5.Leone X [1513-1521] . - Le nature facili,
liete, pompose, leggiere, trascurate od anche un po' spensierate, sogliono piú
che l'altre trovar fortuna in vita, e gloria dopo morte. Tal fu, tal sorte ebbe
Leone X, del resto non gran principe politico ed ancor meno gran papa. Nato nel
1475, cresciuto tra l'eleganze, le colture, le magnificenze del palazzo Medici
e della villa di Careggi; tra Ficino, Poliziano, Pico della Mirandola,
Michelangelo, e una turba di minori, ma simili; cardinale a tredici anni;
fuoruscitosi in sui diciannove, ma nella porpora, ed ora a Roma, ora alle corti
dentro e fuori d'Italia; in colti ozi durante Alessandro VI; poi negli affari,
nelle legazioni sotto Giulio II; prigione alla battaglia di Ravenna, ma in
breve liberato, ed autor principale della restaurazione di sua casa in sua
bella cittá; l'elezione, l'assunzione, l'incoronazione di lui furono veri
trionfi. Dopo Alessandro VI, troppo scellerato per essere nemmeno stato
protettor d'arti o di lettere, dopo Giulio II, fiero, iroso in queste stesse
protezioni, pensi ognuno qual gioia dovesse or sorgere in quella turba di
letterati ed artisti che, quasi ballerine tra guerrieri, si frammettevano
allora ai feroci invasori, ai cupi politici, ed ai dolenti popoli d'Italia.
Quella lieta turba non si vuol perder di memoria mai da chiunque voglia farsi
un'idea adeguata di questi tempi singolarissimi. Certo in quelli di Pericle,
d'Augusto, né di Ludovico XIV, non fu, o almeno non durò, niun siffatto contrasto
di feste e di dolori. Qui la patria era in mano a stranieri; e il principe
successor d'Alessandro III e di Giulio II pensava ai nepoti, ai Medici, a far
loro Stati in Firenze ed Urbino. Qui sorgeva il sommo degli eresiarchi stati
mai dopo Ario; e il pontefice pensava che fosse un frataccio peggio che il
Savonarola, e che finirebbe come lui; e proseguiva in quell'abbellir Roma, in
quell'edificare, e scolpire, e dipingere, e fare scrivere e rappresentare
commedie che avevano scandalezzata la rozza Germania. Insomma, moralmente,
politicamente e religiosamente parlando, non sarebbe troppo il dire che fu un
vero baccanale di tutte le colture; e se scendessimo ai particolari di sua
incoronazione, o, peggio, di ciò che fu allora scritto, rappresentato, dipinto
o scolpito in Vaticano, ei parrebbe forse dimostrato a ciascuno. Ma, non
avendone luogo, lasceremo che ognuno giudichi secondo le proprie informazioni
della severitá del nostro giudicio. - Pochi giorni dopo l'assunzione di Leon X,
Luigi XII firmò sua pace con Venezia [24 marzo 1513]; e, cosí assicurato, mandò
La Tremoglia e Triulzi a riconquistare Milano contro allo Sforza. Ma vinti i
francesi dagli svizzeri presso a Novara [6 giugno], ripassaron l'Alpi; e allora
Leon X e gli spagnuoli si rivolsero di nuovo per lo Sforza contra Venezia, e
rioccuparono quasi tutto lo Stato di terraferma. Guerreggiossi e trattossi
variamente tutto l'anno appresso. Ma morto in gennaio 1514 Luigi XII, e
succedutogli Francesco I, principe buono, leggero, facile, gran protettor di
lettere ed arti ancor egli, non gran capitano ma gran cavaliero e guerriero,
rinnovò l'alleanza con Venezia; e (guardatogli contro dagli svizzeri il passo
di Susa) scese per l'Argentiera e Sestriera con un forte esercito a quel
Piemonte cosí sovente attraversato, a quella Lombardia cosí sovente
riconquistata. Due giorni [13 e 14 settembre] si combatté in Marignano tra'
francesi e gli svizzeri dello Sforza; vinse Francesco I; ventimila cadaveri vi
giacquero; il Triulzi, stato a diciotto battaglie, disse, che l'altre eran
giuochi da fanciulli, questa battaglia di giganti. Ondeché qui cessa la
