio il carattere di strumentalità, è diverso, come è facile vedere, da quella strumentalità esterna accidentale e variabile che lega il blocco di marmo all'opera dello scultore, o la conferenza di propaganda al disegno dell'altruista, o un libro agiografico all'interesse del mistico, o la scala dell'Osservatorio agli studi dell'astronomo: appunto perché si tratta di condizioni preliminari indispensabili e permanenti, il cui valore non solo non si esaurisce nell'atto singolo che ne dipende, ma non è sostituibile da alcun altro strumento o condizione.

È dunque una condizionalità necessaria, permanente e insurrogabile, in forza della quale ciascuno dei detti tipi dovrà riconoscere a siffatti valori condizionanti una superiorità, se non di pregio intrinseco, di precedenza imprescindibile sui valori diretti e finali che ne dipendono.

 

* * *

 

Non occorre lungo discorso per intendere come per effetto del medesimo rapporto il filantropo potrà essere condotto a riconoscere i detti caratteri di condizionalità anche a qualità attitudini forme di attività, alle quali o non potrà attribuirli o dovrà forse attribuire un valore negativo, o di ostacolo, ossia un disvalore, il mistico o l'esteta; e inversamente; e come perciò sarà possibile una distinzione tra i valori propri esclusivamente di ciascun tipo di valutazione, e i valori condizionanti comuni a qualsiasi ordine, dato (come gli esempi citati dimostrano possibile) che ve ne siano di cosiffatti.

Questi valori comuni avranno dunque oltre ai caratteri già notati, anche quello di essere strumentali rispetto a quale si voglia criterio di valutazione che sia posto come normativo; cioè avranno una condizionalità universalmente necessaria permanente e insurrogabile.

 

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Aggiungiamo ora un nuovo elemento all'ipotesi; e supponiamo che tanto il filantropo quanto lo speculativo e il mistico e l'esteta riconoscano, ciascuno, come l'ordine dei valori morali, quell'ordine di valori che risponde alla direzione tipica della propria coscienza. Accadrà che la valutazione morale dell'uno coinciderà quanto al contenuto con la valutazione morale di ciascun altro soltanto per quei valori nei quali si riscontra la sopraddetta condizione; e che mentre ciascuno interiormente riconoscerà come una esigenza morale l'attuazione di tutti i valori posti e dichiarati dalla sua coscienza a lui come morali, dovrà riconoscere in pari tempo, che, per le volontà per le quali vale come normativo un ordine di valori diverso, la detta esigenza non comprende tutti questi medesimi valori, ma soltanto quelli la cui strumentalità condizionale è universalmente necessaria. Cioè dovrà riconoscere che, esteriormente alla propria coscienza, l'imperatività del proprio criterio è limitata a questa piú ristretta sfera di valori. In altri termini, non potrà esser posto come criterio morale e comune se non un criterio di valutazione che assuma, come universalmente validi e costantemente subordinanti ogni altro valore, quei valori appunto nei quali si riscontra la detta priorità condizionale; ma che insieme non neghi, e non escluda i valori morali propri di ciascuna coscienza in particolare, cioè nessuno di quegli ordini di valori, nel quale si inquadra e si giustifica per ciascuna coscienza individuale quel contenuto comune.

 

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Si delinea dunque, per la riflessione critica obbiettiva, una distinzione tra i valori la cui attuazione è riconosciuta come un'esigenza universale e costante per qualsiasi coscienza capace di moralità, e i valori la cui attuazione è un'esigenza soltanto per la coscienza che li pone a sé come morali; tra i valori per i quali ogni coscienza può riconoscere legittima una legislazione esterna che ne imponga la validità; e i valori dei quali una legislazione esterna deve soltanto non escludere la possibilità; tra i valori che possono essere oggetto di una obbligazione a un tempo interna ed esterna, e i valori che, non possono essere oggetto che di una obbligazione interna.

 

* * *

 

Gli esempi addotti in principio di questo capitolo per chiarire il concetto di un contenuto comune universalmente valido, non rispondono a una determinazione rigorosa; e hanno soltanto un carattere provvisorio di opportunità. Se ora cerchiamo di fissare con precisione quali sono propriamente i valori che lo costituiscono, troveremo facilmente che essi si assommano in due condizioni riconosciute in effetto (e non potrebbe essere altrimenti) come valori primari fondamentali da ogni sistema morale: la libertà e la giustizia.

La libertà esprime l'esigenza delle condizioni soggettive necessarie a fare dell'uomo una persona padrona di sé di fronte a sé e di fronte a ogni altra persona; la giustizia esprime l'esigenza delle condizioni obbiettive necessarie all'esercizio universalmente efficace di questa libertà.

L'attuare in sé e in ogni altra persona questi valori di libertà e di giustizia (ed i valori impliciti in questi) deve dunque essere riconosciuto come un dovere universalmente valido, anzi come il solo dovere (o la sola categoria di doveri) veramente universale.

Ma qui è da notare una circostanza rilevante.

La libertà non è una condizione di fatto, un possesso dato; ma è, come vide e affermò fervidamente il Fichte, una conquista da fare, una idealità che si viene realizzando e che richiede sforzi sempre nuovi e impone sempre nuovi doveri. E il medesimo è da dire della giustizia che è lo specchio sociale della libertà.

Ora se il valore della libertà e della giustizia (e la validità dei doveri che ne derivano) consiste, come apparirebbe dalla deduzione fattane qui, soltanto nel loro essere condizione necessaria ad ogni ordine di valori; è continua ed inevitabile la possibilità di un contrasto nella coscienza dell'intellettuale, dell'esteta, dell'altruista, tra l'interesse sempre presente, diretto della conoscenza o della bellezza o della simpatia e i doveri mediati e indiretti della libertà e della giustizia; o, in termini generali, tra i valori diretti e per la coscienza individuale supremi, e i valori che per lei appaiono soltanto indiretti e strumentali.

 

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Cosí obbiettivamente nell'ordine di una possibile legislazione esterna, sarebbero doveri primari, soli veri doveri, quelli appunto che soggettivamente per la legislazione interna di molte se non di tutte le coscienze individuali, valgono come doveri derivati, cioè tali soltanto in grazia di doveri d'altro ordine, dei quali l'obbligatorietà esterna tutela subordinatamente, ma non impone l'osservanza.

E resta in ogni caso la questione: Quei valori che una coscienza riconosce come valori in sé, e a cui commisura gli altri valori sono posti ad arbitrio?





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