7.Paolo III [1534-1549] . - Succedette
Alessandro Farnese, che prese nome di Paolo III [13 ottobre 1534], sangue
d'antichi condottieri, prelato tutt'altro che incolpevole, padre di Pier Luigi
ch'ei fece in breve gonfaloniere di Santa Chiesa. - Mutossi, fin da' primi anni
di lui, lo stato d'Italia per due morti. Era morto, fin dal 1533, l'ultimo de' Paleologi marchesi di Monferrato; e pretendendo, come giá anticamente, i duchi di
Savoia e i marchesi di Saluzzo alla successione, l'imperatore diedela [1536],
come di feudo femminino, ai Gonzaga di Mantova, che rimasero poi cosí per piú
d'un secolo, terza razza de' marchesi di Monferrato. Morí poi [I novembre 1535]
Francesco II, ultimo Sforza, senza figliuoli; e lasciò il ducato
all'imperatore, che come imperatore giá il rivendicava, e l'occupò. Ma sorse
Francesco I di Francia a disputarlo; e dopo sette anni di pace si riaprí la
solita guerra. Fecesi questa volta meno in Lombardia che in Piemonte. Nel
quale, al duca fanciullo Carlo II che dicemmo regnante nel 1494, erano
succeduti Filippo II [1496], Filiberto II, detto il bello [1497], e Carlo III
il buono [1504], infelici principi tutti: che avean sofferto con pazienza l'andar
e venir degli eserciti francesi, tedeschi e spagnuoli. Ma or fu peggio; ché,
piú forte, l'imperator duca di Milano rattenne la nuova guerra fuori del
ducato, e quasi tutta in Piemonte. I francesi occuparono Savoia, Torino e mezzo
Piemonte [1536]. Duca Carlo s'alleò coll'imperatore, e questi occupò il resto.
Piú forti gli imperiali, fecero nuovamente una punta in Provenza, ma furon
respinti, e guerreggiossi di nuovo in Piemonte nel 1537. Fecesi in Nizza, nel
1538, una tregua di dieci anni, che durò appena quattro. Guerreggiossi di
nuovo; e turchi e francesi, bruttamente insieme, assalirono e predarono Nizza
[1543]. Poi, i francesi diedero a Ceresole una gran rotta agl'imperiali [14
aprile 1544]. Ma minacciati dappresso in Francia, facevasi pace a Crespi tra le
due potenze straniere [18 settembre]; e rimanevano duca di nome Carlo III, ed
occupato, parte da' francesi, parte dagl'imperiali, il misero Piemonte: misero,
ma tra quegli strazi, temperantesi fin d'allora all'armi, ad ogni fortezza. -
Nuova mutazione succedeva intanto nella tiranneggiata Firenze. Alessandro,
duca, non avea piú a protettore lo zio papa, ma lo suocero imperatore, e
s'infangava in persecuzioni e libidini. I fuorusciti moltiplicati ricorsero
all'imperatore a Napoli; il Nardi storico liberale orò lor bella causa; il
Guicciardini, quella brutta del tiranno [1536]. Il quale n'ebbe, somma e non
insueta fra le vergogne italiane, quella d'essere ammonito a moderazione dagli
stranieri. Ma (anche in ciò non insueto) l'ammonito continuò. Tuttociò finí per
una di quelle scelleratezze miste di barbarie e letteratura, che eran del
tempo. Compagno, anzi mezzano del tiranno a sue sfrenatezze, era un cugino di
lui, discendente da Lorenzo fratello di Cosimo padre della patria, detto pur
Lorenzo o Lorenzino o Lorenzaccio, ed anche il «filosofo», perché pizzicava del
letterato e del miscredente. Costui trasse il duca in sua casa, in sua camera,
dove promise condurgli una bella e virtuosa gentildonna; ed assistito da
Scoronconcolo, un bravo, ivi lo pugnalò e scannò [6 gennaio 1537]. Poi
lasciando il cadavere nel letto con una polizza d'una citazione latina sul capo
(«Vincit amor patriae laudumque immensa cupido»), fuggí spaventato, come
giá l'uccisor di Giuliano, a Bologna e Venezia. Questo pretendere alti fini a
bassissimi misfatti è cosa volgare. Piú rara (ma pur veduta in novembre 1848)
ottenerne le lodi pretese; e toccò tal sorte a Lorenzino. Fu lodato in versi e
in prosa, paragonato a Bruto; non mai furono sconvolte tutte le idee morali e
politiche come in quel secolo. Quanto poi a restaurar la repubblica, quasi non
se ne parlò; e tre dí appresso fu fatto capo e principe Cosimo de' Medici, un
altro discendente di quel medesimo fratello di Cosimo, un figlio di Giovanni
dalle bande nere, un giovane di diciannove anni, quasi un Cesare Augusto in
piccolo; il quale fatto duca dall'imperatore, e piú tardi granduca dal papa
[1569], fu stipite di que' secondi e minori Medici, che signoreggiaron Toscana
due secoli giusti or con mediocritá ed or peggio. - E in questo medesimo anno
1537 incominciò Paolo III a far grande Pier Luigi Farnese. Fecegli un ducato di
Castro e Nepi; l'anno appresso ottenne dall'imperatore che gli facesse un
marchesato di Novara; e finalmente [agosto 1545] gli fece un ducato di Parma e
Piacenza. Ma costui vi tiranneggiò a modo di Alessandro in Firenze; ed a modo
di lui [10 settembre 1547], finí trucidato da alcuni gentiluomini piacentini.
