31.
Gian
Galeazzo Sforza sesto duca di Milano [1476-1492]. - Corsi due anni, avvenne una quarta congiura,
essa pur fatale alla libertá. A Pier de' Medici, morto nel 1469, eran succeduti
Lorenzo e Giuliano, figliuoli di lui, nelle ricchezze e nella potenza
indeterminata di lor famiglia. Amendue giovani eleganti, generosi, dilettanti.
promotori di lettere ed arti come l'avo; ma men che lui liberali di quella
potenza pubblica, la quale par sommo bene ai popoli, ed anche piú alle
aristocrazie libere. I Pazzi, stretti di parentele co' Medici, erano stati de'
principali chiamati al convito di potenza da Cosimo; furono ora de' principali
esclusi. Accomunarono gli odii col Salviati vescovo di Firenze, co' Riari
nipoti di papa Sisto IV (Della Rovere, succeduto a Paolo II fin dal 1471), e
dicesi col papa stesso, oltre altri minori. Congiurarono, appuntarono vari
luoghi a pugnalar i Medici, e gridar libertá; e fallite loro altre occasioni,
appuntaron la chiesa, come s'era fatto allo Sforza. Pare impossibile, ma è
certo; avvi una contagiositá dei delitti; e tanto piú, quanto piú eccessivi.
Addí 26 aprile 1478, in mezzo alla messa udita da' due fratelli, al segno
dell'elevazione, un Bandini trafigge Giuliano, un Pazzi pure gli s'avventa con
tal impeto, che trafigge se stesso; mentre un Antonio da Volterra manca il
colpo su Lorenzo, che si difende colla cappa e rifugge in sacrestia. Ciò
veduto, e che il popolo fiorentino inorridiva invece di sollevarsi, il Bandini
fuggí di cittá, d'Italia, dalla cristianitá, a Costantinopoli. Intanto il
vescovo Salviati, che dovea prendere il palazzo della Signoria, separato per un
caso da' compagni giá introdottivi, s'era turbato e scoperto; e preso esso ed
essi dal gonfaloniero, e chi scannato lí, chi sbalzato dalle finestre, furono
ivi appiccati il vescovo con due cugini suoi, e Iacopo Bracciolini, figlio del
famoso letterato. La congiura era spenta. Si spense dopo essa, come succede,
molto di libertá fiorentina, e, che forse fu peggio, quell'unione degli Stati
italiani, la quale era stata fondata da' grandi uomini della penultima
generazione, mantenuta dagli stessi minori dell'ultima. Lorenzo, rimasto solo
alla potenza repubblicana, la rivolse poco meno che in signoria; non risparmiò
supplizi, non rispettò la costituzione dello Stato. E tutta Italia se ne turbò.
Il papa scomunicò Lorenzo e la Signoria per l'uccisione del vescovo Salviati, e
s'uní con Ferdinando di Napoli e con Siena contra Firenze. Federigo, duca di
Urbino, fu condottiero della lega; Ercole d'Este, de' fiorentini, che al solito
non avean grandi uomini di guerra tra lor cittadini. Bona di Savoia, reggente
il ducato di Milano, era sola alleata loro. Ma le furon suscitati nemici in
casa e intorno. Nel medesimo anno i genovesi scossero la signoria di Milano, e
rifecersi un doge cittadino. Poi (1479), scesero svizzeri, e vinsero i milanesi
a Giornico. E finalmente, Ludovico il moro (il gran traditor d'Italia poi), lo
zio del fanciullo Galeazzo, dichiaratolo maggior d'etá, tolse a Bona e prese
egli la potenza che tenne sempre poi. Intanto, i fiorentini, sconfitti al
Poggio imperiale, erano all'ultimo. Allora Lorenzo, che non era stato buono a
far il capitano, mostrossi buono e coraggioso uomo di Stato. Entrato in
negoziati, e veduto di non poter conchiudere co' capitani della lega, e che il
tempo pressava, fu egli stesso a Napoli, a quel Ferdinando che poc'anni
addietro avea finiti i suoi negoziati col Piccinino con tradirlo ed ucciderlo.
