33.
Coltura dei
due primi periodi di quest'etá, da Gregorio VII a Carlo d'Angiò [1073-1268]. - Dicemmo giá sorti
con Ildebrando, giá grandi al pontificar di lui parecchi teologi e filosofi e
scolastici: sant'Anselmo vescovo di Lucca [-1086]; Lanfranco di Pavia monaco
del Bec in Normandia, amico seguace di Guglielmo il conquistatore, e da lui fatto
arcivescovo di Cantorbery [1005- 1089]; sant'Anselmo d'Aosta abate del medesimo
monastero normanno, arcivescovo della medesima chiesa inglese [1033- 1109],
quel sant'Anselmo a cui gli storici moderni della filosofia danno il primato
tra' filosofi scolastici. Seguirono Pier Lombardo, vescovo di Parigi, detto il
«maestro delle sentenze» [-1164]; Pietro Comestore [-1198]; papa Innocenzo III
[-1216] e finalmente il grande san Bonaventura [1221-1274], e il grandissimo
san Tommaso [1227-1275], amendue professori a Parigi. Chiaro è: qui abbiamo una
serie di grandi superiori agli stranieri contemporanei, Guido di Champeaux,
Abelardo, san Bernardo ed Alberto magno; la quale dimostra le scienze, allora
unite, della teologia e della filosofia esser cresciute a grandissimo fiore per
opera principalmente degli italiani, e da essi recate in Francia ed
Inghilterra, e in quello stesso studio od universitá di Parigi, che ne fu il
centro locale. - Intanto fondavansi in Italia i centri, gli studi di due altre
scienze, della medicina e fisica in Salerno, e della giurisprudenza in Bologna.
La prima sorse lá in un ospedale de' vicini benedettini di Montecassino, e
dalle tradizioni unite de' greci e degli arabi occidentali, aiutate poi al
tempo delle crociate da quello zelo che fece sorger allora in Palestina e in
Europa tanti ordini spedalieri, tanti spedali e tante lebbroserie. - In Bologna
poi, o che ivi o nella vicina Ravenna si fosser conservati piú codici, piú
studio delle leggi romane, teodosiane e giustinianee, o che si debba attribuire
al caso il nascervi o lo stabilirvisi un primo grande studioso; il fatto sta
che da Irnerio, creduto giá tedesco, or italiano [1150], incominciò ad essere
famoso e frequentatissimo lá quello studio della giurisprudenza, che fu il
nocciolo di quella prima universitá italiana. E seguono immediatamente quei
quattro scolari di lui, Bulgaro, Martino, Ugo e Iacopo, a cui resta nella
nostra storia politica la vergogna d'aver mal applicati i diritti imperiali
romani all'imperio straniero di Federigo I contro alle libertá e
all'indipendenza italiane; ma che con queste stesse applicazioni ai fatti
attuali contemporanei, e colle discussioni e le contraddizioni che certamente
ne sorsero, furono senza dubbio accrescitori, divulgatori della scienza.
