2.
Pontificato
di Gregorio VII [1073-1085]. - Gregorio VII era vecchio
d'intorno a sessant'anni, quando, appena sepolto il predecessore, ei fu (suo
malgrado, dicesi) acclamato papa, senz'altra elezione, dal clero e dal popolo
romano. Incominciò con grandissima moderazione verso Arrigo; sottoposesi,
secondo il costume, all'approvazione di lui, non die' séguito per allora alla
citazione fatta dal predecessore; si proferse mediatore tra esso il re e i
principi e popoli tedeschi sollevati; e andato a Benevento e a Capua, vi
ricevette il giuramento da Landolfo ultimo de' principi longobardi di
Benevento, e da Riccardo uno di que' principi normanni che andavan crescendo
[1073]. - Nel second'anno [1074] di suo pontificato adunò un gran concilio; e
cosí fece quasi ogni anno poi; onde vedesi essere lui stato uno di que' principi,
che, volendo far molto e contro a molti, sentono aver bisogno pur di molti, e
non temono né avversari né amici: i concili eran allora ai papi ciò che allora
ed ora le assemblee nazionali ai principi secolari, impedimento ai mediocri,
nuova forza agli operosi ed arditi. E cosí, fin da quel primo concilio,
Gregorio depose i sacerdoti concubinari, impose l'obbligazione del celibato a
chiunque s'ordinasse, anatemizzò i simoniaci. - Poi in nuovo concilio [1075]
proibí piú esplicitamente le investiture ecclesiastiche feodali, quelle
specialmente date col pastorale e l'anello (che erano segni non feodali ma
ecclesiastici) da re o signori secolari a vescovi od abati. E questi decreti
sollevarono fin d'allora in tutta la cristianitá numerosissimi avversari a Gregorio:
gli ecclesiastici concubinari, i simoniaci, e i signori che aveano date le
investiture, cosí dichiarate simoniache. Da qualunque de' quali fosse mosso
Cencio o Crescenzio un potente di Roma, rapí il papa dall'altare la notte di
Natale in Santa Maria maggiore, e il chiuse in una torre sua. Ma prima di
giorno fu liberato Gregorio a furia di popolo. Tutte queste non eran che
tempeste giá provate da altri; e ben altre s'ammassavano contro a quel gran
capo di Gregorio VII. I nemici delle riforme son sempre molti; perché le
riforme non si fanno se non quando son grandi abusi, e i grandi abusi han
sempre grandi e molti amici, quasi tutti coloro che ne approfittano. L'anno
appresso [1076], vittorioso giá Arrigo in Germania convoca in Vormazia una
dieta di signori feodali e di ecclesiastici inquietati in loro sedi e lor vizi;
ed ivi annullano l'elezione giá riconosciuta di Gregorio VII, e lo scomunicano.
Chiaro è; l'iniziativa degli eccessi venne qui dall'imperatore, e dagli amici
degli abusi. Scende un messo imperiale a portar tale sfida in concilio a Roma;
costui è poco men che ucciso tra l'ira che ne sorge; il papa lo salva; e lascia
poi o fa scomunicare Arrigo, che fu molto naturale e secondo il costume antico;
e poi sciogliere i sudditi di lor giuramento di fedeltá, che Muratori dice cosa
nuova «e creduta giusta in quella congiuntura». Né mi porrò io a troncar in una
riga tali questioni su cui si sono scritte biblioteche, né a risollevar
questioni felicemente cadute; dico sí, che in quella etá, e secondo l'istituzione
di Carlomagno, io veggo molto piú diritto nel papa di depor l'imperatore, che
non nell'imperatore (del resto non incoronato ed assalitore) di deporre il
papa. - Ad ogni modo, qui si vede per chi stava l'opinione universale. Il papa,
che s'era concitati tanti avversari, non ne fu scosso; il re vittorioso fu
abbandonato da quasi tutti. Adunasi [1077] una dieta a Triburia, si tratta di
eleggere un nuovo re, si rimanda la decisione a una nuova dieta indicata ad
Augsburg, e vi s'invita il papa. Questi vi s'avvia con Matilde la gran
contessa; giugne a Vercelli; e udito che scende Arrigo stesso, indietreggiano,
si racchiudono in Canossa, antico e giá storico castello che era or della
contessa. Intanto scende Arrigo con poca comitiva, ma con Berta, la moglie giá
disprezzata ai dolci dí dopo lo sposalizio, or protettrice di lui al dí della
sventura. S'abbocca oltre Alpi con Adelaide ed Amedeo, la torinese ed il
savoiardo madre e fratello di lei; e per averne passaggio concede loro nuovi
comitati, accrescimento a lor potenza giá grande. Quindi varcano il Moncenisio;
e per Torino e Piacenza arrivano tutti insieme a Canossa. Ivi stava coll'altra
gran contessa Gregorio, ricevendo, penitenziando, assolvendo scomunicati.
