11.Continua.- Ripetiamolo pure, e
sovente; toltine Machiavello e l'Ariosto, furono abbondanti, anzi che grandi,
in questo secolo gli scrittori. Ma gli artisti, abbondantissimi e grandissimi
insieme. Qui nell'arte è dove trionfa l'ingegno italiano; qui è innegabile, e
conceduto da tutti, il nostro primato. Qui possiamo, anch'oggi, non uscir
d'Italia, trovar tra noi tutto quanto è da studiare e imitare. E tutto l'ottimo
poi il troviam raccolto nel Cinquecento, anzi in quella prima metá di esso di
che qui trattiamo. E quindi non solamente non avremo luogo qui a dir tutti i
notevoli, ma nemmeno a nominarli. Accenneremo cinque culminanti intorno a cui
si rannoderanno gli altri: Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Tiziano e
Correggio. I tre primi, e (se è vero che la puritá e l'eleganza, cioè quella
che il Vasari chiama «virtú» del disegno, sia la somma dell'arte) i tre sommi,
usciron tutti di quella terra e scuola privilegiata di Toscana ed intorno, che
dicemmo culla dell'arti italiane. Nato Leonardo in Vinci nel 1452, attese in
gioventú all'arti cavalleresche, a tutte quelle del disegno, a musica, a
poesia, a matematica, a meccanica. È uno di quegli esempi che ingannano a
disperdersi molti ingegni anche presenti, i quali non pensano quanto
eccezionali sieno gli uomini enciclopedici, e massime quanto impossibili nelle
colture progredite. Oltreché, Leonardo si fermò poi intorno a' trentacinque
anni nell'arti del disegno: e vi giunse al colmo suo (e forse dell'arte) nella Cena
che fece a Milano per Ludovico il moro [dal 1494 al 1499], e cosí in quella etá
dove tanti altri giá incominciano a stancarsi e scendere. E cosí egli fondò
colá la scuola lombarda; in che si vide gran tempo alle fattezze la figliazione
fiorentina. Morí l'anno 1519. Furono in quella scuola contemporanei,
accerchiatori o seguaci di lui, Cesare da Sesto [-1524], il Luini [-1534?],
Gaudenzio Ferrari [1484-1550], Bernardino Lanini [1578], Andrea Salai e
parecchi altri minori. - Michelangelo Buonarroti [n. 1474] fu anch'egli
«pittor, scultor, architettor, poeta», ma fin dall'adolescenza e nei giardini
del magnifico Lorenzo attese all'arti e sopra tutte alla scoltura. Spaziò
poscia in tutte e tre, vivendo e lavorando in Roma principalmente. Lasciolla
una volta per ira (egli avea del Dante, e fu detto tale nell'arti) contra
Giulio II, quell'altro iroso, quel Dante dei pontefici. E fuggito a Firenze,
poco mancò che le due ire non guastassero il papa e la repubblica, non fossero
uno di piú de' turbamenti d'Italia. Un'altra volta venuti i due alla ribelle
Bologna, e vedendo il papa il modello della propria statua apparecchiatogli da
Michelangelo, e che questi gli avea posto nella mano sinistra un libro: - Che
libro? - disse, - ponmi una spada, ché io non so lettere. - Poscia guardando la
destra: - Dá ella benedizione o maledizione? - E Michelangelo: - Minaccia
questo popolo se non è savio. - Ma il popolo non fu savio ed atterrò poi la
statua. Meglio un pontefice benedicente, e ribenedetto; dureran serbate da'
popoli le statue sue. Una terza volta, sotto Clemente VII, ei lasciò Roma, come
dicemmo, per servir la patria da ingegnere. I freschi da lui fatti in Vaticano
serviron di studio all'ultima maniera di Raffaello. Fu geloso di questo, come
vecchio di giovane da cui sia superato; e volendo rivaleggiare anche in pittura
a olio, a che era poco pratico, s'aggiunse fra Sebastiano veneziano; e i due
insieme fecero de' gran bei lavori, ma men belli che quelli fatti da Raffaello.
