30.
Galeazzo
Sforza quinto duca di Milano [1466-1476]. - Fu poi uno di que' fatti indipendenti forse da ogni
colpa umana, ma gravidi di mali ad ogni modo, che a tutti que' grandi della
metá del secolo decimoquinto succedessero uomini di gran lunga minori; a
Francesco, Galeazzo Sforza figliuolo di lui; a Niccolò V e Pio II, Paolo II; ad
Amedeo VIII di Savoia, Luigi ed Amedeo IX il beato; ad Alfonso il magnanimo,
Ferdinando il bastardo; a Cosimo de' Medici, Piero. - Questi, fin dal secondo
anno [1466], fece o lasciò esiliare molti cittadini; ond'essi, unitisi agli
antichi fuorusciti, e a Bartolomeo Coleoni condottiero, fecero contro alla
patria una di quelle imprese, dove si spera e non si trova poi l'aiuto del
popolo [1467]. Del resto, sopravisse la pace fondata da que' grandi. Italia
posava, Italia avrebbe piú che mai potuto far la lega contro a' turchi; e molto
se ne trattò; e se ne firmò una a Roma, nel 1470, tra papa Paolo II, Luigi
marchese di Mantova, Guglielmo marchese di Monferrato, Amedeo IX duca di
Savoia, Siena, Lucca e Giovanni d'Aragona. Ma, oltre alle feste che se ne
fecero, non n'uscí nulla, e fu lasciata Venezia sola proseguire con varia
fortuna la guerra, che avrebbe potuto e dovuto essere nazionale. E cosí avviene
sempre ed avverrá, finché si ricadrá in questo vizio femminile e da bimbi, di
festeggiare ciò che si spera e non si sa compiere poi, di sciupare in feste
quello che rimane d'operositá. - Poi, come succede nelle paci subitane dopo
grandi moti, quando restan disoccupati a un tratto e malcontenti molti animi
irrequieti, seguiron parecchi anni, che si potrebbon dire i classici delle
congiure italiane, gli anni che gioverebbe studiare, per vedere a che elle
montino, che ne risulti. Tre ne furono nel solo 1476, l'anno millenario della distruzione dell'imperio antico. Quanto lenta ancora era progredita la
civiltá! Una di quelle tre fu in Genova, di un Gerolamo Gentile che volle
liberarla dal giogo milanese, e riuscí ad impadronirsi delle porte, poi
soggiacque. Un'altra in Ferrara (testé dal papa innalzata a ducato in favor
degli Estensi giá duchi di Modena), dove Niccolò d'Este s'intromise con una
mano di fanti per cacciare il duca Ercole, e soggiacque, e fu decapitato egli,
impiccati venticinque compagni. Finalmente, una in Milano, dove tiranneggiava
Galeazzo tra le crudeltá e le libidini, da dieci anni. E contro tal tirannia
doveva riuscire e riuscí la congiura; ma a danno de' congiurati, non men che
del tiranno, a danno forse della cittá patria, e certo poi della intiera patria
italiana. Tre giovani, un Olgiati, un Visconti ed un Lampugnani, giustamente
adirati della tirannia, stoltamente istigati, dicesi, da un Cola Montano
letterato e filosofo all'antica, s'esercitarono alla milizia, si confortarono
alla religione, e tradiron l'una e l'altra esercitandosi al pugnale. Poi, addí
26 dicembre 1476, aspettarono il tiranno nella chiesa di Santo Stefano, e
com'ei s'avanzava tra due ambasciadori, se gli appressarono, e lo trafissero.
Furono fatti a pezzi lí dalle guardie, Lampugnani, inceppatosi tra i panni
delle donne inginocchiate, e pochi passi discosto, il Visconti. N'uscí solo
l'Olgiati a gridar libertá; ma non fu ascoltato da nessuno, fu rigettato da suo
padre stesso, si nascose, fu scoperto, imprigionato, scrisse sua confessione, e
morí straziato e vantando il proprio fatto. Ed allo Sforza ucciso succedé tranquillamente
Gian Galeazzo suo figliuolo, fanciullo, sotto la tutela di Bona di Savoia,
madre di lui; e si vedrá qual destino egli avesse poi, e qual traesse a tutta
Italia.
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