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Re Carlo II
d'Angiò [1285-1309]. - A Carlo I d'Angiò
successe, da sua prigionia d'Aragona, Carlo II figliuolo di lui, nel regno di
Puglia ed insieme nel contado di Provenza e gli altri feudi francesi. E fu
nuova disgrazia nostra siffatta riunione del regno italiano e delle province
francesi negli Angioini; i quali, quantunque dimoranti tra noi, sempre rimaser
francesi, non si fecer nostri bene mai, come succedé poi piú volte delle
famiglie di principi stranieri ma venute a regnare in Italia sola. Il tempo di
Carlo II è famoso nella nostra storia letteraria, perché è quello della vita
politica di Dante, quello de' fatti che entrano piú abbondantemente nel poema
di lui. Ed è pur tempo molto notevole nella nostra storia politica, perché
oramai abbiamo in essa tedeschi, francesi, spagnuoli, tutti quanti gli
stranieri moderni; e perché poi è il tempo degli ultimi errori di parte guelfa,
quello in che succombette la suddivisione moderata, papalina ed italiana, e
prevalse l'esagerata, pura o francese. - Morirono nel medesimo anno che Carlo
I, papa Martino, a cui succedette Onorio IV italiano, e Pietro re, a cui
succedettero il figliuolo primogenito di lui Alfonso III nel regno d'Aragona, e
il secondogenito Giacomo in quel di Sicilia. Carlo II d'Angiò fu liberato per
un trattato del 1288; onde rimase a lui il regno di Napoli o Puglia, a Giacomo
quel di Sicilia. Ma appena giunto Carlo in Italia, ei ruppe il trattato; e si
riaprí la guerra di Francia, Castiglia e Napoli contra Aragona e Sicilia, giá
di nuovo riunite (per la morte di Alfonso) in Giacomo re dell'una e dell'altra.
Cosí pressato, questi conchiudeva [1296] un nuovo trattato, per cui anche Sicilia
era abbandonata all'Angioino. Ma sollevaronsi i siciliani, gridaron re Federigo
fratello minore dell'Aragonese; e il sostenner poi generosamente,
fortissimamente in lunga guerra contra Napoli, Francia, ed Aragona stessa. -
Intanto al breve e non importante pontificato d'Onorio IV era succeduto quello
non guari diverso di Nicolò IV [1288-1292]; ed era quindi vacata la Sedia due
anni tra le dispute de' cardinali italiani e francesi; ed eletto poi Celestino
V, un santo romito, che fu grande esempio del non bastare le virtú private a
quel sommo posto della cristianitá; e che fece quindi «il gran rifiuto»,
spintovi, dicesi, dalle arti di colui che voleva essere e fu in breve successor
suo, Bonifazio VIII [1294]. Noi vedemmo, per due secoli e piú, un papa grandissimo
e come pontefice e come principe italiano, non pochi grandi, quasi tutti buoni
nelle due qualitá, quantunque talora imitatori inopportuni ed esagerati di
Gregorio VII, alcuni solamente degli ultimi, i francesi, non buoni principi,
come esageratori di parte guelfa fatta francese. Ora, Bonifazio VIII italiano,
ma da principio tutto guelfo, esagerato, tutto francese, e poscia tutto
contrario, e non solo imitatore inopportuno, ma, se sia lecito dire, caricatura
di Gregorio VII incominciò la serie de' papi men buoni o cattivi che vedremo
poi. Una delle opere piú infelici di lui, fu il sostegno dato ai guelfi
esagerati di Toscana; i quali prima in Pistoia, poi in Firenze e tutt'intorno,
incominciarono a chiamarsi «neri»; contro ai moderati, chiamati «bianchi», ed
accusati (secondo il consueto) di pendere alla parte opposta ghibellina. Dante,
Dino Compagni, il padre di Petrarca, e quanti erano animi alti e migliori in
Firenze furono naturalmente di parte moderata; ma fu poi gran colpa politica di
Dante e non pochi altri, di quasi giustificar quell'accusa, rivolgendosi poi,
quando perseguitati, e per ira, a quella parte non loro, a quelli che avrebbon
dovuto serbare per avversari comuni. Intanto Bonifazio chiamava ad aiuto de'
guelfi neri o puri Carlo di Valois. un guerriero venturiero di casa Francia, a
cui giá era stato dato e tolto nelle guerre e paci anteriori (in parole non in
fatto) il regno d'Aragona. Scese in Italia con poca gente, pochi danari,
s'abboccò con Bonifazio, risalí a Firenze, mutovvi il governo da' bianchi a'
neri, che esiliarono i bianchi, e cosí Dante [1301]. L'anno appresso guerreggiò