Piú vecchio d'assai sopravvissegli di molto; signoreggiò, quasi tiranneggiò
nell'arti a Roma per gran tempo; e morto Antonio da Sangallo [1546], ebbe la
fabbrica di San Pietro, dove, ognun sa, pose il Panteon a cupola. Mori nel
1564. I novant'anni di sua vita comprendono tutt'intiera l'etá aurea dell'arti.
Quindi in sí lunga vita, ed in una scuola giá cosí antica come la fiorentina,
ebbe molti e grandi compagni e seguaci: Luca Signorelli [1440-1521], fra
Bartolommeo [1469-1517], il Peruzzi [1481-1536], il Ghirlandaio [1485-1560],
Andrea del Sarto [1488-1530], il Rosso [-1541], il Pontormo [1493-1558], il
Bronzino [1502-1570], il Vasari [1512-1574], e molti altri che continuarono la
scuola fiorentina; e il Francia [1450-1535], che si conta capo della bolognese,
figlia cosí essa pure della fiorentina. - All'incontro, passò, quasi celestiale
apparizione in bel mezzo alla lunga vita di Michelangelo, Raffaello d'Urbino
[1483- 1520]. Non enciclopedico, non letterato, raro cultor delle stesse due
altre arti sorelle, elegantissimo architetto tuttavia ne' pochi edifizi da lui
fatti, pittor sopra ogni cosa, disegnator come nessuno che si conosca, per
l'invenzione, l'espressione, la grazia, la divinitá delle figure sue, delle
donne principalmente, della beata Vergine sopra tutte. Incominciò in Urbino
sotto il proprio padre, pittor non volgare; imparò a Perugia sotto a Pier
Perugino [1446-1524], illustre pittore per sé, piú illustre per lo scolaro;
innalzossi a Firenze; e chiamato a Roma, superò gli altri, superò Michelangelo,
superò se stesso, tre o piú volte, od anzi sempre progrediendo, secondo che
lavorava nelle logge e nelle stanze del Vaticano, alla Farnesina, nelle quasi
innumerevoli Sante famiglie, e ne' ritratti, e nello Spasimo, e
nella Trasfigurazione, e ne' disegni che dava a ciascuno, pittori,
scultori e incisori, quanti gliene chiedevano, con una liberalitá, che era
facilitá ed amore. Amava gli artisti, l'arte, ogni bello che vedesse e faceva
suo. Poche anime han dovuto gioir quaggiú come quella. Fece felici quanti gli
vissero intorno, e fu fatto felice da tutti. Non un'ira, non una gelosia, un
pettegolezzo per parte sua, in tutta sua vita. Poche difficoltá incontrò. Non
cercava, era cercato dalla fortuna, da papi, principi, grandi, letterati,
uomini e donne. Visse presto, visse poco; morí di trentasette anni [1520]. Gli
furon fatte le esequie da Leon X e tutta Roma, colla Trasfigurazione a
capo del feretro. E non compagni, ma scolari e creati di lui furono e si
professarono i seguenti, tutta quella che è detta scuola «romana»: Giulio
Romano [1492-1546] principale fra tutti; Penni o il Fattorino [1488-1528
circa], Giovanni da Udine [1494-1564], Polidoro da Caravaggio [-1546], Perin
del Vaga [-1547], Daniele da Volterra [1509-1566], Taddeo Zuccari [-1566] e
parecchi altri; i piú de' quali, dispersi dopo il sacco del 1527, diffusero
quello stile e quella scuola non solamente in Italia, ma in Ispagna e Francia:
l'Europa colta di quell'etá. Fu qualche compenso ai cattivi nomi fattici da
altri. - La scuola veneziana è forse la sola che procedendo anticamente e direttamente
da' greci non abbia avuta origine toscana. Ma i progressi di lei furono molto
piú lenti; e gli splendori non v'incominciarono se non da Giovanni Bellini
[1426-1516] e Andrea Mantegna [1430-1506]; a cui tenner dietro, nati del