meraviglia che i venturieri italiani, avvezzi a non ammazzarsi, fosser vinti da
tutti questi stranieri che s'ammazzavano cosí davvero. Quindi ritrassersi
finalmente gli svizzeri a lor montagne, e noi fummo liberati almen di questi,
che fecero l'anno appresso una pace perpetua con Francia. Intanto, ritrattisi
anche gli spagnuoli, Lombardia fu di nuovo di Francia, Terraferma di Venezia, e
Massimiliano Sforza lasciò il ducato per sempre, e fu a vivere pensionato in
Francia, dov'era vivuto e morto prigione il Moro suo padre. E Leon X fece pace
col vincitore; ed abboccatosi con lui a Bologna, v'aggiunse poi un concordato,
che per secoli regolò le cose di religione di Francia. E il medesimo di che
firmò quest'accordo [18 agosto 1516], investí suo nipote Lorenzo di Pier de'
Medici del ducato d'Urbino, tolto pochi mesi addietro a Francesco della Rovere,
che aveva pur data l'ospitalitá a' Medici esiliati. Morto poc'anzi [17 marzo
1516] Giuliano ultimo fratello di Leone, questo Lorenzo era oramai il piú
prossimo parente di lui, e governò poi colla solita potenza indeterminata la
cittá di Firenze, e come principe il ducato d'Urbino, ritoltogli dal La Rovere
e restituitogli l'anno appresso. - Intanto, morto Ferdinando il cattolico re di
Spagna ed Indie e Sicilia e Napoli [15 gennaio 1516], e succedutogli Carlo
figlio di sua figlia, che fu primo in Ispagna e quinto in Germania e
nell'imperio, questi firmava [13 agosto] in Noyon un trattato di pace con
Francesco I, al quale aderí in breve pure [4 dicembre] Massimiliano. E cosí
finalmente, dopo sette anni, finirono gli scompigli politici e guerrieri
sollevati dalla lega di Cambrai. Salvo le cittá di Romagna e del Regno,
ripresele fin da principio di quella guerra, Venezia riebbe tutti gli Stati
suoi di terraferma; esausti sí, ma che dovetter rifarsi prontamente, ondeché
non mi sembra valere tale scusa per quella neutralitá od indifferenza in cui
ricominciò a poltrire rispetto agli affari d'Italia. Non furono le forze,
furono gli spiriti di lei che si trovarono abbattuti dopo quella guerra, o
piuttosto che giá erano quando ella rimase neutrale ed infingarda alla discesa
di Carlo VIII, o piuttosto giá dall'antico, tante altre volte che si racchiuse
in sua sicurezza delle lagune, tra' pericoli e i guai dell'indipendenza
nazionale. La repubblica di Venezia, indipendente essa, non si curò della
indipendenza nazionale, non fu guari italiana mai, se non al tempo della lega
lombarda; del resto, sempre strettamente, grettamente veneziana; e se le si
voglia cercare una scusa od anche una gloria italiana, non le si può trovar
guari a questi tempi se non quella d'averci difesi da' turchi. Prima di questi,
quella politica di lei, che tanti dicono profonda, non può non tacciarsi di
leggerissima, per non aver pensato mai a nessuna impresa d'indipendenza, a cui
ella sola forse poteva esser capo o centro, che ella piú che l'altre potenze
italiane doveva prevedere necessaria. Cosí il languire poi, e decadere, e
cadere ultimo di lei, servan d'esempio salutare a qualunque potenza italiana
voglia mai isolarsi dagli interessi comuni di tutta insieme la nazione. Ad ogni
modo, da quel principio del 1517 fino al 1521, i quattro ultimi anni di Leon X
furono, relativamente, un tempo di respiro all'Italia, alla cristianitá. - Ma
questo fu pure il tempo che sorse di piccoli principi quello che fu poi cosí
gran danno alla Chiesa, alla cristianitá, e, politicamente parlando, all'Italia
forse piú che a nessuno. Leon X bandí nel 1516 alcune indulgenze da predicarsi,
e pur troppo, diciam la parola, da vendersi, o farsi o lasciarsi pagare in
Germania, e il cui prodotto doveva servir all'edificazione di San Pietro.