Arrigo implora, fa implorar il pontefice. Spoglio degli abiti imperiali è
introdotto oltre una prima, oltre una seconda cinta; rimane tra questa e la
terza tre dí; digiunando, tremando, avviliendosi. Apreglisi finalmente l'ultima
porta, s'inginocchia tra que' grandi e quelle donne, è assolto. Poi Gregorio
pontifica, si comunica, ed offre l'ostia ad Arrigo, che non osa e ricusa.
Brutta, eccessiva scena senza dubbio in tutto, per tutti due, al re che
s'avvilí, al pontefice che l'avvilí; e di che pagarono il fio tutti e due. Ma
gli eccessi son quelli appunto, che fanno spiccar piú chiara la natura d'ogni
uomo; e qui Gregorio avviliendo l'avversario, e pur non scemandolo, anzi
restaurandolo coll'assoluzione, si mostrò senza dubbio tutt'altro che
artifizioso o profondo politico; non altro che ciò che fu sempre, un teologo o
piuttosto un canonista irremovibile ne' diritti che crede suoi; una coscienza
ferrea, un'anima che fa ciò che crede bene, senza pensare un momento a ciò che
avverrá. - Uscito Arrigo di colá, lombardi e tedeschi lo accolgono dapprima con
dispregio, poi con pietá, poi con interesse, e il fanno risollevar contro al
papa. Ma s'adunano gli avversari d'Arrigo in Germania, e fan re Rodolfo di
Svevia cognato di lui. Risale Arrigo, e si tratta e guerreggia poi tra' due
[1078 e 1079], e il papa non approva né disapprova il nuovo re. Di nuovo è
chiaro qui il cattivissimo politico, l'uomo che si modera venendo a fatti gravi
e pensati, il teologo fermo quando (bene o male) vede chiaro il diritto suo
canonico, ma titubante negli affari umani. - Finalmente [1080] ei si decide e
dichiara per Rodolfo; ed Arrigo aduna, all'incontro, i suoi a Brixen, e fa
eleggere antipapa Ghiberto arcivescovo di Ravenna, uno de' piú scomunicati.
Allora, in situazione giá estrema, diventa, come sogliono i veri grandi,
grandissimo Gregorio VII. Fa pace con Roberto Guiscardo, il piú potente de'
duchi normanni che fosse stato per anco, vero fondatore di quella monarchia; e
se ne fa un alleato, che fu in breve quasi unico. Perciocché, al medesimo dí 15
ottobre le schiere di Matilde toccano nel Mantovano una gran rotta dalle
imperiali, ed è mortalmente ferito re Rodolfo in un'altra battaglia in
Germania. (Il ducato di Svevia fu allora dato da Arrigo agli Hohenstaufen, che
furono poi i successori della casa, i continuatori dell'opera de' Ghibellini).