La cosa riuscí a Lorenzo; conchiuse pace con Ferdinando [1480], e tornò in
trionfo a Firenze, che ne fu piú che mai sua. E tanto piú che, del medesimo
anno scesi i turchi ad Otranto, il papa se ne spaventò, e fece pace anch'egli.
I turchi furono cacciati [1481]. - Ma in breve fu suscitata nuova guerra da
quel vizio che veniva sorgendo ne' papi di far principi i lor parenti, quel
vizio a cui fu quindi inventato il nome di «nepotismo». Non pochi principati,
Milano, Savoia, Modena e Ferrara, Mantova, Urbino, s'erano costituiti
ultimamente, crescendo di grado gli uni per concessioni imperiali, gli altri
per concessioni pontificie. Questo destò ne' papi la nuova ambizione, il nuovo
vizio del nepotismo che guastò da Sisto IV in poi tanti papi; che, per quasi un
secolo, fu arcano o piuttosto sfacciata massima di lor politica, ed abbandono
della grande e nazional politica papale, proseguita da' loro gloriosi predecessori;
che diminuí poi, diminuita la potenza de' papi, ma' fu anche allora impiccio,
impoverimento del loro Stato; e che nell'un modo e nell'altro, essendo vizio il
piú anticanonico di tutti, ambizione personale, piccola, interessata, e tanto
minore delle grandi ed ecclesiastiche ambizioni dei Gregori e degli Innocenzi,
conferí forse piú che null'altro a diminuir la dignitá, la potenza del papato
nella pubblica opinione per tre secoli, fino all'immortal Pio VII. Sisto IV
voleva far uno Stato al nipote Riario. Collegossi con Venezia per ispogliar gli
Estensi e dividersi loro Stati, Napoli, Milano e Firenze, cioè Ferdinando,
Ludovico e Lorenzo collegaronsi per difenderli [1482]. Seguirono intrighi,
alleanze nuove, minacce; e morí tra esse Sisto IV, lasciando Gerolamo Riario
signor d'Imola e Forlí [1484]. Successegli Innocenzo VIII (Cibo di Genova);
perciocché questa del nepotismo è la ragione, che ci sforza a notar i casati di
questi nuovi papi, cosí diversi da quegli antichi che non avevano famiglia se
non, come pontefici, la Chiesa; e come principi, la parte nazionale d'Italia. E
quindi io non so non trattenermi ancora a notare quella che mi pare anche qui
non giusta distribuzione di lodi, quell'errore d'inveire contro agli antichi
papi italiani, italianissimi, per lodare, blandire o scusar almeno questi
nuovi, splendidi sí sott'altri aspetti, ma cattivi italiani, arrendevoli a
qualunque straniero li aiutasse a collocar lor nipoti. Che gli scrittori
stranieri facciano tal errore, è naturale; parlan per essi: sappiamo anche noi
parlar per noi, o piuttosto (né è a disperar che si faccia un dí nella civiltá
progredita) parliamo tutti per quel principio politico sommo, di difendere o
promuovere in casa, di rispettare ed aiutare fuori la nazionalitá d'ogni nazione.
