35.
Coltura del
quarto periodo, dal ritorno dei papi alla chiamata di Carlo VIII [1377-1492]. - I leggitori avranno
giá osservato che noi non seguiamo la divisione per secoli esatti, solita farsi
nelle nostre storie puramente letterarie od artistiche. In queste può giovare
tal divisione piú chiara e piú mnemonica. Ma essendo scopo nostro accennar le
relazioni, le dipendenze d'ogni nostra coltura dalle condizioni e dai fatti
politici nazionali, ci parve piú utile seguir le epoche, le divisioni giá
dateci da questi fatti. Che anzi, se non sia illusione, ci pare che ne
risultino divisioni, periodi piú naturali nella storia stessa delle colture
considerate in sé. Cosí nel periodo testé percorso, si trovano raccolte né piú
né meno le vite dei tre padri di nostra lingua, e né piú né meno Giotto e gli
artisti della scuola fiorentina primitiva. E cosí poi ora per il periodo che
segue risulterá chiaro nella storia della coltura quell'allentamento di
progresso, che incominciò, non giá, come si suol dire, col secolo decimoquinto,
ma fin dalle morti contemporanee di Petrarca e Boccaccio intorno al 1375, che
durò poi non per quel secolo intiero, ma solamente fin presso al suo mezzo;
dopo il quale s'accelerò di nuovo il progresso rapidamente, splendidamente per
li quattro impulsi che concorsero a quell'epoca, le due paci religiosa e
politica, l'arrivo de' greci, e la grande invenzione della stampa. In somma, il
periodo da noi qui considerato si suddivide in due andamenti; uno lento, l'altro
rapidissimo; uno mediocre, l'altro grande; ed in coltura come in politica la
cosí detta mediocritá del secolo decimoquinto si riduce alla prima metá od al
primo terzo di esso. - Nella letteratura e in quelle scienze storiche,
filologiche, filosofiche e teologiche, che ne sono quasi il substrato a cui
ella non fa se non aggiunger la forma, e che mal si separano quindi da essa, i
nomi meno oscuri che noi troviamo dapprima, sono quelli di Iacopo di Dante
Allighieri [-1390?]; di Franco Sacchetti [-1400] e ser Giovanni Fiorentino
novellatori; di Baldo giureconsulto [-1400]; di Filippo Villani [- 1404] e
Leonardo Bruni aretino [- 1444] scrittori di storie; di san Vincenzo Ferreri
[-1419] e san Bernardino da Siena [-1444] scrittori ecclesiastici; di Agnolo Pandolfini,
scrittore del bel Trattato della famiglia [-1446]; e di Burchiello, uno
di quegli scrittori triviali che mal si continuano a porre tra' gioielli di
nostra lingua [-1448]. All'incontro, seguono inoltrandosi nella seconda metá
del secolo, e via via piú splendidi, i nomi di Lorenzo Valla latinista ed
ellenista [-1457], di Poggio Bracciolini storico e uno de' piú operosi fra'
molti cercatori e pubblicatori di codici antichi [-1459], di san'Antonino
arcivescovo di Firenze [-1459], del cardinal Cusano [1464], di Enea Silvio
Piccolomini che fu papa Pio II, dottissimo e variatissimo scrittore [-1464], di
Leon Battista Alberti, artista e primo nostro scrittor d'arti [-1471], di
Francesco Filelfo, storico e poligrafo [-1481], di Luigi Pulci, l'autor del Morgante
[-1486], di Lorenzo de' Medici [-1492], e degli amici di lui Pico della
Mirandola ed Angelo Poliziano morti poco dopo lui [1494]. - Cosí pure, ma con
piú splendore nelle tre arti, le quali mal si distinguerebbero ne' seguenti;
Mantegna [nato 1430] Luca della Robbia [1438], Masaccio [-1443], Filippo
Brunelleschi, l'innalzator della cupola di Santa Maria del fiore di Firenze
[-1444], Michelozzo Michelozzi [-1450 circa], Lorenzo Ghiberti, scultor di
quelle porte del battistero di Firenze che furono da Michelangelo dette «porte
del paradiso» [-1455?], Donatello [-1466], Francesco di Giorgio sanese [-1505 o
15], il beato Angelico [-1455], fra Filippo Lippi [-1469], il Ghirlandaio
[-1493], quasi tutti toscani. Perciocché a tutta Toscana s'estesero allora le arti;
in Toscana fecersi tutti i loro maggiori progressi; in Toscana son le origini
dell'arti come delle lettere, come poi delle scienze italiane, origini esse di
tutte le moderne cristiane; la Toscana sarebbe il primo paese d'Italia e del