contra Federigo Aragonese, approdò in Sicilia; ma vi fu ridotto a cosí mal
partito, che ne seguí finalmente la pace tra Francia, Aragona, Puglia e papa da
una parte, e Federigo dall'altra, e ne rimase Sicilia a questo, secondo lo
scritto per sua vita solamente, ma di fatto a sua famiglia poi [1303]. A tal
fine contraria riusciva una delle ire di Bonifazio. Peggio che mai le due
altre, in che si precipitò contro a' Colonnesi, una famiglia cresciuta a gran
potenza intorno a Roma; e contro allo stesso Filippo il bello, re di Francia,
alla cui parte in Italia ei s'era anche troppo accostato, ne' cui affari
francesi ei voleva, ma non era lasciato entrare. Fu la prima od una delle prime
volte che si parteggiò colá per quelle cosí dette libertá della chiesa
gallicana, le quali Sismondi non cattolico ma liberale chiama «diritto di quel
clero di sacrificar la coscienza stessa alle voglie del padrone secolare, e di
respingere la protezione d'un capo straniero e indipendente contro alla
tirannia». Ad ogni modo, accordatisi un mal cavaliero francese, ed un malo
italiano, Nogareto e Sciarra Colonna, insidiarono il papa in Anagni; presero la
cittá, invasero la casa, insultarono, minacciarono, e fu detto Sciarra battesse
il vecchio pontefice di ottantasei anni. Ad ogni modo il tenner prigione tre
dí, finché fu liberato dal popolo sollevato contro all'eccesso; ed egli
d'angoscia o di furore moriva fra pochi altri dí [1303]. - Succedevagli
Benedetto XI, papa italiano, buono e di nuovo paciero; ma morí fra pochi mesi,
e, dicono, di veleno [1304]. Allora disputavasi a lungo l'elezione, di nuovo
tra francesi ed italiani; e finivasi con un compromesso, che questi eleggessero
tre candidati, e quelli nominassero ultimamente uno fra' tre; e ne riuscí papa
Clemente V, francese [1305], di funesta memoria, che tutti s'accordano a dire
aver patteggiato di pontificare a voglia del re francese, e che ad ogni modo
cosí pontificò. Rimase in Francia, chiamovvi i cardinali, la curia romana; e
non potendo la Sedia, piantovvi la residenza, che continuò colá intorno a
settant'anni, e fu dai contemporanei scandalezzati chiamata «cattivitá di
Babilonia». Ancora, egli fu che abolí i templieri, ordine di frati guerrieri
simili a' gerosolimitani, piú guerrieri che frati, forse giá decaduti in
costumi, certo cresciuti in ricchezze: ondeché loro spoglie furono forse
allettamento, certo grande e brutta preda. In Italia Clemente V volle far il
paciero; ma lontano, straniero, e da terra straniera non gli riuscí. La parte
francese, guelfa esagerata, trionfò quasi dappertutto. In Toscana continuarono,
s'accrebbero i neri; in Bologna prevalsero, cacciando i bianchi nel 1306. In Milano, dove, cacciati i Torriani da parecchi anni, avean signoreggiato i Visconti pendenti
a ghibellini, erano stati cacciati questi fin dal 1302; e ne era seguíta una
lega guelfa di molte cittá, lega non piú di nazionali contra stranieri, ma
nazionali contra nazionali, caricatura anche questa di bei fatti antichi. Nei
soli Scaligeri di Verona rimaneva qualche forza, qualche speranza, il primato
della parte ghibellina, a cui i tedeschi non pensavano piú. Ché, morto Rodolfo
nel 1292, e succedutogli a re de' romani Adolfo di Nassau, non iscese, non poté
nulla in Italia. Né vi scese o poté Alberto d'Austria figliuolo di Rodolfo, che
nel 1298 fu eletto contro Adolfo, e lo spogliò ed uccise in battaglia; e che fu
quello poi contro a cui nel 1307 si sollevarono e si liberarono ammirabilmente
gli svizzeri, come ognun sa. Ma ucciso costui da un suo parente a vendetta
personale nel 1308, gli fu eletto a successore Arrigo VII di Lucemburgo; il
quale, chiamato da' ghibellini, annunziò voler finalmente dopo sessant'anni far
rivedere all'Italia una discesa imperiale. Ma, prima che l'effettuasse, morí
Carlo II d'Angiò, e succedettegli Roberto suo figliuolo secondo [1309]. Il
primo, Carlo Martello, l'amico di Dante, era morto da parecchi anni, lasciando
un figliuolo, stipite degli Angioini d'Ungheria, i quali rivedremo in Italia.
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