medesimo anno, Giorgione [1477-1511] e Tiziano [1477-1576]. Visse questi cosí,
a un tempo, e piú che Michelangelo, novantanove anni. Portò sua scuola al sommo
subitamente. Il colore, come ognun sa, n'è pregio principale, e grande; ondeché
qui forse sarebbe il luogo di gridare contro all'imitazione dagli stranieri, da
que' fiamminghi in particolare che ritrassero senza dubbio molto bene le loro
splendide carnagioni settentrionali, ma perciò appunto non bene le meridionali,
italiane, spagnuole e greche, piú belle e sole vere incarnate e piú pittoriche;
ondeché, per uscir fuori d'Italia, sarebbe meglio andar a Spagna che non a
Fiandra od Inghilterra. Tiziano ebbe una gran brutta amicizia, quella
dell'Aretino. Salvo in ciò, egli pure fu gentile, dolce e felice uomo in patria
ed alle corti di Carlo V e Francesco I; e fece pitture innumerevoli, e ne fu
fatto ricco e molto onorato. Del resto, non primeggiò forse in Venezia, come i
tre detti a Milano, Firenze e Roma. Furono poco minori di lui, oltre il
Giorgione, anche il Tintoretto [1512-1594], e massime Paolo Veronese
[1528?-1588]: e seguono piú o men lontani, il Bassano [1510-1592], Palma il
vecchio [1518-1574], ed alcuni altri. - Finalmente, Antonio Allegri, detto il
Correggio dal nome del suo nativo paese, visse poco [1494-1534], appena tre
anni piú che Raffaello. E la vita di lui è quasi ignorata. Par che si
trattenesse, e certo lavorò sempre nelle cittá vicine a sua culla, Parma,
Modena, Bologna. Dove, non essendo per anche una scuola fatta e determinata,
egli, studiando da sé e su pochi e vari modelli, fecesi uno stile tutto
proprio, e giá poco men che eclettico; come fu quello creato poi ne' medesimi
luoghi un cinquant'anni appresso da' Caracci. Disegnator poco esatto, ma
arditissimo e quasi scientifico, abbondò negli scorci, nel sotto in su, piú e
peggio che Michelangelo stesso, giá soverchio in tali ricercatezze. Riman
memoria del suo studiar solitario nella tradizione, che vedute le pitture di
Raffaello prorompesse in quella esclamazione: - Anch'io son pittore; - la quale
fu poi ancor essa consolazione ed inganno a tanti che se la ripeterono. Ma
negano alcuni ch'egli uscisse mai da' suoi contorni. E lá intorno pure fiorí il
Parmigianino [1503-1540], non dissimile. E gli scolari ed imitatori de' due si
confusero in breve nella vicina scuola di Bologna. - Fiorirono allora, benché
non al paro della pittura, anche le due arti sorelle. Nell'architettura (civile
o militare) primeggiarono, oltre Michelangelo e Raffaello ed altri detti, il
Cronaca [-1509], Bramante [-1514], Giuliano e i due Antoni da San Gallo
[-1517-1546], Sanmicheli [1484-1559], De' Marchi [1490-1574], Tartaglia
[1500-1554], Vignola [1507- 1573], Paciotto [1521-1591], fra Giocondo [-1625?],
e sopra tutti Sansovino [1570] e Palladio [1508-1580]. - Nella scoltura, oltre Michelangelo
di nuovo e parecchi altri detti, Baccio Bandinelli [1490-1559], il Tribolo
[1500-1550], e Benvenuto Cellini [1500-1570], principe degli orefici e
gioiellieri di qualunque tempo; e Giovanni dalle Corniole, cosí detto per
essere stato primo o principale a rinnovar l'arte dell'incider gemme in cammei
ed in cavo. Finalmente, in questo tempo pure si svolse l'incisione in rame e in
legno che dicemmo incominciata giá nell'etá precedente; e fiorironvi, oltre il