mondo, quando non fosse l'ultimo in quello spirito militare, senza cui nulla
dura, nulla giova, nulla vale, nulla si stima. Perdonino al piemontese. -
Intanto, spargevasi, fioriva piú che altrove in Italia l'invenzione nuova della
stampa. Della grandezza della quale, sentita da tutti, sarebbe declamazione
oramai qualunque cosa si dicesse. Ma gioverá osservare quanto rapidamente
gl'italiani d'allora abbiano saputo appropriarsi l'invenzione straniera. Fu
naturale; straricchi di proprie, non potevano invidiare, sapevano apprezzare le
altrui; operosissimi, non esitavano, non indugiavano, non vergognavano, non
temevano nel prendere le operositá straniere, come vedrem farsi ne' secoli
peggiorati. Le prime stampe furono di carte da giuoco e santi, talor con
iscrizioni e lettere, scavate in tavola, e fin dal secolo decimoquarto. Ma le
stampe di libri con caratteri metallici e mobili non si fecero se non nel 1455 a Magonza, per invenzione di Guttemberg, aiutato in danari da Fust, e nell'opifizio da
Schoeffer, tre tedeschi. E i tedeschi la portarono in Italia dieci soli anni
appresso; Sweinheim e Pannartz in Subiaco nel 1465, e in Roma nel 1467;
Giovanni da Spira in Venezia nel 1469; ed altri altrove. Ma seguono
prontissimamente gl'italiani: Emiliano degli Ursini in Foligno, e Bartolomeo de
Rubeis in Pinerolo, ambi nel 1470; e subito altri in Bologna, Ferrara, Firenze,
Milano, Napoli, Pavia, Treviso nel 1471 e 1472; e d'anno in anno, in tutta la
penisola, moltissimi altri, fra cui principale Aldo Pio Manuzio in Venezia fin
dal 1480. - Del resto, se i leggitori non sieno stanchi di questi nomi e queste
date, le quali possono pur essere feconde di paragoni e pensieri a ciascuno,
noi ne aggiungeremo qui un'altra serie, la quale sará forse la piú feconda di
tutte; la quale dimostrerá almeno quella similitudine che dicemmo tra gli
ultimi anni della repubblica romana, e questi ultimi dell'etá dei comuni. In
questi dunque, terminanti alla morte di Lorenzo, nacquero, e, piú o meno, si
allevarono, a questi dunque debbono attribuirsi i maggiori uomini dell'etá
seguente: Bramante [n. 1444 circa], Pietro Perugino [n. 1446], Aldo Manuzio [n.
1447], Leonardo da Vinci [n. 1452], Sannazzaro [n. 1458], Baldassar Castiglione
[n. 1468], Machiavelli [n. 1469], fra Bartolommeo [n. 1469], l'Ariosto [n.
1473], Giorgione [n. 1477], Tiziano [n. 1477], Berni [-1536], Guicciardini [n.
1482], Raffaello [n. 1483]. I quali tutti furono protetti, secondati qua e lá
in tutta Italia da' papi, dagli Sforza ed altri signori italiani, ma
principalmente da Lorenzo de' Medici, superiore in ciò o piú felice che il
grand'avo, superior forse a quanti furono mai protettori o promotori di lettere
ed arti. Perciocché egli non era simile a quegli Scaligeri antichi, od a que'
principi italiani de' secoli posteriori, che davan alloggio in palazzo, e
tavola ed abiti, a letterati ed artisti; dava loro, come amator vero ed
intendente egli stesso, consigli, aiuti e soprattutto occasioni, lasciando
lavorare gli scrittori e facendo lavorare gli artisti; che è il modo certamente
migliore, ben che sia preso a rovescio da tanti, che fanno scrivere, e lascian
gli artisti cercarsi i lavori. Certo che adorno di tali splendidezze e tali
nomi il fine del secolo decimoquinto apparisce superiore in progresso di
coltura a qualunque generazione antica e moderna. - Eppure superiore a tutti
questi è un nome, un uomo solitariamente cresciuto, anzi giá invecchiato in
quest'etá, Cristoforo Colombo. I viaggi e le scoperte erano state dell'opere
piú abbandonate dagli italiani dopo il secolo di Dante e Marco Polo. I papi
erano stati distratti dallo scisma, i veneziani dalle conquiste continentali in
Italia, i genovesi da lor discordie e loro in sofferenze e della libertá
propria e dell'unione con Milano. I portoghesi ci avean tolto, non che il
primato, ogni opera di scoperte. Aveano inventato l'astrolabio, strumento
informe tuttavia, ma giá aiutante a dirigere il corso dagli astri, e cosí ad
avventurarsi lungi dalle coste, a mutar il cabotaggio in gran navigazione.
