9.
Continua. - Fece una
seconda discesa [1158] come la prima, per Tirolo; e la molta gente sua
(centomila fanti, dicesi, e quindicimila cavalli) per gli altri passi del
Friuli, di Como e del Gran San Bernardo. Volea finirla una volta con questi
italiani, con questi milanesi principalmente, che intendean cosí male
l'imperio; volea questo restaurare a modo suo finalmente. Occupò, atterrí tutta
Lombardia; presentossi a Brescia, sola che mostrasse di voler restar costante a
Milano, alla indipendenza; e n'ebbe obbedienza, Sforzò i passi dell'Adda difesi
da' milanesi, prese loro varie castella, diede a' lodigiani nuovo sito a riedificar
lor cittá, arrivò dinanzi a Milano [8 agosto]. Ma non osò assalirla a forza; la
circondò, l'affamò. Seguirono belle sortite degli assediati. Ma in capo a due
mesi il conte di Blandrate, un signor potente, lor capitano, li persuase ad una
capitolazione; la quale ebbero moderata, dando all'imperatore poco piú che il
giuramento e le regalíe, e serbando i consoli [7 settembre]. - Ma Federigo
adunava una nuova gran dieta a Roncaglia, e vi chiamava i giureconsulti dello
Studio di Bologna, sorto fin dal principio del secolo; i quali spiegarono i
diritti imperiali secondo i codici giustinianei, e non sugli acquisti via via
fatti di libertá. Bisogna dire, che i giureconsulti di quell'etá non
conoscessero né il diritto di prescrizione, né anche meno quello imprescrittibile
di qualunque nazione, di non soggiacere ad un'altra. Certo che anche di questo,
come di qualsiasi diritto, si può disputare e si disputa ad ogni occasione, se
sia rivendicato con mezzi legittimi e prudenti, o no: ma l'imprudenza o l'illegittimitá
de' mezzi non toglie il diritto primitivo. Se tu mi rubi il mio, ed io tento
ucciderti, fo male senza dubbio; ma il mio rubatomi riman sempre mio. Ma i
giureconsulti di Bologna non l'intendean cosí; non facevano imprescrittibili se
non i diritti del sacro romano imperio ai tempi di Teodosio e Giustiniano.
Quindi, non solo furono da costoro rivendicate all'imperio le regalie, e tolto
alle cittá l'uso delle guerre cittadine, ma fu inventato, e stabilito poi in
ogni cittá dove poté l'imperatore, un magistrato suo, che dovea, rimanendo i
consoli, rappresentare la potenza imperiale, e che appunto fu chiamato «potestas»,
«podestá». Quindi condannavasi e smuravasi Piacenza, a brutta richiesta della
vicina Cremona; e rivendicavansi all'imperio Sardegna e Corsica, tenute da'
genovesi e pisani. I primi accennarono resistere; uomini, donne, vecchi e
fanciulli edificarono allora lor forti mura; e furon lasciati tranquilli, anzi
esenti dalle regalie, liberi del tutto. Ma non cosí Milano, risorta con Brescia
e Crema contro ai podestá e all'altre infrazioni degli ultimi patti. Cosí
Federigo ebbe a ripigliar l'armi; e, saccheggiati i campi, pose assedio a Crema
addí 4 luglio 1159. - Segue una delle piú nobili fazioni di quella e di
qualunque guerra. Sei mesi e mezzo di resistenza; Milano e Brescia mandano
aiuti; belle sortite, vittorie degli assediati; Federigo fa da barbaro impiccar
i prigioni dinanzi alle mura; i cremaschi impiccan sulle mura a rappresaglia;
Federigo inferocisce, uccide gli ostaggi adulti, e attacca i bambini a una
torre di legno che s'avanzava secondo l'uso per l'assalto, e contro cui
tiravano i mangani de' difensori. Fra le grida disperate de' figliuoli e de'
padri, esclama uno di questi: - Benedetti coloro che muoiono per la patria; - e
continuan gli argani, finché i tedeschi di sotto alla torre temono esservi
schiacciati, e la ritraggono. Eran morti nove, feriti due, salvi pochi di
quelle vittime. Questi son sangui che a nostra etá parrebbon dover sollevar
milioni; ma non è vero, né per allora né per adesso. Non se ne accrebbe la
guerra: le cittá imperiali rimasero imperiali, e le vicine rabbiosamente invide
delle vicine; tantoché, quando la dissanguata Crema si pose a discrezione [26
gennaio 1160] dello straniero inferocito, non chiese grazia che d'esser salva
dalla ferocia della vicina Cremona: ma nol fu; ché usciti i cittadini, predata
ed incendiata la cittá, i cremonesi si tolser essi il carico di abbattere i
resti, d'appianare il suolo. Noi vedemmo, due secoli addietro, invidie di
principi e marchesi; un secolo addietro, invidie di signori minori e
d'ecclesiastici; ora, appena libere le cittá, incominciano i secoli, anche piú
lunghi, delle invidie cittadine. Sempre invidie in Italia, sempre il vizio di
odiar la grandezza nazionale piú che la straniera, il vizio, il piacer servile
di ribattere i ferri a' conservi. - Intanto Crema, la generosa cittaduzza,
avea, sagrificando se stessa, consunte le forze, e, che era piú allora, il
tempo dell'imperatore. Questi dovette lasciar tornare a casa i feudatari,
sciogliersi l'esercito, ridursi lui a guerra, a zuffe contro a' milanesi; e ne
fu battuto due volte a Cassano e Balchignano. Ed intanto sorgeva nuovo e grande
aiuto morale a' milanesi. Morto papa Adriano, giá piú e piú guastato
coll'imperatore [1159], erangli stati eletti due successori: papa Alessandro
III da tutti i cardinali, salvo tre; Vittore IV antipapa, uno dei tre, dagli
altri due. L'imperatore citolli a sé. Alessandro da vero papa ricusò, e fu
riconosciuto dall'Italia libera, dalla cristianitá; Vittore accettò, e fu
riconosciuto dall'imperatore. Allora la guerra nazionale s'inasprí in
religiosa. - E venuto un nuovo esercito a Federigo nel 1161, mosse egli
finalmente contra a' milanesi, rinchiuseli entro lor mura, arse lor mèssi,
tagliò loro gli arrivi, ma, come la prima volta, non osò assalirli, li affamò:
cosí durarono, resistettero un nove mesi. Poi, esausti, domandarono a
capitolare; l'imperatore li volle a discrezione; i consoli volean durare
ancora, il popolo cedè, s'ammutinò, li sforzò. Giá erasi lungi dall'imitazione
romana; ma non s'avea forte, ordinata aristocrazia che potesse partecipare al
proprio la virtú propria di lei, la perduranza. Allora i consoli giurarono [1°
marzo 1162], fare, e far fare tutte le voglie dell'imperatore. Il quale, fosse
vil timore o vil piacere d'assaporar le crudeltá, manifestolle a poco a poco.
Furono un dí fatti uscire trecento militi a depor l'armi; un altro dí tutti i
consoli de' tre ultimi anni, le croci in mano, a domandar mercé; poi tutti
quanti i cittadini, che furon dispersi nelle cittá vicine e rivali; e
finalmente, Federigo entrò nella vuota cittá e diedene a disfare un quartiere
ad ognuna di quelle altre che non ho il cuore di nominare. - E, domata Milano,
tornò Federigo alla vicina Pavia, e vi ricevette omaggio delle giá imperiali, e
di quelle che tali facevansi ora per timore. L'Italia parea domata. A mezzo
l'anno 1162 risalí in Germania, quasi senza esercito.
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