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Arrigo III [1039-1056]. - A Corrado successe
incontrastato oramai di lá e di qua dalle Alpi il figlio di lui Arrigo III, il
miglior forse della casa Ghibellina. Fece subito pace con Ariberto; e pare che
una pure ne seguisse tra questo e i valvassori o mottesi. Ma rinnovatisi i
turbamenti [1041], fu cacciato l'arcivescovo co' capitani o nobili principali;
mentre rimasero riuniti in cittá i mottesi e il popolo sotto uno di essi o de'
capitani, seguíto forse da altri. Il quale si chiamava Lanzone, e merita essere
nominato qui, perché diede uno de' piú santi esempi rammentati da nostra
storia; un esempio che dicesi imitato a' nostri dí in modo piú puro ancora, e
da un uomo anche piú grande. Stretto Lanzone una volta dall'arcivescovo e dai
capitani, fu a Germania, ed ebbe da Arrigo promessa d'un forte aiuto. Ma
ripatriato persuase i cittadini, mottesi e grandi, a non aspettarlo, a far
accordo tra sé, a depor l'armi civili prima che giungessero le straniere
[1044]. E cosí in quella Milano, che fu (e il vedremo dimostrato nell'etá
seguente) modello alle costituzioni libere delle cittá lombarde, trovasi questa
cosí avanzata fin d'ora, che si potrebbe quasi dire compiuta; se non che,
quanto piú studiammo questa materia, tanto piú ci parve non doversi dire
veramente compiuta, se non quando, al fine del presente secolo, fu istituito il
governo de' consoli. E quindi diremo questo se non piú che nuovo passo fatto a
tale costituzione. Ma osserveremo intanto, che ei fu fatto far qui, e
indubitabilmente pure in tutte le altre cittá, dalla riunione di tutte le
classi o condizioni di cittadini, de' grandi o capitani, de' medii o valvassori
o mottesi o semplici militi, e de' popolani grassi, come si dissero allora, e
si direbbono ora borghesi, e de' popolani minori delle «gilde» od arti diverse.
Perciocché questo appunto fu accennato dalla parola di «comune» o «comunio», la
quale fin d'ora si vien trovando qua e lá; quest'unione o comunione o
fratellanza delle classi, fu quella che fece la libertá, la forza, la
grandezza, l'eroismo, la gloria delle cittá italiane, finché durò; fu quella
che, cessando poi, lasciolle deboli, impotenti, abbandonate ad ogni
preponderanza e prepotenza straniera. Se io avessi trovato, che la libertá
comunale, gloria dell'etá seguente, fosse dovuta ad una delle classi cittadine
esclusivamente, io avrei adempiuto al dovere ingrato di dire tal veritá. Ma la
veritá, grazie a Dio, ricomincia qui finalmente ad esser bella a dire; ed è,
del resto, veritá trita, montando a ciò, insomma, che la forza è sempre fatta
dall'unione. - Morí Ariberto l'anno appresso [1045]; men lodevol prelato che
non gran signore feodale, ei ci ritrae la condizione di quasi tutti quei vescovi,
abati ed uomini di chiesa di quell'etá. Disputatane la successione, rimase
eletto, benché ingrato al suo popolo, Arialdo d'Alzate notaio d'Arrigo III. Il
quale (conseguenza dell'esser diventati veri feudi le sedi ecclesiastiche) piú
che mai s'immischiava nelle loro elezioni; e in quella principalmente della
Sedia romana, considerata oramai dagli imperatori quasi sommo di que' feudi,
mentre quella Sedia pretendeva talora, esser l'imperio quasi feudo della Chiesa
romana. A comporre tutto ciò scese dunque Arrigo III nel 1046. Passò a Milano,
venne a Roma. Dove durava, od anzi era giunta al suo estremo, la corruzione
sotto Benedetto IX, terzo di que' papi della casa dei conti di Tusculo,
discendenti di Teodora, Marozia ed Alberico: nella quale, se il papato fosse
ufficio soggetto alle semplici probabilitá umane, esso avrebbe potuto farsi
cosí ereditario. Giovane od anzi adolescente, dissoluto e scellerato, Benedetto
non fu sofferto da' romani, che gli contraposero per poco un Silvestro III, poi
Gregorio VI, un pio e sant'uomo; dal quale fin d'allora trovasi innalzato nella
curia romana quell'Ildebrando, che dominò non essa sola, ma tutta la sua etá
quasi sempre d'allora in poi. - Ma, giunto ora Arrigo e convocato un concilio,
Gregorio depose il pontificato, e con Ildebrando si ritrasse a Cluny in
Francia; e deposti gli altri due, fu eletto Clemente II, un tedesco, a cui
succedettero altri poi (giustizia a tutti) tutti buoni. Cosí finí lo scandalo
dei papi Tusculani e degli altri corrottissimi, per l'intervenzione imperiale;
ondeché non s'oserebbe dir qui il rimedio peggior che il male, se non fosse che
quella intervenzione era stata causa essa stessa delle cattive elezioni e della
corruzione; e non fu dunque qui se non caso buono di pessima usanza. Ad ogni
modo, fattosi incoronar Arrigo, fece la solita punta a Capua e Benevento, e poi
per Verona risalí a Germania [1047]. Morí nel medesimo anno Clemente II, dopo
aver fatto contro alle elezioni simoniache uno di que' decreti pontificali, che
incominciarono la riforma della Chiesa. E risalí poi Benedetto IX il Tusculano;
ma fu tra breve ricacciato da Damaso, un secondo tedesco. Il quale pur morto,
successe un terzo, Leone IX, eletto in Germania, che passando a Cluny,
s'abboccò con Ildebrando, trasselo seco a Roma, dove per consiglio di lui si
fece rieleggere canonicamente. E con tal consiglio pontificò poi gloriosamente,
e incominciò e proseguí quelle due guerre ecclesiastiche contro alla simonia ed
al concubinato, e quella temporale contro ai principi beneventani, che furono
poi tre delle opere maggiori d'Ildebrando stesso. E in una di queste guerre
[1053] rimase il papa alcun tempo prigione de' normanni. Morto [1054] il quale,
andò Ildebrando a Germania, a combinare l'elezione del successore, che fu
Vittore II, un quarto tedesco. - L'anno appresso [1055] scese Arrigo III contra
Goffredo di Lorena, giá suo nemico colá, e che avendo testé sposata Beatrice
vedova di Bonifazio marchese di Toscana, ed avendo un fratello cardinale, era
diventato potente in Italia. Arrigo dunque fece prigione o statica Beatrice,
sforzò Goffredo ad uscir a Francia, e il cardinale a chiudersi in Montecassino.
E risalito egli stesso in Germania, vi morí l'anno appresso 1056.
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