3.
Carlomagno
imperatore [799-814]. - Fin dal tempo di
Pipino, e piú in questi di Carlo, tra quelle lettere de' papi che rimangono
documento preziosissimo di tutta questa storia sotto il nome di Codice
caroliniano, trovansi cenni da lasciar credere via via concepito e maturato
tra' Carolingi e i papi il gran disegno della restaurazione dell'imperio
occidentale. Ora, aiutato, o, direm meglio, sofferto dalla Providenza, scoppiò.
Carlo ricevette con gran pompa e gran rispetti il papa rifuggito; e con pompa e
rispetti ed accompagnamento di vescovi e conti franchi il rimandò restaurato a
Roma. Quindi egli Carlomagno (continuando intanto pe' suoi capitani le guerre
di Germania e d'Ungheria) partivasi d'Aquisgrana, faceva un giro per sue
province francesi, abboccavasi a Tours con Alcuino, il maggiore scolastico e
filosofo di quell'etá, che pare essere stato consultato in tutto ciò; tornava
ad Aquisgrana, scendevane in Italia, fermavasi a Ravenna, giungeva a Roma al
fine di novembre. Ed ivi teneva primamente un'assemblea di grandi, e vi
giudicava (come patrizio e capo della repubblica senza dubbio) i nemici del
papa, a cui richiesta li graziava; ed assisteva alla giustificazione del papa
stesso, fatta, come fu dichiarato, secondo il costume de' maggiori, con
semplice giuramento di lui. - Quindi, al gran dí del Natale 799, assistendo
Carlomagno coi due figli suoi Carlo il primogenito e Pipino re d'Italia alla
messa, il papa, finita questa, rivolgevasi al re, gli metteva in capo una
corona, e gridava, gridando il popolo tre volte con lui: «A Carlo piissimo
augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore, vita e vittoria»; poi,
secondo alcuni, ungeva Carlomagno, e Carlo il giovane designatogli successore.
- Cosí consumavasi il piú grande evento che sia stato per mille e piú anni
nella storia europea; quello che la dominò primamente tutta di fatto, poi di
nome fino a' nostri dí; quello che, felicissimo come parve senza dubbio a que'
dí, fece poi, pur senza dubbio, l'infelicitá di molti popoli, ma principalmente
degli italiani. Certo, i romani e tutti gli italiani, soggetti al papa, si
rallegrarono allora d'avere spogliato ogni resto di dipendenza dall'imperator
greco lontano, di non aver piú se non quella che giá aveano da Carlo, giá
patrizio, or imperatore. La diminuzione dei gradi di dipendenze è sempre
guadagno reale. Ma forse che i romani e gl'italiani, sempre sognatori del
rinnovamento del primato antico, sperarono, credettero riaverlo sotto quel nome
d'«imperator romano». E forse alcuni altri sudditi di Carlomagno qua e lá
fecero fin d'allora quell'altro sogno, che veggiam fatto retrospettivamente a'
nostri dí stessi da alcuni poeti politici: il sogno, dico, di una cristianitá
riunita intorno a due centri, due capi, l'imperatore e il papa; il sogno della
perfetta feodalitá, risalente dall'ultimo valvassino ai valvassori, ai vassalli
diretti, ai re, all'imperatore. Ma i fatti, i secoli dimostrarono poi, che
tutto questo era un edifizio durevole sí, ma poco piú che nel nome e ne' vizi
suoi, non in nessuna delle supposte sue virtú. I due centri, le due somme
potenze, mal determinate ne' limiti vicendevoli, incominciarono fin d'allora ad
urtarsi, e s'urtarono e combatterono per secoli. Gl'imperatori risuscitarono a
poco a poco l'antica pretesa imperiale di approvare l'elezione del papa; e i
papi, che dal dí del Natale 799 incoronarono gl'imperatori, n'ebbero
naturalmente la pretesa di approvare gl'imperatori; e cosí imperatori e papi
dipendettero l'un dall'altro continuamente, e dipendettero senza riconoscere
bene né l'un né l'altro la dipendenza. I re poi, che non debbono, che non
possono, per esser re veri, aver superiore, l'ebbero negl'imperatori; le
sovranitá non furono piú sovrane, le nazionalitá non compiute. La feodalitá sí,
se si voglia cosí dire, si perfezionò, si compiè; ma questa fu sventura;
sventura la perfezione d'un ordine, in cui non entravano se non i signori, i
governanti, fuor di cui erano i governati, i piú, il grosso del popolo. E tutto
ciò, da per tutto dove s'estesero la potenza, le pretese imperiali. Ma in Italia,
sedia sempiterna e reale del papa, sedia nominale e troppo a lungo de' nuovi
imperatori, gli urti furono immediati e infinitamente piú sentiti; fu sentita e
segnata di sventure e sventure ogni elezione d'imperatore, ogni elezione di
papi; e ne sorsero cattivi e stranieri imperatori, cattivi e simoniaci e
corrotti papi per oltre a due secoli; e poi papi grandi e grandissimi sí, ma
allora le contese della Chiesa e dell'Imperio, le parti guelfa e ghibellina, la
debolezza d'Italia, Italia aperta a nuovi stranieri, Italia divisa, anche dopo
caduto ogni nome d'imperio, tra nazionali e stranieri. - La storia di quest'etá
non fa che svolgere i primi de' fatti qui accennati; tutta la rimanente, i
successivi. E chi tema nel nostro compendio la preoccupazione della
indipendenza, ricorra ad altri. La preoccupazione della indipendenza fu pur
anima di tutte le storie nazionali scritte da Erodoto o piuttosto da Mosé in
qua. Della sola storia d'Italia si fece sovente un'apologia od anche un
panegirico della dipendenza; sappiamo, almeno in ciò, porci al par degli altri.
Usciam dalla servilitá fino a questo punto almeno di pronunciare e lasciar
pronunciare la parola d'«indipendenza», nella storia.
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