Mantegna, il Francia, il Parmigianino, e Tiziano, Marcantonio Raimondi
[1488-1546 o 1550], che incise sovente su disegni di Raffaello, Agostino
Veneziano [intorno al 1520], ed altri. - Né lascerem l'arti senza accennar
della musica, che ella pure sorse e crebbe dapprima esclusivamente e sempre principalmente
italiana. Ma questa rimase per allora lontana dal suo sommo, incominciò allora
solamente i suoi progressi. Noi ne vedemmo uno grande fatto nel secolo
decimoprimo da Guido d'Arezzo; ed altri ne avremmo potuti notare ne' secoli
decimoterzo e decimoquarto. Nel decimoterzo, i nomi stessi delle composizioni
poetiche, sonetti, ballate, canzoni, indicano ch'elle furon fatte per essere
accompagnate dalla musica. Nel decimoquarto, abbiamo da Dante e Boccaccio tante
menzioni di musica, che, in mancanza di monumenti, dobbiamo argomentare molto
coltivata allora quest'arte; oltreché, resta memoria d'un Francesco Landino
detto il «cieco», che fu incoronato a Venezia nel 1341, quasi
contemporaneamente col Petrarca. Ma d'allora in poi lungo il secolo decimoquinto
sorge un fatto curioso, e fors'anco utile a notare in quell'arte: che la musica
italiana (probabilmente piana, ricca di melodie fin d'allora, ché tale è il
genio nostro nazionale) fu oppressa da quella straniera e piú scientifica de'
fiamminghi o tedeschi. In Roma, in Napoli, nelle chiese, nelle corti
tiranneggiaron questi; non si trovan guari mentovati allora altri maestri che
questi. Franchino Gaforio [1451-1520?] pare essere stato il primo a restaurar
la musica italiana, e dicesi prendesse dagli scrittori greci ed altri antichi
gran parte di sua scienza, ma sembra da ciò stesso che fosse scienza o poco
piú. All'incontro, dicesi sia stato artista vero ed ispirato il Palestrina
[1529-1594]. Dico che si dice, perciocché né io né credo i piú degli italiani udimmo
le melodie di lui; e noi abbiamo a invidiar agli stranieri l'uso di far sentire
le musiche antiche. E dal Palestrina in poi rimase il primato dell'arte
agl'italiani. Né è meraviglia; il sommo di quest'arte sta certamente nella
melodia e nell'espressione, o piuttosto nella combinazione delle due, nel
trovar melodie espressive; e il modello, il germe delle due non si trova guari
in nessuna delle lingue settentrionali, né nel modo di parlarle né nelle
inflessioni con cui si parlano; le quali sono od antimusicali del tutto, o
molto men musicali che le italiane, e massime che le italiane meridionali. Ad
ogni modo, lasciando i progressi tecnici fatti intorno alla metá del secolo
decimosesto, noterem solamente, che di quel tempo sono i primi oratorii, inventati,
dicesi, per quella congregazione di san Filippo Neri [1515-1596] da cui presero
il nome. E di quel tempo pare la prima opera in musica, l'Orbecche di
Cinzio Giraldi, stampata in Ferrara 1541. Insomma, tutte le invenzioni, quasi
tutti i grandi progressi e i grandi stili e il sommo di quest'arte celestiale,
sono italiani. Picciol vanto, ripetiamolo, questo primato nostro quando riman
solo; ma bello e caratteristico esso pure, quando si trova nel secolo
decimosesto congiunto con tutti gli altri di tutte le arti e tutte le lettere;
quando concorre a dimostrar la fratellanza di tutte le colture, gli aiuti, le
spinte ch'elle soglion ricevere l'une dall'altre a vicenda.
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