12.
Costantino [306-337]. - Ripigliamo, or che
il potremo capire, Costantino. Ai tre competitori che egli avea contro, Galerio
augusto, Massimino e Severo cesari, se ne aggiunsero in breve tre altri:
Massimiano stesso che riprese nome di augusto, Masenzio figlio di lui e Licinio
poi, che il presero. Ma Costantino, buon capitano, e politico abile o talor
forse traditore, aspettando, trattando e guerreggiando diciassette anni, si
liberò di tutti sei. Severo fu ucciso da Massimiano, Massimiano da Costantino a
cui era rifuggito, Galerio dalle dissolutezze, Masenzio nella gran battaglia
presso a Roma [312]; Massimino da se stesso dopo una battaglia perduta contra
Licinio [313]; e finalmente Licinio, dopo aver spartito con Costantino
l'imperio, e tenutane la metá orientale nove anni [314-323], da Costantino.
Cosí questi si trovò e regnò solo poi altri quattordici anni [323-337].
Continuò, compiè le novitá di Diocleziano, e n'aggiunse due maggiori: la
conversione al cristianesimo e la fondazione d'una seconda capitale, detta Roma
nuova o Costantinopoli. - La conversione, ei la incominciò ponendo la croce sul
suo stendardo o labaro, al dí della battaglia di Roma contra Masenzio [312]: ma
non la compié se non a poco a poco e parecchi anni appresso, quando fecesi
battezzare. E prima e dopo fu principe cristiano piú zelante che prudente.
Avvezzo al pontificato massimo degli augusti, non poteva usurpare tal dignitá
giá tutta ecclesiastica tra' cristiani; ma non si tenne dall'usurparne quanto
potesse, e die' il malo e troppo seguíto esempio di un principe teologizzante e
facente affari di Stato delle dispute di Chiesa e dell'eresie; tanto che, come
succede, egli forse vi s'imbrattò. Del resto, convertí a templi cristiani molti
idolatri ed altri edifizi civili, e parecchi ne edificò; e molte chiese
arricchí, principalmente quella di Roma. Del che, mi perdonino Dante e i
ghibellini antichi, mi perdonino i protestanti e protestantizzanti moderni, io
non lo so parimente biasimare: perché, se è vero che il cristianesimo sia non
solamente religione ma civiltá, abbia non solamente il maggior ufficio di
condur gli uomini al cielo, ma anche quello minore e pur grande di condurli
intanto sulla terra alla civiltá, era, è, e sará pur sempre conseguente e
necessario ch'egli avesse ed abbia a ciò mezzi terreni, diversi secondo le etá,
ma durati e duraturi in tutte. Né gli abusi debbon toglier l'uso; ché
altrimenti si toglierebbe quello della religione stessa, abusata or da
ecclesiastici e pur da secolari, or da amici e pur da nemici di lei. -
Costantinopoli, ei la fondò, dicesi, per odio a Roma ostinata nella religione
antica; ma forse meglio per avere una grande, degna ed opportuna residenza a
quell'imperio orientale giá istituito da Diocleziano, giá indispensabile contro
ai goti, i piú vicini e piú formidabili minacciatori di tutto il mondo romano.
Che tal fondazione, tal sito fossero opportunissimi, è dimostrato dal fatto,
dall'esser caduta poi Roma, non Costantinopoli mai, sotto a quelli od altri
barbari settentrionali, dall'aver durato l'imperio colá poco men che mille anni
piú che a Roma. - Ma la corte trasferita a Costantinopoli finí di dar forme,
costituzione orientale, asiatica, despotica, all'imperio. Diademi, vesti,
eunuchi all'antico uso medo od assiro. Un praepositus sacri cubiculi e
molti comites palatii e cubicularii (gran ciamberlano e ciamberlani),
con altri simili per tutte le parti del palazzo, tutte dette «sacre» fino alle
stalle; un magister officiorum (ministro dell'interno e dell'estero), un
comes sacrarum largitionum (delle finanze), un quaestor (della
legislazione e giustizia), un comes rei privatae (del tesoro del
principe), due comites domesticorum (capitani delle guardie dette «scholae»).
Agli eserciti furon preposti un magister utriusque militiae, e sotto
esso due magistri peditum ed equitum, e sotto questi i comites,
ed ultimi i duces. - E cosí, spogli d'ogni comando militare, furono
ridotti a governatori civili i giá pericolosi prefetti del pretorio. Quattro ne
furon fatti per le quattro grandi divisioni dell'imperio giá stabilite da
Diocleziano, ora ordinate e chiamate «praefecturae». 1° Prefettura
d'Oriente, divisa in cinque diocesi (ogni diocesi poi in province), Oriente,
Egitto, Asia, Ponto e Tracia. 2° Prefettura d'Illirio, divisa in due diocesi,
Macedonia e Tracia. 3° Prefettura d'Italia, divisa in tre diocesi, Italia,
Illirio ed Africa. 4° Prefettura delle Gallie, divisa in tre diocesi, Gallia,
Spagna e Britannia. Alle diocesi e province furono posti governatori di vari
nomi, rectores, proconsules, vicarii, ecc. - E sotto tutti questi,
ultime e piú potenti forse fin d'allora sorgevano le costituzioni delle cittá,
stampate piú o meno sul modello degli antichi municipi italiani: un'adunanza
popolare, via via ridotta per vero dire a poche elezioni, ma mantenuta poi
principalmente per quelle de' nuovi vescovi a cui contribuivano insieme col
clero e coi decurioni; un consiglio piú ristretto (resto dei senati) detto «ordo»,
«decuriones» o «patres»; e due o piú magistrati esecutivi, per lo
piú annui (resti o imitazione dei consoli), detti «duumviri», «triumviri»,
ecc.; oltre parecchi tribuni ed ufficiali inferiori. I tributi furon
dati a riscuotere a que' decurioni, fattine garanti e quasi impresari; ondeché
fuggivasi tal dignitá diventata carico pesantissimo, e gl'imperatori sforzavano
le famiglie a serbarla od assumerla. Del resto, continuavano questi tributi ad
esser moltiplici; ma diventò principale il territoriale, che si stanziò od indisse
incominciando dal 312 (l'anno della vittoria di Costantino) di quindici in
quindici anni, periodo detto quindi «indizione». - Tale, all'ingrosso, fu
l'ordinamento del nuovo e ben detto «basso imperio». Tal durò con poche
mutazioni sino al fine della metá occidentale. E tale il vedremo poi imitato
dagli imperatori occidentali rinnovati; ed anche (principalmente nella
moltiplicitá degli uffizi cortigiani) da altri principi minori fino ai nostri
dí. Ma vedremo pure, piú seria imitazione, quella dei municípi romani fatta dai
comuni italiani.
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