6.
Lotario [1125-1137]. - I piú prossimi
parenti d'Arrigo erano i figli di sua sorella, Federigo e Corrado, detti di
Hohenstaufen dal castello lor nido originario, e di Svevia dal ducato che
dicemmo dato a lor famiglia. Federigo pretese al regno germanico; ma prevalse
nell'elezione Lotario di Suplinburga; e s'aprí la guerra. - Corrado scese in
Italia [1128], e fu acclamato re da' milanesi e dalle cittá loro aderenti,
combattuto da Pavia e dalle cittá che la seguivano; ma non riconosciuto dal
papa, ed abbandonato da' milanesi stessi, tornò a Germania. - Morto papa Onorio
[1130], fu eletto papa, e protetto da' Frangipani e gli altri nobili romani,
Innocenzo II; ed antipapa Anacleto, un discendente d'ebrei e figlio di Pier
Leone, che era stato prefetto imperiale e potente ne' turbamenti dei
pontificati anteriori. Quindi a dividersi Roma, le cittá italiane l'una contro
all'altra peggio che mai, la cristianitá. Anacleto ebbe per sé Ruggeri giá
signor di Sicilia, or duca di Puglia e riunitore dei vari principati di que'
normanni, di cui non avemmo spazio a riferire (né crediamo abbia a dolerne a'
leggitori) tutti gli accrescimenti, le contese, le guerre, le successioni. Ora,
Anacleto diede, o confermò, a Ruggeri [1130] il titolo di re. E quindi
incomincia quel regno di Sicilia e Puglia, il quale non solamente è di gran
lunga il piú antico, ma per sei secoli rimase il solo d'Italia (non contandosi
giá quello di Italia propriamente detto, indissolubilmente unito all'Imperio);
e che perciò trovasi da' nostri scrittori chiamato semplicemente il «Regno».
Nobilissima monarchia dunque senza dubbio! Nella quale è peccato solamente, che
sia durata cosí poco questa prima dinastia normanna e sei altre ne sien
succedute poi: mentre continuava una sola in parecchi principati europei, e fra
gli altri, in quello, tanto piú umilmente e lentamente cresciuto, della
monarchia di Savoia. Direm noi perciò, che sia vizio naturale, o del suolo, o
degli abitatori? o peggio, celieremo noi, come fanno alcuni, insolentemente,
quasi barbaramente, sulle tante rivoluzioni della «fedelissima» Napoli? No
davvero. Parliam seriamente; la colpa fu molto meno di que' popoli, che non di
quelle stesse dinastie; le quali esse furono, che non seppero radicarsi su quel
suolo cosí fecondo di tutto, contentarsi di esso, non cercar fortune lontane,
non perdere il certo per l'incerto. Vedremo tra poco questi primi Normanni dar
troppo male la loro erede a un figlio d'imperatori tedeschi, svevi; e gli Svevi
poi, come imperatori, naturalmente aspirare a tutta Italia, a mezzo mondo, e
soccombere a quel peso, aggravato, pigiato lor sulla testa, per vero dire,
dalle nemiche mani de' pontefici; poi soccombere gli Angioini al proprio mal
governo, alle proprie divisioni; e spengersi gli Aragonesi nella prima casa
d'Austria; e questa da sé, felicemente questa volta, ché il bel Regno, rimasto
provincia lontana per due secoli e piú, ritornò a indipendenza sotto a'
Borboni; e passare non senza splendore un Napoleonide, ma spegnersi con
Napoleone; e ritornare i Borboni, che Dio voglia far degni di durare.
Evidentemente, in tutte queste mutazioni non è ombra di colpe popolari; son
tutte colpe di principi, d'intiere dinastie, che alcune non seppero, altre non
si curaron nemmeno di diventar siciliane, napoletane, o, per dir piú e meglio,
italiane. Non s'inganni forse taluno per troppa erudizione. Perché non si
trovano i nomi, le idee di patria, d'Italia, cosí sovente negli scritti de'
secoli addietro come del presente, non si creda perciò che fosse guari men
necessario allora l'amar questa patria, l'esser buoni italiani. Queste idee
sono molto utili senza dubbio a discutere, a rischiarare, queste parole a
pronunziare e ripetere; ed è un bene, un progresso, che cosí si faccia ora,
quando non si fa troppo ignorantemente od anche scelleratamente. Ma anche senza
questi, che non sono insomma se non amminicoli, i popoli vollero e vorran
sempre esser tenuti di conto, apprezzati, coltivati con attenzione, con amore
da' loro principi; e chi nol fece, chi attese ad altri o ad altro, chi non
seppe nazionalizzarsi in qualunque nazione sua, italianizzarsi in Italia,
sempre fu o cacciato o abbandonato da' propri popoli, alla prima o alla seconda
occasione; sempre vide esso, o videro i figliuoli o i nepoti, finire lor
dinastia. Non saran forse inutili queste avvertenze a intendere le storie del
Regno. - Ad ogni modo, cacciato da quell'antipapa Anacleto, papa Innocenzo rifuggí
a Francia; e fiancheggiato da san Bernardo, gran teologo e filosofo scolastico
di quella nazione, fu in breve riconosciuto da tutti, e da Lotario stesso, che
è detto da un antico, «uom devoto al diritto ecclesiastico». - Sceso quindi
questi [1132] per Val d'Adige, venne a Roma [1133], vi fu incoronato da
Innocenzo in Laterano (essendo il Vaticano in mano dell'antipapa): e fatto con
quello un trattato per la successione di Matilde, risalí in Germania. - Si
rinnovarono allora, si accrebber le guerre tra cittá e cittá, tra parte e parte
delle medesime cittá. San Bernardo tentò comporre una volta [1134] quelle di
Milano ed altre di Lombardia; primo cosí o de' primi di que' monaci che a ciò
s'adoprarono santamente, ma poco men che inutilmente ne' secoli posteriori. -
Lotario, libero giá della parte degli Hohenstaufen in Germania, ridiscese in
Italia [1136], come pare, con un esercito piú forte del solito; assalí, prese
Pavia, Torino, Bologna e molte altre cittá che gli contrastavano, sia che
tenessero per l'antipapa, sia che gli chiudessero le porte per non pagare il
«fodero» o viatico, e non cader negli altri carichi del viaggio imperiale e
nelle contese dei dritti reciproci. Passò poi in Puglia contro Ruggeri sempre
nemico del papa, e risalendo a Germania, morí per via [1137] in quel Tirolo,
che rimarrebbe selciato, se non le avessero portate via, d'ossa tedesche. È
lodato come buon imperatore. Ma si vede che gl'italiani non li soffrivano
oramai né buoni né cattivi.
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