14.
Filippo e
Ottone [1198-1218]. - Morirono poco
appresso Celestino III, a cui succedette [1198] Innocenzo III, un nuovo gran
papa, e Costanza che lasciò a questo la tutela del figlio, forse perché la gran
donna sentiva che egli era natural avversario, e volle sforzarlo a farsi cosí
difensor del figliuolo fanciullo. Né le fallí il pensiero; i grandi animi
s'intendono. Innocenzo III, esagerato forse nell'esercizio dell'autoritá
pontificale fuor d'Italia, fu grand'uomo ad ogni modo; ed esercitò la tutela,
anche piú che non sarebbe stato utile all'Italia, generosamente, fedelmente. Ma
giá, senza badare a quel fanciullo, erano stati eletti re in Germania Filippo
di Svevia, fratello d'Arrigo VI figliuolo di Federigo I e capo cosí della casa
e della parte ghibellina; e contra lui, Ottone giá duca di Sassonia e Baviera,
e capo di parte guelfa. E perché molto si parteggiò per l'uno e l'altro, e con
li due nomi di parti pure in Italia, quindi ripetono gli scrittori antichi
l'origine o almeno l'introduzione delle due tra noi. Ma i nomi tutt'al piú
poterono esser introdotti allora; ché quanto alle parti, com'elle diventarono
in breve (prevalendo gli Svevi o ghibellini) imperiale e tedesca l'una,
anti-imperiale e anti-tedesca l'altra, elle esistevano da gran tempo
certamente, ed esisteranno inevitabilmente, finché saranno imperatori tedeschi,
ed uomini italiani, in Italia. Ed è perciò appunto che ai nostri dí alcuni,
almeno incauti, vorrebbono risuscitare il nome «guelfo». Grande inutilitá!
essendo piú chiaro, piú esplicito, piú buono, piú facile ad accettarsi ed
ampliarsi il nome di «parte nazionale» od «italiana» od «antistraniera». Grande
imprudenza! tale essendo il tôrci carico de' peccati antichi di quella parte,
che vedremo farne meno certamente che non i ghibellini, ma farne pur troppi
ancora. - I due competitori poi guerreggiaronsi a lungo in Germania; non
discesero in Italia. Fu Ottone riconosciuto da Innocenzo l'anno 1200, ma vinto
nel 1206 da Filippo. - Dopo la morte del quale [1208] riconosciuto Ottone
universalmente in Germania, scese in Italia e fu incoronato a Roma [1209]. Ma
progredito quindi a Puglia, per ispogliare del regno Federigo il pupillo di
Innocenzo, è scomunicato da questo; e Germania se ne solleva, ed egli è
sforzato a risalirvi [1211]. Quindi s'impiccia nelle guerre dei francesi ed
inglesi; e sconfitto da' primi a Bovines, ne cade sua potenza in Germania, e
poco men che derelitto muor poi nel 1218. E lasciò indisputato oramai quel
regno, e perciò quel d'Italia e l'imperio a Federigo, lá risalito fin dal tempo
della scomunica del competitore, lá tre volte rieletto, e due volte incoronato,
ed or giovane adulto di ventidue anni. - Intanto in Italia era cresciuta la
potenza di papa Innocenzo III, al modo solo in che sempre crebbe, in che solo
può crescere la potenza temporale d'un papa, congiungendosi coll'opinione
d'Italia che circonda quella potenza. In Roma accettò, ordinò la potenza nuova
del senatore. Ed Innocenzo III era pure un grande, un forte, un arditissimo
uomo. Ma il fatto sta, che sono appunto questi gli uomini i quali ripugnan meno
alle concessioni opportune; sia perché le loro grandi menti fan loro vedere piú
chiara tale opportunitá o necessitá; sia perché non temono di parer temere, né
di lasciarsi soverchiare o prender la mano dalle concessioni. In Sicilia
Innocenzo III guerreggiò in nome del pupillo contra Marcovaldo, tedesco,
siniscalco del Regno, alleato de' saracini. In Toscana, sia in nome del
retaggio di Matilde, sia in nome della libertá, guerreggiò, trattò colle cittá,
e riunille quasi tutte (salvo Pisa che avea ottenuti nuovi privilegi ed era
quindi sempre piú imperiale) in una prima lega toscana o guelfa, conchiusa a
San Miniato. A Spoleto ed Ancona guerreggiò in nome delle antiche donazioni.
Riuní piú territorio che niuno de' predecessori. E risuscitando le pretensioni
di Gregorio VII (ma senza le necessitá ecclesiastiche di quello), fece
intervenire la sua autoritá negli affari d'Ungheria, Polonia, Danimarca,
Francia, Inghilterra, Aragona e Portogallo, tutta Europa. E tali intervenzioni
furono utili senza dubbio parecchie volte. Se fossero esagerate talora, ne
giudichi altri; non sono affari nostri. Sorti ai tempi di lui due grandi ed
operosissimi santi, san Francesco, italiano, e san Domenico, spagnuolo, furono
da lui approvati i loro due grandi ordini mendicanti, de' frati minori, e de'
predicatori. Come il cristianesimo fu detto «pazzia della croce», questi si potrebbon
dire «pazzie della caritá». L'esercitavano, passivamente colla povertá;
attivamente, colle limosine, colla predicazione, colle missioni nella gentilitá
fin d'allora. I predicatori furono accusati dagli uni, giustificati dagli
altri, di crudeltá contro agli albigesi, eretici francesi; ed anche questa non
è cosa nostra. È vero che in Italia pure poteron aiutare alle persecuzioni
contro agli eretici catari e paterini che sorgevano allora non guari diversi
dai francesi; ma piú sovente servirono alle pacificazioni, alle concordie di
cittá e signori. E san Tomaso, domenicano, san Bonaventura, francescano, grandi
teologi che fiorirono intorno alla metá di questo secolo, diedero senza dubbio
(molto piú che non i primi poeti) alla coltura italiana quella spinta,
quell'andamento progressivo, che non cessò piú per tre secoli, che la fece
primeggiare tra tutte le contemporanee.
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