- Allora [1081] fa sua seconda e ben diversa discesa Arrigo, or vittorioso ed a
capo d'un grand'esercito. Pone assedio a Firenze, ma n'è respinto; una prima
gloria di quella cittá, che non diremo ancor guelfa, ma giá papalina ed
anti-imperiale; una prima gloria mal avvertita dagli storici fiorentini, piú
attenti a' pettegolezzi interni o vicini, che non alle opere veramente
nazionali di lei. Arrigo poi venne con Ghiberto a campo dinanzi a Roma; ma ivi
pure, respinto dalla malaria, levò l'assedio, e tornò a Toscana e a Ravenna,
dove poi svernò, mentre in Germania si eleggeva contro a lui un nuovo re,
Ermanno di Lorena. - Alla primavera del 1082, ritorna Arrigo dinanzi a Roma; e
di nuovo se ne ritrae alla stagione della malaria, e risale a Lombardia. Al
terzo anno [1083], pone e leva un terzo assedio. Finalmente al quarto [1084],
ei tratta col popolo romano stanco, o, dicono, compro da lui. Gli sono aperte
le porte; il perdurante pontefice co' grandi che stavan per lui si racchiude in
castel Sant'Angelo; e, intronizzato l'antipapa Ghiberto, da costui poscia è
incoronato l'imperatore. Allora finalmente a muoversi il tardo alleato, Roberto
Guiscardo, che erasi occupato fin allora nell'ingrandirsi in Puglia, e
cacciarne i greci e perseguirli in lor terre; e che, per volersi far loro
imperatore, dicono trascurasse pur troppo l'offerta del regno d'Italia fattagli
da Gregorio. Quante belle occasioni perdute! Ad ogni modo, accorrendo ora
Guiscardo con un grande esercito e suo gran nome, non fu aspettato dall'imperator
dappoco, che risalí quindi in Germania, né dall'antipapa; ondeché egli entrò
facilmente in Roma con sue bande, fra cui erano saracini, e si pose a ruba ed a
sacco ed a fuoco la cittá; e si ricominciò, sollevatisi i romani, tre dí
appresso. Cosí funestamente si trovò allora liberato il pontefice, e restituito
in Roma mezzo distrutta. Quindi, fosse dolore di tal rovina, o timor degli
instabili e compri romani, ei lasciolla con Guiscardo o poco dopo, e si ridusse
con esso a Salerno. E mentre Matilde, raccolto un esercito contro
all'imperatore, gli dava una sconfitta nel Modenese, e il Guiscardo tornava a
sue imprese contro a' greci, lo sventurato pontefice, forse aspettando miglior
ventura, forse vinto, nell'anima no, ma nell'infermo corpo (gli uomini non son
di ferro), si rimase tutto il resto di quell'anno e il principio del seguente 1085 a quel rifugio. Finché, peggiorato e richiesto di levar le numerose scomuniche da lui
pronunziate, dicesi le levasse tutte, tranne quelle di Arrigo, dell'antipapa e
de' principali fautori di questo; ed interrogato di chi potesse essere, tra
tanti pericoli, successor suo, dicesi ne nominasse tre, de' quali due furono
papi poi; e che esclamando: «Dilexi iustitiam, odivi iniquitatem, propterea
morior in exilio», spirasse l'anima invitta. Niuno, ch'io sappia, fece il
ritratto di lui cosí esattamente, com'egli in queste poche parole, che furono
il grido ultimo di sua rettissima coscienza. Ad ogni modo, cosí cacciato di sua
sedia egli che avea rimossi tanti vescovi dalle loro, cacciato da' concittadini
egli che avea sollevati tanti popoli, lasciando un antipapa nella Chiesa egli
che avea voluto restaurare ed esaltare il papato, lasciando vittorioso
l'imperatore da lui giá deposto e raumiliato, lasciando insomma fallite in
apparenza tutte le imprese sue, morí non iscoraggiato il grand'uomo. E tutta
quella turba di anime volgari devote della ventura, che attestano sempre la
Providenza contro ad ogni malavventurato, videro forse allora il giudicio di
Dio pronunciato contro alle imprese di Gregorio VII. - Ma passati pochi anni,
si trovan compiute tutte le imprese incominciate, ispirate da lui; stabilito il
celibato ecclesiastico; tolte di mezzo la simonia, le investiture feodali delle
chiese; tralasciata la stessa conferma imperiale del sommo pontefice; due de'
tre designati da lui fatti papi; la potenza temporale accresciuta dalle
donazioni di Matilde, giá fatte fin dai dí di Canossa; le crociate, a cui fin
dal primo anno egli aveva invano confortato Arrigo, effettuate; la potenza
imperiale abbattuta cosí, che non si rialzò mai piú ad assoluta in Italia; e
quindi (ciò che importa qui particolarmente) i comuni costituiti; e il nome di
lui bestemmiato dai contemporanei, santificato poi dalla Chiesa; ribestemmiato
ne' nostri secoli da tutti i nemici della Chiesa, da molti scrupolosi adoratori
delle potenze temporali, rionorato oggi nella storia da alcuni protestanti non
illiberali. Cosí s'avanza il mondo cristiano; a forza di uomini di gran fede
che soffrono e muoiono per avanzarlo; mentre ridono e trionfano i piccoli,
credendo averlo fermato o sviato. - E cosí gioveranno un dí senza dubbio le
morti vostre, o Carlo Alberto, o cari nostri caduti.
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