32.
Coltura
dell'etá dei comuni in generale. - Noi abbiamo ritratto in colori piú oscuri forse
che non si suole la politica della nostra etá dei comuni. Se ci siamo
ingannati, sia perdonato all'intimo nostro convincimento di questo principio:
che prima delle felicitá, primo dei doveri nazionali, primo dei doveri della
libertá stessa, è il procacciare quell'indipendenza che i comuni non seppero
compiere in quattro secoli di libertá. Ad ogni modo, sorge quindi nella nostra
storia una contraddizione apparente giá accennata: che quella libertá de'
nostri comuni, cosí poco apprezzata od anche disprezzata da noi, fu pure
incontrastabilmente capace di generare la piú splendida, la piú varia e la piú
nazionale coltura che sia stata mai. Per quattro secoli questa crebbe in Italia
sola, in mezzo all'Europa tutta oscura; la stessa coltura greca non ebbe tanti
secoli di tale splendore esclusivo. Per trovare esempi di simili esclusivitá
bisognerebbe andar all'Indie o alla Cina; ma le colture ivi cercate sarebbero
(mi perdonino indianisti e sinologi) incomparabilmente minori. Come ciò? Come
quest'apparente contraddizione di una libertá cosí incapace d'indipendenza, cosí
capace di coltura? Ma, quanto all'incapacitá d'indipendenza noi ne svolgemmo
via via giá la causa evidentissima; quella preoccupazione dell'imperio romano
che fu in tutti i comuni, in tutte le parti, nella stessa guelfa o nazionale. E
quanto poi alla capacitá di coltura, noi l'accennammo pure; la libertá anche
cattiva, anche barbara, disordinata, eccessiva, cadente in licenza, è tuttavia
culla piú favorevole alla coltura che non possa essere il principato assoluto o
feodale. Il duplice fatto non è dubbio; e la prova della virtú che è nella
libertá di generare la coltura, ne risulta tanto piú evidente, quanto piú
cattiva ed incompiuta fu questa libertá, quanto politicamente parlando le altre
nazioni furono meglio costituite, e prepararono migliori, invidiabili
costituzioni di nazionalitá. Se fosse conveniente qui una digressione, io
crederei poter dimostrar facilmente: che in tutti i tempi, in tutti i luoghi le
grandi colture furono figlie o d'una libertá legittima, legale, stabilita, o
d'una reale quantunque non riconosciuta, o almeno d'una incipiente quantunque
non progredita; che in particolare quella magnifica coltura francese, la quale
prende nome da Ludovico XIV, fu tutta esercitata da uomini nati e cresciuti fra
le contese di libertá, che, cattivissime del resto, sorsero durante la minoritá
di lui e furon dette della Fronda; che insomma e dai fatti e colle ragioni si
prova sempre, le colture aver bisogno di libertá, e quasi sempre la libertá
aver bisogno di coltura. Ma non avendo noi luogo a distrarci, ci basti
accennare la fratellanza, o il parallelismo speciale della nostra libertá e
della nostra coltura da Gregorio VII fino all'epoca a cui siam giunti. - La
libertá ecclesiastica, propugnata, ottenuta da Gregorio VII e da' suoi
predecessori e contemporanei, ebbe bisogno di grandi teologi; e cosí li fece
sorgere, e con essi parecchi di que' filosofi scolastici, i quali mal si
distinguono da' teologi, e de' quali è gloria di alcuni filosofi contemporanei
nostri aver saputo riconoscere i meriti finalmente. E la libertá ecclesiastica
facendo sorgere ogni zelo ecclesiastico, fece moltiplicar que' templi, quelle
chiese di che giá accennammo le due prime di Venezia e Pisa, e che tutte furono
poi veri musei d'antichitá e scuole a tutte l'arti italiane. Poi la libertá
comunale, dico la primissima, informe, de' consoli del 1100, non poté essere né
un anno o un dí senza aver bisogno, in ogni cittá o terra italiana, di oratori,
uomini di Stato, capi di nobili, capi popolo, capi parte, piccolissimi
terricciolai quanto si voglia, ma pur oratori ed uomini politici, i quali ebber
bisogno di parlare e persuadere in qualunque lingua parlassero, latino, volgar
lombardo, volgar toscano, o romanesco, o napoletano, o siciliano, o piemontese;
e cosí nacque di necessitá un'arte, non artifiziata ma naturale, oratoria.
