26.
Giovanni
Maria Visconti secondo duca [1402-1412]. - Ma poco mancò che coloro non rovinassero il nuovo ducato
de' Visconti. Morendo Gian Galeazzo avea lasciati due figliuoli di tredici e
dodici anni: Giovan Maria che gli succedette nel ducato di Milano, Filippo
Maria nel contado di Pavia; ambi sotto la tutela di Caterina lor madre, sotto
la protezione de' condottieri. Ma le cittá si sollevarono, e i condottieri
riducendole le serbarono per sé; si fecero forti in ciascuna, Facino Cane il
principale di tutti in Alessandria, Ottobon Terzo in Parma, Malatesta in
Brescia, Giovanni da Vignate in Lodi, Gabrino Fondolo in Cremona e via via.
Caterina, tiranneggiante con Barbavara cameriero giá di suo marito, fu chiusa
in carcere, dove morí; colui cacciato [1404]. Giovan Maria cresciuto e sorretto
da Facino Cane, tiranneggiò, incrudelí, lussureggiò anch'esso in Milano. Gran
cacciatore, dicono (ma è credibile?) cacciasse uomini; fu scannato da alcuni
gentiluomini milanesi addí 16 maggio 1412. Diventò duca il fratello di lui
Filippo Maria conte di Pavia. Intanto, anche piú facilmente s'erano sollevate e
liberate le cittá piú lontane venete e toscane. Francesco Novello da Carrara
univasi con Guglielmo ultimo degli Scaligeri, figlio di quello spogliato giá
quindici anni addietro; e insieme riprendeano Verona [1404]. Ma lo Scaligero
morí, dicesi di veleno, pochi dí appresso; e cosí finí quella famiglia dopo due
secoli di signoria, senza vera gloria, senza risultato. Quante pene sprecate,
quanti semi di virtú perduti, per ingrandir le famiglie! E non lasciar
all'ultimo un'opera compiuta, un benefizio alla patria, una benedizione in
cuore ai compatrioti! Verona passò quindi al Carrarese, e Vicenza a Venezia; e
ruppesi guerra tra quello e questa. Ma le guerre erano allora de' piú ricchi
che pagavano piú venturieri; e qui non v'era paragone. Venezia prese Verona e
Padova, e Francesco Novello e i piú degli altri Carraresi [1405]; e fece
strozzare in carcere lui e due figliuoli di lui [1406], e pose sfacciatamente a
prezzo le vite de' minori a lei sfuggiti. Venezia entrava a un tempo nella
carriera delle conquiste, e in quella della scellerata virtú del secolo
decimoquinto. E cosí finí anche questa famiglia d'antichi principi italiani. -
Né si mosse Firenze, giá lor alleata e patronessa; era occupata in un'impresa
non dissimile, quantunque men barbaramente adempiuta. Perugia e Bologna eransi
liberate da' Visconti e ridonate al papa; e liberatesi Siena e Lucca. Sola Pisa
rimaneva a un bastardo di Gian Galeazzo, protetto da Boucicault, signor di
Genova per Francia. Costoro vendettero a Firenze il castello di Pisa, e poi il
francese fece decapitare l'italiano. I pisani ripresero il castello, fecero
signore un Gambacorta, sostennero un lungo e bell'assedio, e furon venduti da
colui, e i fiorentini entrarono cosí a tradimento [1406], e finí la libertá di
Pisa. Non vi furono crudeltá: Firenze fu sempre relativamente mite. - Quindi
ivi, nella nuova suddita Pisa, convocossi un concilio a finir lo scisma. A
Bonifazio IX, papa, erano succeduti Innocenzo VII [1404] e Gregorio XII [1406].
In Avignone papeggiava Pier di Luna sotto nome di Benedetto XIII. Questi due
furon citati al concilio di Pisa [1409], s'appressarono, ma non vennero. Furon
deposti, fu eletto Alessandro V; e lui morto nel 1410, e succedutogli Giovanni,
invece di due s'ebber tre contendenti, e furon citati tutti poi a un nuovo
concilio a Costanza. - In mezzo a tutto ciò venne a frapporsi l'ambizione di
Ladislao re di Napoli, che invase Roma e Toscana [1408]. Firenze, minacciata e sempre
pendente a Francia, chiamògli contra il competitore Luigi d'Angiò.
Guerreggiossi quindi parecchi anni in Toscana e in tutto il mezzodí, tra i due
competitori; combattendo per il francese e Firenze Braccio da Montone, per
Ladislao Attendolo Sforza. Erano allora i due condottieri maggiori d'Italia, i
due che introdussero qualche arte di guerra in lor mestiero: piú ardito
Braccio, piú assegnato Sforza, fecero e lasciarono le due famose scuole
italiane de' bracceschi e sforzeschi. - Nel 1409 il regno di Sicilia erasi di
nuovo riunito ad Aragona. Noi lasciammo quello cent'anni addietro in mano a
quel Federigo che l'aveva difeso cosí bene contro al proprio fratello
d'Aragona, agli Angioini di Napoli, a Francia, al papa, a Carlo di Valois e ai
guelfi neri; e l'aveva avuto per sua vita colla pace del 1303. A malgrado della quale egli il lasciò poi nel 1337 a suo figliuolo Pietro II, che il lasciò nel
1342 a suo figlio Luigi, che il lasciò nel 1355 a suo fratello Federigo II, che il lasciò nel 1377 a sua figlia Maria, che il lasciò nel 1402 a suo sposo Martino d'Aragona, che il lasciò morendo nel 1409 a suo padre Martino il vecchio, che fu cosí re d'Aragona e Sicilia. Il quale morto poi senza figliuoli [1410], e
cosí spenta in lui l'antica schiatta d'Aragona, disputossi la successione e
passò a Ferdinando principe di Castiglia [1412]. Non ci possiam fermare a tutti
questi, mediocri per sé e per potenza, e che, tranne alcune contese e piccole
guerre con gli Angioini di Napoli, non importarono nelle vicende d'Italia.
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