16.
Coltura. - Nei tre
secoli che corsero dal 774 a questo 1073, la coltura cristiana universale, imbarbarita
sotto ai barbari, ebbe un primo risorgimento incontrastabile da Carlomagno al
principio del secolo nono; si fermò senza progredire, ed anzi di nuovo
retrocedette sotto gli ultimi Carolingi, e tra le contese dei re, regoli e
marchesi lor successori, dalla metá del secolo nono a tutto il decimo: e
ripigliò poi un tal qual moto progressivo nella prima metá, uno certo e giá
rapido in questa seconda metá del secolo undecimo a cui siam giunti. - L'Italia
ebbe poca parte al risorgimento di Carlomagno; tutto vi fu opera personale di
lui e di quell'Alcuino sassone-inglese [726-804], ch'egli aveva chiamato e
tenuto sovente in corte, e tanto che il vedemmo consigliere forse alla
restaurazione dell'imperio. Tra i due, istituirono nel palazzo una vera
academia; i membri della quale, non esclusi il vecchio e vittorioso imperatore
che non sapeva scrivere, e i suoi figliuoli e forse alcuni di quelli che noi
chiamiamo i «paladini», e non dovevano esser guari piú colti, tutti quanti
preser nomi academici di Davide, Platone od altri; precursori, piú compatibili
allora, di nostre ragazzate del Seicento e Settecento. Non saprei dire se
l'Italia fornisse di questi academici primitivi. Il piú che si trovi preso da
Carlomagno in Italia fu la musica corale, il canto fermo romano; di che istituí
scuole in Francia, e in che, dicono, facessesi colá poco progresso. Né so s'io
mi rida, o s'io abbia a dar vanto all'Italia di questo antichissimo primato
della musica, il quale solo or ci resta. Direi, che se non fosse solo, sarebbe
da gloriarcene certamente; ma che, finché è solo, piú mi accuora il difetto
degli altri, che non mi rallegra la perseveranza di questo; e conchiuderei
doverci pur esser cara, e poter anche esserci utile la nostra musica, se da
semplice trastullo o da molle consolazione ch'ella è a' nostri mali, la sapesse
alcuno sollevare a' virili e virtuosi incitamenti. La musica, certo rozzissima,
de' greci antichi fu pur da essi tenuta per mezzo politico non dispregevole a
conformare gli animi loro virili; perché non sarebbe pur tale la musica tanto
progredita? Ad ogni modo, un gran progresso di essa fecesi in Italia, verso il
principio del secolo undecimo, per opera di Guido d'Arezzo monaco; il quale
inventò, non saprei ben dire, e credo si disputi, se la divisione delle sette
note dell'ottava, o la scrittura di esse che serví d'allora in poi, o se
solamente i loro nomi. - Del resto, poco o nulla produsse l'Italia nei secoli
nono e decimo; e non è se non appunto tra tal mancanza, che restano degni di
essere accennati Agnello, Anastasio bibliotecario ed Erchemperto, compilatori
delle vite degli arcivescovi di Ravenna, de' papi, e de' principi beneventani;
Liutprando, storico di que' brutti tempi de' marchesi italiani in cui operò; e
i due anonimi salernitano e beneventano, continuatori di Erchemperto. I
cronachisti, per poveri che sieno, hanno sugli altri cattivi scrittori questo
vantaggio, di rimanere preziosi per li fatti serbati. Al principio del secolo
undecimo poi, risplende anche in Italia, dove fu monaco in Bobbio, e poi papa
buono fra molti cattivi, quel Gerberto francese, da cui alcuni contano il
risorgimento delle colture, piú o meno progredite sempre d'allora in poi; e il
quale dicono le prendesse dagli arabi di Spagna, a cui noi dovremmo dunque
originariamente quel risorgimento. Ma mi pare grande illusione, gran
pregiudizio questo dell'origine arabica della coltura di Gerberto; la quale in
gran parte fu teologica cristiana, e quanto alla parte matematica ed
astronomica ed astrologica, io non so se fosse cosí gran cosa da aver prodotto