Accorse Ferrante Gonzaga governatore di Milano per l'imperatore, e prese
Piacenza. Ma in Parma fu gridato duca Ottavio figliuolo di Pier Luigi, giá duca
di Camerino e che avea sposata Margherita la vedova di Alessandro de' Medici,
la bastarda di Carlo V; e contesesi a lungo con negoziati e guerre per quella
successione. Anche Lucca e Genova (trascurando alcune minori) ebbero lor
congiure. Perciocché io m'ingannai forse a dir etá aurea di esse quell'altra di
ottanta anni addietro. Anche questa ha il suo merito, e può competere e
giustificare chi ce ne dá vanto. - A Lucca, serbatasi in governo repubblicano,
era gonfaloniero nel 1546 un Burlamacchi. Sognò una serie di quelle
restaurazioni di libertá, che sono tanto piú difficili a farsi che non le
stesse restaurazioni di principati. Con duemila uomini apparecchiati a' suoi
ordini, ideò liberar Pisa da Firenze, Firenze dal Medici, tutte le cittá di
Toscana, e poi quelle del papa, e, chi sa? d'Italia intiera. Furono storici che
anche a' nostri dí fantasticarono di ciò che sarebbe avvenuto, se fosse
avvenuta la riuscita di questa congiura, che non poteva avvenire. Perciocché,
insomma, ella finí come tutte le congiure che per necessitá dello scopo sien
numerose. Fu tradita; e l'autore preso, mandato a Milano, torturato, decollato.
In Genova poi preparossi a lungo, scoppiò ai 2 gennaio 1547, Luigi Fieschi
contro Andrea Doria il liberator della patria, che non l'avea voluta
tiranneggiare, e contra Giannettino nipote di lui che tiranneggiava sotto
l'autoritá di lui. Fu trucidato Giannettino; ma morivvi anche il Fieschi,
cadendo in mare; e la congiura finí coi soliti supplizi. - Moriva Francesco I
di Francia nel marzo 1547; e succedutogli Enrico II suo figliuolo, il marito di
Caterina de' Medici, apparecchiava nuova guerra contra Carlo V. E volgevasi a
lui Paolo III indispettito per Parma. Ma morí [novembre 1549]. I fatti parlano;
non è mestier di dir qual fosse in politica; nepotista e non piú. Fu protettor
d'arti e lettere anch'egli. Cresciuta intanto la gran calamitá cristiana, la
Riforma, e divise dalla Chiesa mezza Germania e quasi tutta Inghilterra, era da
riformati e cattolici altamente chiesto un concilio fin dal tempo di Clemente
VII. Ma, tra la poca voglia che n'avea questi e il disturbo delle guerre, ei
non ne fece altro. Paolo III il convocò prima a Mantova [1537], poi a Vicenza,
finalmente a Trento [1542]. Ma non s'aprí in effetto costí, se non addí 13
dicembre 1545; e fu trasferito poi a Bologna [11 gennaio 1547]. Morí Lutero a'
18 febbraio 1546. Addí 27 settembre 1540, Paolo III approvò la Compagnia di
Gesú, instituita giá a poco a poco da sant'Ignazio di Lojola con pensiero
generoso ed adattatissimo al secolo, di servire e quasi militare per la Chiesa
cattolica, per la santa Sedia, nuovamente assalite. Il pensiero disinteressato,
ed ispirato dalle condizioni del secolo, fu fecondo. Ai limiti della
cristianitá per dilatarla, tra le popolazioni volgentisi all'eresia per
rattenerle, furono fatte opere grandi dalla Societá incipiente. Altre
alzaronsi, come succede delle cose opportune, col medesimo pensiero: i teatini,
i barnabiti, i somaschi. Ma le Societá di Gesú le superò tutte in operositá ed
utilitá. E chi, mosso dalle moderne ire non voglia credere a me, creda al
Ranke, al Macaulay ed altri scrittori acattolici, in cui sono cessate
quell'ire. - Guerreggiò Venezia di questo tempo, ma per poco e senza frutto,
contro ai turchi.
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