8.
Federigo I
imperatore, la guerra d'indipendenza [1152-1183] - E quindi non fará meraviglia, se la guerra
seguente, la piú bella, la sola santa e nazionale che si trovasse, prima
dell'ultima, nella storia moderna d'Italia, non fu tuttavia unanime, non
universale, non condotta fino ad effetto compiuto. Sarebbe facile forse, ma
vano certamente il celarlo; vano, se non nocivo seguir quell'uso invalso
poc'anzi tra noi di magnificar le glorie nostre passate, quando non si potevan
le presenti, serbato ora da alcuni per avvilir queste. La veritá esatta può
solo esser utile; io dirolla come la veggo. E se ne avrò taccia di troppo
austero, mi giustificherò, primamente, come sogliono i piccoli, coll'esempio
de' grandi, Dante, Machiavello, Alfieri; e noterò poi che chi parla cosí ai
compatrioti, erri o no, mostra almeno di tenerli per uomini, adulti, sani e
capaci d'udir veritá; mentre chi dice necessarie ad incoraggiarli le lodi
esagerate, le adulazioni, li tratta quasi donne, bambini, infermi o rimbambiti.
- Morto Corrado Svevo, i tedeschi elessero a re loro, e cosí, giá
incontrastabilmente nel fatto, re d'Italia e imperatore, Federigo I detto
«Barbarossa», figlio di quel fratello di lui che aveva preteso all'imperio, e
di Giuditta de' Guelfi Estensi. E riunite cosí in lui le due parti germaniche,
rimasero lá pacificate allora e per alcun tempo. Quindi ad esso l'occasione,
quasi il dovere di far l'opposto del predecessore, di lasciar Germania per
attendere a Italia; di vendicar Lotario il penultimo imperadore, a cui erano
state chiuse in faccia le porte di tante cittá italiane. Oramai queste discese
degli imperatori erano diventate guerre naturali, e poco men che universali tra
noi. Gl'imperatori, i tedeschi avevano contra sé non piú solamente le cittá
avverse all'imperio, ma quelle stesse che si proferivano imperiali, e che pur
intendevano i diritti imperiali tutto diversamente da ciò che eran pretesi
dagli imperatori. Questi volevan giudicare, statuire tra l'una e l'altra parte
d'ogni cittá, tra l'una e l'altra cittá, e principalmente tra i signori e le
cittá; e tuttociò non era sofferto dalle piú di esse, imperiali o non
imperiali. Ancora, l'imperatore aveva nelle cittá molti diritti d'onore e di
lucro personale; e questi, compresi sotto il nome di «regalie», e giá disputati
ab antico, erano venuti meno via via, e principalmente ne' quindici anni di
Corrado. Finalmente, gl'imperatori che avean fatte giá nell'etá passate tante
concessioni alle cittá, non avean mai conceduti loro i governi consolari, e li
riconoscean sí di fatto, ma li vedean male; mentre le cittá se n'eran venute
compiacendo piú e piú da mezzo secolo. In somma, non furono mai due opinioni,
due politiche piú opposte che quelle degli imperatori e delle cittá italiane,
della cancelleria imperiale e reale e de' governi comunali, quando
s'apparecchiava a scendere Federigo I re incontrastato di Germania, re d'Italia
e imperator designato, giovane coraggioso, afforzato ed insuperbito dell'unione
di Germania. - Giá in dieta a Vurtzburga ed a Costanza [1152-1153] fu
sollecitato da' messaggeri del papa contra Arnaldo da Brescia, da un principe
spogliato di Capua contra re Ruggeri, da due fuorusciti di Como contra Milano
che teneva lor cittá soggetta da un quarant'anni. Federigo mandò un messo
imperiale a Milano con un diploma in favor di Lodi, e i milanesi glielo tolsero
di mano e stracciarono in faccia, e lo cacciarono. - Scese quindi [1154] ben
accompagnato di milizie feodali Federigo per il Tirolo, e venne presso a
Piacenza; a quel campo di Roncaglia, dove gli ultimi imperatori solean tener
dieta e raunar loro aderenti, dacché appunto solean chiudersi loro le cittá.