Papa Cibo non fu migliore, anzi peggiore del predecessore; nepotista al par di
lui; e di piú, depravato di costumi, altra novitá, altro scandalo aiutato re e
accrescitor del primo. Seguono negoziati, guerre, paci e congiure ed assassinii
per interessi privati, piú che per comuni: una guerra d'Innocenzo contra
Ferdinando e fiorentini, ed una pace del 1486; un matrimonio tra una figliuola
di Lorenzo de' Medici e Franceschetto Cibo, a' cui posteri rimase quindi il
ducato di Massa-Carrara; Gerolamo Riario, pugnalato da tre capitani suoi
[1488]. La sua vedova seppe conservar il principato a lor figlio; ed ella sposò
poi Giovanni de' Medici, detto delle «bande nere», che vedremo ultimo de'
condottieri italiani, primo de' fiorentini, e padre a Cosimo granduca. E fu
pugnalato [1489] Galeotto Manfredi, ma rimase pure ad Astorre suo figliuolo la
signoria di Faenza. Piú che mai si vede l'inutilitá dei delitti: le cose
continuano ad andare, mutati i nomi, per il lor verso; e continuarono allora
per quello dei principati fermi ereditari. Il solo acquisto che se ne facesse,
fu d'infamia. Appressavansi gli anni che l'Europa civile tutta quanta si versò
sull'Italia; e quando costoro (che non eran pure di civiltá avanzata né severa,
ma perfidi ingannatori, politici a guisa di Luigi XI, Comines, Carlo il
temerario di Borgogna, Arrigo VIII, Fernando cattolico ed altri simili)
trovarono generazioni d'italiani piú perfidi, piú scelleratamente abili, piú
congiuratori, piú pugnalatori che non essi; essi si scandalizzarono, come fanno
volentieri i cattivi de' peggiori; e riportarono a lor case, e tramandarono di
generazione in generazione il mal nome della perfidia italiana. Noi paghiamo il
fio delle colpe de' maggiori. È giustizia? Non lo so. Certo, è abitudine, e
sará finché duri mondo. E noi non saremo ammessi a lagnarcene, finché si
rinnoveranno, men frequenti che a' secoli decimoquarto o decimoquinto, ma
troppe ancora pel decimonono, simili nefanditá. Né queste poi torceranno il
secolo nostro dalle monarchie rappresentative, piú che quelle dei maggiori
torcessero il loro dalla signoria assoluta. - Ad ogni modo, l'etá dei comuni
repubblicani è qui finita. Firenze, Siena, Lucca, Genova, Venezia sopravvivon
sole. Coloro che prolungano l'etá repubblicana quarant'anni ancora, fino alla
caduta di Firenze, la potrebbon prolungare sessanta, fino a quella di Siena, o
fino a' nostri dí, quando caddero le tre ultime; ovvero dir che durano le
repubbliche anch'oggi, in San Marino. In nome d'Italia, lasci di guardare
ciascuno all'idolo suo; guardiamo alla patria tutta intiera, alla condizione
universale, alle importanze principali, anche scrivendo. - E cosí facendo,
concorderemo poi con tutti gli scrittori contemporanei in dire: principio, èra
dei nuovi guai d'Italia, del massimo di tutti, la venuta di nuovi stranieri che
seguí d'appresso alla immatura morte di Lorenzo de' Medici (all'etá di
quarantaquattro anni, 8 aprile 1492). Come gran cittadino repubblicano, Lorenzo
non pareggiò Cosimo certamente: fu men modesto, s'accostò piú al principato; e
cosí, invece di quel gran titolo di «padre della patria», non gli rimase che
quello, volgare allora, di «magnifico». Com'uomo di Stato poi e grande
italiano, se Cosimo fu l'inventore, l'ordinatore della grande unione di Milano,
Firenze e Napoli (quell'unione, quella politica che valse, che fu una vera
confederazione italiana), Lorenzo ebbe pure il merito di mantenerla in
condizioni fors'anche piú difficili, con uomini certamente molto minori, anzi
cattivi; di serbarla, quando pericolante; di rinnovarla, ad ogni volta che si
venne guastando. E il fatto sta, che mutando nomi o luoghi speciali, secondo le
occorrenze, questa unione di tre grandi principati nazionali del settentrione,
del mezzo e del mezzodí d'Italia, è forse la sola confederazione possibile in Italia,
la sola che possa salvare o rivendicare mai la nazionalitá di lei. Certo, era
la sola a que' dí; e, spento Lorenzo, ella si spense fino a' nostri. E quindi
incominciò l'etá degli Stati italiani sotto le preponderanze straniere
combattute, pazientate, equilibrate, e ad ogni modo duranti, e durature Dio
solo sa fino a quando.
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