N'ebber carico i frati predicatori. Lutero, uno degli agostiniani soliti
averlo, si sollevò poi contro a quelle, contro a tutte le indulgenze [31
ottobre 1517], poi contro alla curia romana, contro al papa, e finalmente
contro all'infallibilitá, all'unitá, contro a questo e a quel domma, andamento
solito di tutti i capi di setta. Denunciato a Roma, condannato, si sottomise;
poi ritrattò la sommessione, disputò co' legati, scrisse, riscrisse, fece
discepoli, e fu ricondannato solennemente [15 giugno 1520]; ed ei solennemente
bruciò la bolla [10 dicembre], assistente e giá aiutante il popolo di
Wittemberga. Era incominciata quella Riforma, quella divisione della Chiesa,
che non è vero (né a noi italiani può esser dubbio) introducesse nella
cristianitá né la libertá politica né la filosofica, le quali avevamo noi da
secoli; che non introdusse se non quella libertá del credere, la quale non può
essere in una religione vera rivelata; che, del resto, preoccupò per un secolo
e piú quasi esclusivamente la cristianitá, che la distrasse dalle opere
migliori, che ritardò i progressi di lei in Germania, in Francia e in quel
popolo britannico, dov'oggi ancora ella ritarda l'unione dell'imperio.
All'Italia poi ella fu origine d'un male nuovo allora, e forse non cessato.
Dalla Riforma, dal bisogno, e diciam pure dal dover de' papi di rivolgersi
contro essa in Germania, incominciò quel loro accostarsi agli imperatori, che
fu cosí contrario a tutte le tradizioni, che senza tale scusa sarebbe stato
contrario alla natura stessa del papato. - E ciò si vide forse fin da questi
primi anni della Riforma, ultimi di Leone X. Perciocché, morto Massimiliano [19
gennaio 1519] ed elettogli a successore Carlo figlio di suo figlio, giá re di
Castiglia e delle Indie, d'Aragona e delle Due Sicilie, signor di Borgogna e
de' Paesi bassi, sorse in breve gelosia, contesa e guerra tra lui e Francesco I
di Francia, competitore di lui per l'imperio. Era naturale, era tradizionale,
che il papa s'opponesse alla potenza imperiale, risalente col possesso unito
delle Due Sicilie a ciò che era stata sotto ai due Federighi Svevi, e
minacciante salire, come salí, piú su. Né Leon X o la coltissima curia romana
erano uomini da ignorare o trascurare tali memorie; e si accostarono dapprima a
Francesco I. Ma tra breve, fosse giá quella nuova necessitá spirituale della
politica pontificia, fosse ambizione di Leone, che volesse avere (per sé o per
casa Medici) Parma e Piacenza tenute un tempo da Giulio II ed or da Carlo V, il
fatto sta che ei s'alleò con questo [8 maggio 1521]. Da quel dí, e salvo
pochissime eccezioni furono sempre imperiali, austriaci i papi, abbandonarono
quella causa nazionale che avea fatti grandi come principi e come pontefici
Gregorio VII, Alessandro III, i due Innocenzi III e IV principalmente, e tanti
altri tra essi. E molti buoni papi furono d'allora in poi certamente;
ma6 nessuno che sia potuto dirsi grande politico, nemmeno dagli
scrittori tutto ecclesiastici. E Leon X incominciò subito la impolitica guerra.
Riuniti gli eserciti pontificio e spagnuolo sotto Prospero Colonna e il
marchese di Pescara, entrarono addí 19 novembre in Milano, ove fu posto duca
Francesco Sforza ultimo figliuolo del Moro. Leon X n'udí la nuova, e morí
subitamente il I dicembre seguente 1521. - Mortogli nel 1519 il nipote Lorenzo,
avea riunito agli Stati della Chiesa il ducato d'Urbino. Leone era l'ultimo o
penultimo discendente legittimo di Cosimo padre della patria; disputandosi se
fosse legittimo o no il figliuolo dell'antico Giuliano ucciso nella congiura
de' Pazzi, Giulio or cardinale posto a governo di Firenze dopo la morte di
Lorenzo, e che fu in breve papa Clemente VII. Di Leone resterebbero a narrare e
disputare alcune crudeltá e perfidie contro a cardinali e signorotti. Ad ogni
modo, furon poche rispetto al tempo.
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