Quindi dal mescolarsi quegli interessi e quegli uomini in tutta la penisola
nasceva fin d'allora, fin dal principio del secolo decimosecondo senza dubbio,
il bisogno d'una lingua comune o italiana; e cosí nasceva quella di che trattò
Dante centocinquanta o duecento anni appresso come di lingua giá antica, quella
che crebbe di necessitá in que' mostri di assemblee, che dicemmo simili alle
moderne d'Irlanda. Quindi cresciute le ambizioni, le emulazioni di cittá, crebbero
in ciascuna i bisogni di forti mura; e cosí nacque quell'architettura militare,
che è piú antica forse tra noi che non si suol dire anche da' piú esagerati
esaltatori dei nostri primati. E quindi l'altre emulazioni, il volere ogni
cittá piú bei templi che le vicine, ed ogni nobile un piú bel palazzo che i
concittadini, e i nobili popolani piú che gli antichi, e via via. E poi la
libertá del dire, il non esservi né il fatto né nemmeno l'idea delle censure
moderne, fece scrivere nella nuova lingua di ogni cosa che si sapesse scrivere;
e perciò primamente d'amore, che è forse il piú facile, ed è certo il piú
piacevole degli argomenti a chi scrive o legge; e poi di storia patria, che è
il piú necessario in ogni paese libero; e poi di ogni cosa, in quel modo enciclopedico
che da Esiodo a Varrone, a Brunetto Latini e a Montaigne od anche a Bacone e
Leibnizio, suol essere de' primi saggi che si facciano in qualunque letteratura
incipiente, quasi a rassegna di ciò che si sa per indi progredire. E sorte
tutte queste colture, sorse il commercio che n'è fratello or maggiore or
minore; e sorsero le industrie, le scienze che ne son pur sorelle, tutta
famiglia della libertá; in cui entraron l'arti belle, quelle arti che son forse
un po' meretricie, un po' prodighe di lor favori, senza gran discernimento tra
tirannia e libertá, ma che li concedon pur sempre piú compiuti insieme e piú
eleganti alla libertá. Del resto, quanto al commercio in particolare, duolmi
piú che mai non potermi fermare ad accennare quali fossero le condizioni di
esso ne' nostri comuni, quali le libertá concedutegli. Forse ne risulterebbe un
fatto tutto opposto a quello creduto volgarmente; il fatto, che esistettero ne'
nostri rozzi comuni molte di quelle libertá commerciali, le quali furono spente
dalla cattiva pratica, dalla scienza incipiente de' secoli successivi; le quali
la scienza progredita domanda da un ottanta anni in qua, e la pratica
incominciò a concedere mentre appunto io veniva scrivendo queste linee per la
prima volta. Quando, deh quando si fará una storia dei commerci, dell'economia
politica de' nostri comuni? - Ad ogni modo, di fiore in fiore, di fecondazione
in fecondazione, d'operositá in operositá, cosí si venne al fine di quel secolo
decimoquinto, in cui vedremo nascere quasi tutti i grandi e splendidi uomini
del decimosesto; quel secolo decimoquinto che ebbe cosí col secolo ultimo della
libertá latina la sorte comune di tramandar tutte educate le grandezze ai due
secoli nomati da Augusto e da Leon X. Gli uomini furono quasi sempre tardivi in
lor gratitudini; le concedettero sovente ai successori di coloro che le
meritarono. Ma non cadder forse mai in tale ingiustizia cosí scandalosamente
come a quell'epoca, in che dieder nome di Leon X al secolo inaugurato da
Lorenzo il magnifico, nome d'America al mondo di Colombo. - Or veggiamo di
corsa alcuni particolari, alcuni uomini di questa nostra grande etá di coltura.
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