L'infante Enrico [1394-1460] ideò, proseguí, non compié egli la scoperta del
giro d'Africa, ma l'avanzò col far riconoscere via via quella costa
occidentale. Dopo lui, continuarono i portoghesi per la medesima via; nel 1471,
passarono l'equatore; nel 1486, Diaz scopri, e non passò ancora il capo da lui
detto delle Tempeste; passollo Vasco de Gama nel 1494, e chiamollo di Buona
speranza. Ma questa grande scoperta fu preceduta da quella anche maggiore di
Colombo. Nato intorno al 1435 in Genova od intorno, ché non importa guari,
studiò a Pavia, navigò per la sua patria e pe' francesi che la signoreggiavano,
e per gli Angioini che essa aiutava, intorno al 1459. Capitato a Lisbona
intorno al 1470, cioè in sull'ardore delle scoperte africane, sposò Filippa di
Palestrello un venturiero italiano, seguace giá dell'infante scopritore;
s'accese tutto di quelle idee, di quelle avventure, navigò, abitò a Porto
Santo, uno de' nuovi stabilimenti; studiò, carteggiò con Toscanelli [-1482], un
dotto geografo fiorentino, e dicesi avesse cognizione d'una mappa fatta da fra
Mauro veneziano. E da tutti questi studi, e dalle tradizioni raccolte d'ogni
dove, e da' viaggi di Marco Polo, e da' lavori cosmografici di fra Mauro, e
dalla considerazione della rotonditá della terra, e fin da alcuni testi
biblici, acquistò la persuasione, la certezza: doversi, navigando ad occidente,
capitar prima a un'isola Antilla rammentata da Aristotele, e poi all'Asia, al
Cataio di Marco Polo. Quindi il proseguire, il darsi tutto a quel pensiero,
concepito, dicesi, fin dal 1474. E da tal pensiero passando in altro,
quell'anima sublimemente insaziabile sognava arricchirne, e poi levar un
esercito e conquistar Terra santa alla cristianitá. Visitò un'isola di Tule,
che credesi l'Islanda; propose invano la sua idea a Giovanni II re di
Portogallo; partí di lá nel 1484; dicesi la proponesse nel 1485 a Genova sua cittá, a Venezia, e ne fosse rigettato. Ad ogni modo venne nel 1486 a Spagna, al monastero della Rabida presso al piccolo porto di Palos in Andalusia, dove fu
accolto poco men che mendico dal buon priore; ed onde protetto poi, fu alla
corte di Ferdinando ed Isabella re e regina d'Aragona e Castiglia, che stavan
compiendo lor guerra nazionale di sette secoli contro ai mori. E mandato espor
suoi pensieri all'universitá di Salamanca, e rigettatone; e rigettato e deriso,
indugiato, richiamato, disgustato dalla corte per sei anni intieri, perdurò e
riuscí finalmente a persuadere Isabella, tra l'alacritá della vittoria dopo
presa Granata (2 gennaio 1492). Ai 3 d'agosto del medesimo anno, ei salpò con
tre caravelle dal porto di Palos; e navigando sessantanove dí, giunse addí 12
ottobre all'isola di San Salvatore; e, toccate Cuba e San Domingo, tornò a
Spagna nel 1493. E fatto viceré delle Nuove Indie (come si chiamarono allora o
poco appresso), fecevi una seconda, una terza spedizione nel medesimo 1493 e
nel 1498, e vi scoprí, oltre altre isole, anche la costa settentrionale del
continente meridionale; tradito, deposto, incarcerato, incatenato e rimandato a
Spagna da Bovadilla, un suo luogotenente rimastone infame; e fu tenuto in
carcere per qualche tempo nell'ingrata sua patria seconda, e fece poi nel 1502
una quarta spedizione al medesimo continente, e tornatone, morí nel 1506. Cosí
quell'italiano (il cui coraggio, la cui perduranza, prudenza, bontá e
semplicitá d'animo risplendono meravigliosamente in tutte le sue azioni,
tantoché non si sa, leggendone, s'ei piú s'ami o s'ammiri), cosí
quell'italiano, primo di tanti poi che non poterono dar alla patria la propria
operositá, diedela a Spagna, e con essa il nuovo mondo. Cosí quell'anno 1492,
fatale all'Italia per la morte di Lorenzo de' Medici, per la chiamata di nuovi
stranieri, fu epoca a Spagna ed alla cristianitá della cacciata de' maomettani
dall'Europa occidentale, e dell'acquisto di tutto un occidentale emisferio.
Finiva l'etá del primato (qualunque fosse) d'Italia; incominciava quella de'
primati occidentali di Spagna, poi Francia, poi Inghilterra.
FINE DEL PRIMO VOLUME.
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