Perciocché cosí succede, questa è una delle virtú, questo uno degli effetti
immanchevoli della libertá; che, dov'ella sia sorta, servano ad essa que'
nemici stessi di lei, i quali, non sorta, l'avrebbero impedita di sorgere. La
libertá è generosa; innalza, ingrandisce gli stessi avversari suoi. E continuò
poi in Bologna e da Bologna la serie de' giurisperiti grandi, rispetto al
tempo, in tutto il secolo che seguí fino ad Accursio [-1260]. - E in questi due
secoli stessi sorgevano, da lingue semplicemente parlate o di rado scritte, a
lingue giá letterarie, tutte quelle insieme che si chiamarono «volgari»,
«romano-barbare», «romanze»; e che furon principi delle moderne meridionali,
spagnuola, provenzale, o lingua d'«oc», francese men meridionale, o lingua
d'«oil», ed italiana o del «sí». È opinione consueta, che in queste lingue
rimanesse tanto piú dell'elemento latino primitivo, quanto meno di barbaro
fosse stato introdotto giá dagli invasori del secolo quinto. Ma ei parmi che i
fatti non concordino guarí con tale opinione. Perciocché i fatti sono che la
Spagna e l'Italia, le cui lingue serbano piú latino, ebbero piú invasori che
non Francia; e che in questa n'ebbe forse piú la parte meridionale la cui
lingua d'oc serbò parimente piú latino. Né io crederei che sia da cercar la
causa di questa superior latinitá delle lingue spagnuola, provenzale ed
italiana nella maggior antichitá della conquista romana; perciocché, se tal
fosse stata la causa, ella avrebbe dovuto operare incomparabilmente piú in
Italia che non ne' due altri paesi, e in Ispagna specialmente; mentre
all'incontro la lingua spagnuola (a malgrado delle stesse voci arabe che furono
un'introduzione posteriore) è forse ricca di voci latine al paro dell'italiana,
ed è poi indubitabilmente piú latina nelle desinenze, nel suono. Quindi è forse
da attribuire la gran latinitá delle tre lingue, non al latino propriamente
detto, ma alla consanguineitá primitiva del latino od italico antico
coll'antico ligure della Francia meridionale, coll'antico iberico della Spagna.
E questo spiegherebbe pure alcuni fatti particolari della nostra lingua volgare
al sorger suo ne' secoli decimosecondo e decimoterzo: come (lasciando a un
tratto quell'origine esclusivamente toscana o fiorentina, che da Dante in qua
mi pare abbandonata da ogni mente un po' comprensiva, quella origine la cui
questione si dee separar del tutto dalla questione del purismo od eleganza, che
fu ed è incontrastabilmente in Toscana), come, dico, il volgare italiano
sorgesse a un tempo in Toscana ed all'ingiú in tutta la penisola meridionale ed
in Sicilia, ed anzi in questa forse prima che altrove, perché queste appunto
furono le sedi degli antichi popoli itali e siculi di famiglia iberica; come in
Sardegna, antica e moderna sede di liguri, si serbassero e si serbino piú che
in nessun luogo forse le voci, le desinenze, i suoni latini; come anch'oggi
l'uso della lingua comune italiana e i dialetti piú vicini ad essa si trovino
in quelle stesse regioni. - Ad ogni modo, comunque cresciute le lingue romanze
fino al secolo decimosecondo, non è dubbio che in tutto questo e nel seguente
decimoterzo il primato tra esse fu delle due lingue francesi, d'oil e d'oc. Né
è difficile a spiegare. Il primato, od anzi ogni grado di dignitá e potenza
delle lingue, viene in ogni secolo dal primato e da' gradi d'operositá delle
nazioni che le parlano. Ora, ne' due secoli decimosecondo e decimoterzo la
grande operositá europea o cristiana fu quella delle crociate; e nelle crociate
furono sommi operosi i francesi. Lá in Oriente, qua per via, si mescolarono
allora le nazioni cristiane, oltre forse ad ogni mescolanza moderna; e lá e qua
trovaronsi forse piú francesi che tutt'altri insieme, lá e qua dovette quindi
parlarsi piú lingua francese che di tutt'altre. Il fatto sta, che non solamente
nella poesia de' troveri e trovatori (che è notato da tutti), ma anche nella
prosa di buonissimi cronacisti come Ville Hardouin e Joinville (che è
tralasciato da molti), le due lingue francesi precedettero, ebbero il primato
sull'italiana; come, del resto, pur l'ebbe la lingua spagnuola, che si trova
quasi perfetta nei romances e nelle leggi di questi secoli. Che piú? I nostri
primi poeti Folchetto, Calvi Bonaventura e Doria Percivalle di Genova,
Nicoletto da Torino, Giorgio di Venezia, Sordello di Mantova, e Brunetto Latini
di Firenze scrissero in francese lungo tutto il secolo decimoterzo; e san
Francesco dicesi avesse tal soprannome diventato nome dal suo parlar abituale
francese: ed in francese poetarono Federigo II e tutta sua corte siciliana,
prima che vi si poetasse e scrivesse in italiano. Sappiam badare ai fatti, alle
date, se vogliamo spogliare i pregiudizi, rivendicar le vere glorie nostre. La
lingua italiana fu l'ultima ad essere scritta delle romanze; tanto piú glorioso
fu che ella n'uscisse la prima ad essere scritta, come ognun sa,
meravigliosamente. - Adunque, non fu se non contemporaneamente o poco dopo agli
italiani poetanti nei dialetti francesi, che, ora i medesimi, or altri
scrissero ne' dialetti, cioè, piú o meno, nella lingua comune d'Italia.