V'udí i lamenti di Como e Lodi contra Milano, del marchese di Monferrato contra
Chieri ed Asti. Barcheggiò dapprima con Milano; e facendosene fornir viveri,
risalí il Ticino. Poi sorta disputa per que' viveri, aprí la guerra, prese a'
milanesi tre castella, Rosate, Trecate e Galiate; ed arsi a proprie spalle i
ponti sul Ticino, risalí il Po fino a Torino [1155], passollo ed arse Chieri,
che serba cosí l'onore d'essere stata prima cittá vittima di lui, e poi Asti.
Tornato cosí lá presso onde s'era mosso (strana guerra o piuttosto scorreria
che giá mostra il niuno accordo degli italiani), pose campo contro a Tortona
alleata di Milano, nemica di Pavia; intimolle di mutar alleanze, fu rifiutato,
assediolla due mesi, incrudelí contro ai prigioni, guastò i fonti agli
assediati, e prese la cittá [15 aprile], la saccheggiò ed arse. - Quindi
fattosi incoronar re a Pavia, s'avviò per farsi incoronare imperatore a Roma.
Dove, morto giá Eugenio III [1153] ed Anastasio IV [1154], pontificava Adriano
IV, ma poteva il nuovo senato; e sott'esso quell'Arnaldo da Brescia, il
condannato d'eresia, predicante per il senato contro al papa. E papa e senato
aspettavano ora la decisione dell'imperatore; scusabili dunque tutti e due, se
si voglia, sulle condizioni de' tempi; tutti e due condannabili, se si attenda
a quel dovere di tutti i tempi, di non dividersi in presenza allo straniero;
quel dovere che ben fu, a distanza di otto secoli, saputo adempiere da un
Lanzone a Milano, da un Mastai a Spoleto. Quanto poi al far, come taluni,
sempre colpevoli i papi, sempre scusabili od anche eroi di libertá, o, piú,
d'indipendenza, i loro avversari; ella mi pare di quelle nequizie che non
possono se non isviar del tutto la storia, e, che è peggio, la politica pratica
della nazione. Ad ogni modo, Arnaldo era allora giá piú o meno abbandonato dal
senato, e trovavasi rifuggito in un castello vicino d'un partigiano suo. Giunto
lá presso, Federigo prese costui, e fecegli dar Arnaldo nelle mani del prefetto
imperiale di Roma, che il fece ardere in piazza del Popolo. Compiangiamo il
supplizio religioso o politico; ma non piú. Quindi avanzossi Federigo, ed
incontrato dal papa gli tenne la staffa; incontrato da una deputazione del
senato, che orò quasi senato antico ed elettor d'imperatori, passò oltre,
ridendone egli e i suoi tedeschi, come succede degli scaduti che si credono
grandi tuttavia. Quindi fu incoronato [1155] in Vaticano senza entrare in Roma,
combatté colle milizie di Roma sollevateglisi contro, si ritrasse a Tivoli,
mosse contra Spoleto che avea lesi parecchi diritti d'imperio, e l'arse. Poi,
negletto il Regno, dove al primo e gran re Ruggeri era succeduto suo figliuolo
Guglielmo detto «il cattivo» [1153], licenziò in Ancona il suo esercito
feodale, e sfuggendo le insidie de' veronesi, per il Tirolo risalí a Germania.
Avea prese le due corone, avea fatta sentir qua e lá crudelmente ma non
rinvigorita la potenza regio-imperiale, ed avea schivata la cittá nemica
principale, Milano. - Quindi ad innalzarsi i milanesi a giusto orgoglio, a gran
credito, a meritata potenza in tutta Italia: Milano faceva allora ciò che giá
Roma all'epoca di Camillo: in Milano era la somma, era l'onor d'Italia; i
milanesi furono sublimi, prudenti, disinteressati, generosi in tutta questa
guerra. Giá, presente ancora Federigo, aveano essi stessi riedificata Tortona,
la fedele alleata, e sconfitti i pavesi contrastanti. Ora, assente lui,
ridussero questi alla pace; e punirono piú o meno gli imperiali, il marchese di
Monferrato, Cremona, Lodi; ristrinser lor alleanze, fortificarono i passi
d'Adda e Ticino. E quindi ad accostarsi pur il papa alla parte nazionale, a
stringer alleanza con re Guglielmo, a insuperbire coll'imperatore. In una
lettera gli parlò della corona imperiale come di «beneficio» concedutogli; ed
alla cancelleria tedesca parve tanto piú ingiuria, perché allora tal parola
aveva, oltre sua significazione naturale, pur quella di feudo. Il papa spiegò
che aveva intesa la prima, l'imperatore si contentò.
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