frutto di conto allora o poi. Uno scrittor modernissimo attribuisce bensí a
Gerberto l'introduzione delle cifre decimali dette «arabiche», attribuita giá a
Leonardo Fibonacci; ma appunto il medesimo scrittore (Chasles) nega che fosse invenzione
degli arabi. Il fatto sta, che questo secondo e vero risorgimento, detto «del
mille», non fu se non del fine di quel secolo undecimo; e fu tutto
ecclesiastico, di ecclesiastici scrittori e d'ecclesiastica coltura; non fu se
non come un episodio, una parte, una conseguenza del gran risorgimento
ecclesiastico che vedemmo incominciare sotto i papi tedeschi, ed ingrandirsi
giá sotto a parecchi italiani, spinti a ciò probabilissimamente da quel grande
intelletto, e massime gran cuore, grand'animo d'Ildebrando, che lo doveva
compiere poi. E il fatto sta, che la parte letteraria di tal risorgimento fu
quasi tutta italiana. I nomi di san Pier Damiano [988-1072], Lanfranco
[1005-1089], sant'Anselmo di Lucca, oltre parecchi altri, e sopra tutti
sant'Anselmo d'Aosta [1033-1109], che fu per due secoli, fino a san Tomaso, il
piú gran teologo e filosofo d'Italia e della cristianitá, pongono fuor di
dubbio questo antichissimo primato della coltura italiana; e confermano, del
resto, ciò che sará forse giá stato osservato dagli attenti leggitori; che le
grandi opere di Gregorio VII non furono di lui solamente, ma di parecchi
insieme, di tutto il secolo di lui; che Gregorio VII, come tutti gli altri
variamente grandi, non fu grande solitario ma accompagnato; il piú grande fra
uno stuolo di grandi; un grandissimo che non disdegna né invidia gli altri, ma
se n'aiuta. Del rimanente, e tutti questi, ed altri non nominati, ed Ildebrando
stesso, e tutto il risorgimento vennero senza dubbio dalle numerose riforme di
monaci fattesi in questo secolo, da' monasteri. Ogni cosa ha il tempo suo, e
non è cecitá piú nociva ad ogni retta intelligenza della storia, che non saper
veder la grandezza antica delle cose impicciolite poi. - Finalmente, fu altra
parte del medesimo risorgimento ecclesiastico, il risorgimento di quella che è
sempre primogenita fra le arti del disegno, dell'architettura. Nei secoli
stessi piú barbari, i papi edificarono per vero dire, ed ornarono chiese in
Roma; ma barbaramente allora. All'incontro nel secolo decimo i veneziani
incominciarono San Marco, e fu certamente grand'opera, principio di
risorgimento. Tuttavia fu ancora architettura bizantina, greca, non nostra, e
d'artisti probabilmente non nostri; come, del resto, quel poco che avemmo
allora dell'altre due arti. Ma è monumento d'arte giá diversa, e che perciò può
incominciare a chiamarsi «italiana», il duomo di Pisa, incominciato da
Buschetto, italiano, nel 1016, finito nel 1092, edificato in gran parte di
ruderi antichi, e in istile che non si può piú dir né romano decaduto, né
longobardo, né greco, né arabo, ma quasi eclectico e giá originale. Perciocché
questo fu fin da principio, nell'arti, come poi nelle lettere, il carattere
dell'originalitá italiana; che ella risultò appunto dallo scegliere e prendere,
onde che fosse, ciò che pareva bello ad ogni volta, senza esclusioni né impegni
né quasi scuola, senza insomma quelle grettezze di nazionalitá che si vanno ora
predicando. Queste non si vorrebber porre nemmen nella politica, dove son piú
dannose; ma caccinsi almeno dalle lettere, o almen almeno dall'arti, che sono
universali di natura loro. - Ad ogni modo e in due parole, furono notevolissimi
due risorgimenti di coltura italiana nell'etá che or lasciamo; quelli della
teologia e dell'architettura; ed amendue evidentemente ecclesiastici.
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