18.
Il terzo
periodo della presente etá in generale [1268-1377]. - Segue il periodo della potenza angioina,
meno infelice, men pericolosa alla libertá, giá confermata, de' comuni.
Perciocché per quanto severo sia il giudicio che si deve fare degli ultimi
papi, inutilissimamente qui chiamatori di nuovi stranieri, il fatto sta che la
libertá d'Italia non fu mai cosí presso a compiuta come ne' due secoli
seguenti, come in generale tutte le volte che alla signoria o preponderanza
tedesca sul settentrione d'Italia si contrappose staccato il Regno del mezzodí.
Allora, per poco che non sieno mediocrissimi, paurosissimi quei re lontani
dalla prepotenza tedesca, sorge un equilibrio naturale, che dá fiato, che
diminuisce la servitú della penisola intiera; e se fosse mai sorto, se sorgesse
mai un gran principe colá, non è dubbio che la servitú cesserebbe del tutto. Se
Carlo I fosse stato simile al gran fratello san Luigi di Francia (ma forse, se
tale, non sarebbe venuto a Italia), sarebbesi ciò allora adempiuto. Ma qui fu
il gran danno, qui la colpa del secolo che siam per correre; né Carlo I né
niuno degli Angioini non furono grandi principi mai; furono principi
semibarbari, semifeodali, non occupati in altro che nell'estendere lor potenza
personale, senza uno di quei pensieri di riunire in un corpo una nazione, di
appoggiarsi sugli interessi generali, sulle opinioni di lei, di riunirla quando
divisa, di ordinarla quando scomposta, di liberarla quando dipendente, o di
accrescere la somma delle forze, della virtú, della felicitá di lei, quando giá
sia indipendente; i quali, per vero dire, son pensieri di etá piú progredite,
od anzi di pochi eletti in queste stesse. E tuttavia anche allora, anche non
bene costituito il Regno, il costituirsi antitedesco di esso fu tal fatto, che
se ne muta quinci innanzi l'andamento di tutti i fatti minori; che dopo un
secolo di prepotenza tedesca combattuta ed abbattuta, segue un secolo di
prepotenza francese; che l'imperio, gli imperatori eletti, od anche discesi ed
incoronati, ne scemano del tutto d'importanza; e che non piú sulla successione
di questi, ma su quella dei re Angioini, ci pare dover oramai dividere ed
ordinare la successione degli eventi. - Del resto, noi continueremo per forza a
tralasciare le guerre civili di cittá a cittá, ed anche peggio le cittadine
entro ad ogni cittá, e gli accrescimenti piú che mai frequenti de' tirannucci
in ciascuna, o de' signori feodali, quando tutti questi fatti non sieno
importantissimi alle vicende di tutta Italia, le quali sole qui proseguiamo.
Noi non abbiamo spazio da badare agli interessi, alle memorie anche gloriose
(se ci sia lecito dir cosí) di niun campanile, sia pur quello di Santa Maria
del fiore di Firenze, di San Marco di Venezia; né agli interessi o alle
genealogie di nessuna famiglia principesca, sia pur quella d'Este o di Savoia.
All'incontro, ci pare importante a notar fin di qua della parte guelfa; che
siam per vederne i piú gravi errori, gl'imperdonabili pervertimenti, il passar
di lei sotto a capi stranieri, e quindi l'esagerarsi, il dividersi, il perder
lo scopo qualunque che pur aveva avuto, il ridursi piú che mai a nome vano e
nocivo di discordie. E noteremo delle cittá in generale: che elle giá non si
reggevano né si resser piú in niuna di quelle forme originarie, quasi
universali e piú semplici, de' consoli del secolo decimosecondo, o de' podestá
del principio del decimoterzo; che ogni governo cittadino s'era mutato in forme
diversissime, e variabilissime, secondo la preponderanza de' ghibellini o de'
guelfi, de' nobili antichi o de' nuovi, de' popolani dell'arti maggiori o delle
minori, od anche dell'ultima plebe, ad ogni decennio, ad ogni lustro, ad ogni
anno; che questi governi quali che fossero, quand'eran di parecchi, si
chiamarono la «Signoria»; e quando d'uno costituito legalmente o illegalmente,
il «signore» dagli amici, il «tiranno» da' nemici; e che insomma le divisioni e
suddivisioni e diversitá e gelosie ed invidie e pettegolezzi d'Italia non
furono cosí moltiplici mai come in questo secolo. Il quale tuttavia è il secolo
di Dante (nato l'anno appunto della discesa di Carlo, 1265) e di Petrarca,
Boccaccio, e Giotto e Arnolfo di Lapo e Nicolò Pisano, il secolo in che piú
progredirono a un tratto la lingua, le lettere, le arti nostre. Tanto a tutte
le colture generalmente, alle lettere principalmente, valgono l'indipendenza
anche incompiuta, la libertá anche coi suoi inconvenienti ed abusi ed eccessi.
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