Poetarono cosí Duoso Lucio pisano [-1190], Ciullo d'Alcamo in Sicilia [-1200?],
Pier delle Vigne il cancellier di Federigo II [-1248], Guido Ghisilieri di
Bologna [-1250], Dante da Maiano in Toscana [-1275], Nina siciliana [-1280]
amica di lui, e Guido Guinicelli da Bologna [-1276]. Scrissero in prosa nostra
Riccardo da San Germano [-1243?], Guidotto da Bologna [-1257], Niccolò di
Iamsilla [-1268], san Bonaventura [-1274], Niccolò Smerago di Vicenza [-1279],
Ricordano Malaspini [-1281], Dino Compagni [1260?-1323]. Del resto, da tutti
questi principi, da tutti questi nomi parmi chiaro che la storia, non solamente
della nostra coltura in generale ma della stessa nostra letteratura, si debba
incominciare un secolo e mezzo, od anche due, prima che non si suole; che non
sorgessero giá né la lingua nostra né i tre grandi di essa, quasi proli senza
madri create, per una di quelle generazioni spontanee e subitane, che non
esistono né nell'ordine materiale né nell'intellettuale; che all'incontro
lingua e grandi nostri sorgessero, come succede in tutto, a poco a poco, in
mezzo ad altri fratelli e sorelle; e che se lingua e grandi nostri furon piú
grandi poi che non gli stranieri per due altri secoli, questo lor progresso
superiore sia tanto piú certamente da attribuirsi al solo vantaggio avuto da'
maggiori nostri su' loro contemporanei, al vantaggio della libertá. - Ancora,
giá accennammo esser incominciate esse pure le arti nostre un secolo e mezzo
prima di ciò che si suol dire; e prima fra esse, com'è naturale e come avvenne
dappertutto, l'architettura, che dá luogo poi alla scultura e alla pittura; e
primo monumento di stile e artisti italiani essere stato il duomo di Pisa. Ed
in Pisa parimente sorsero nel 1152 il battistero, opera di Diotisalvi da Siena
o Pisa; e nel 1174 la bella torre, vero museo di colonnette e ruderi antichi,
opera di Bonanno e Tommaso da Pisa; ondeché si vede che Pisa fu la vera culla
dell'architettura, ed anzi di tutta l'arte italiana. Perciocché questi, ed
altri minori, e Andrea pisano maggior di tutti, che operò in tutta Italia
[-1280] e si riaccostò agli antichi nell'arca di san Domenico, quasi tutti
furono scultori non meno che architetti; e finalmente, un cencinquanta anni
dopo l'architettura, un settanta o ottanta dopo la scultura, nacque pure, cioè
si staccò dalla greca, la pittura italiana, per opera di Giunta pisano, Guido
da Siena, Margaritone d'Arezzo e Cimabue fiorentino [-1300]. Evidentemente,
l'arte italiana incominciò dal duomo di Pisa e Buschetto al principio del
secolo decimosecondo; ed in Pisa primeggiò d'ogni maniera per tutto un primo
periodo, presso a due secoli, fino a Cimabue e Giotto; dai quali non incominciò
se non il periodo secondo di lei, il periodo fiorentino.
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