13.Emmanuele Filiberto [1559-1580] . - Non mai i tempi
moderni s'eran mutati a un tratto come per la pace di Cateau-Cambrésis; né mai
mutaron tanto nemmeno i modernissimi, fuorché per la pace del 1814 e 1815. I
vent'anni seguenti furono di quiete non interrotta, di ordinamenti, o, come or
si dice, d'organizzazioni universali. Nel Regno, giá vecchio suddito spagnuolo,
vecchio pur giá era l'ordinamento; in Milano l'ordinamento piú nuovo s'era
modellato sul primo. Un viceré a Napoli, uno in Sicilia ed un governatore in
Milano, non piú che cortigiani in Ispagna, ma principi assoluti in Italia,
governavano non solamente per gl'interessi di quella, ma per li propri in
questa e principalmente in quella. E cosí facevano allora gli altri governatori
spagnuoli in America, ne' Paesi bassi. Cosí giá i proconsoli e legati romani
nelle province dell'imperio; cosí poi i governatori britannici nell'Indie. Cosí
i governatori lontani dappertutto. È naturale; sempre si mira al centro, onde
vengono grazie, favori, avanzamenti. In ciò il progresso di civiltá non muta
guari. È di quelle cose che durano poco diverse sempre nella umana natura. Un
Consiglio d'Italia in Madrid temperava solo la potenza di que' governatori.
Tranne una milizia (quasi le guardie nazionali d'oggidí) che non si convocava
guari, se non contro ai turchi o agli assassini di strada, non v'eran armi,
niun corpo napolitano o milanese; napoletani o milanesi s'arruolavan ne'
«terzi» o reggimenti spagnuoli, che eran tutti di volontari, o piuttosto levati
a forza, a inganno, a caso. E cosí gl'italiani militavano fuori per interessi
non propri, e gli stranieri in Italia per interessi anti-italiani. Molta
religione, cattolicismo stretto, anzi intollerante s'affettava; facevasene
strumento d'imperio, d'ordine, di soggezione; e cosí Spagna stringevasi ai
papi, quanto i papi a Spagna. Nelle finanze, imposizioni legalmente gravi, piú
gravi di fatto, perché non erano perfezionate le forme, le quali guarentiscono
ai popoli che non si levi piú dell'imposto. Gran disordine dunque, ma grande
affettazione d'ordine, o almeno di governo, smania di regolar tutto, di far
sentire l'autoritá straniera; onde non solamente severitá ma crudeltá. Ed io
dimenticava che in Napoli e Sicilia erano pure resti di Stati generali antichi,
assemblee rappresentative o deliberative; ma rappresentavano popoli domati,
stanchi, senza volontá, deliberavano a' cenni del signor lontano, de' viceré
presenti, eran nulla. Non eran sorti gli esempi che fanno cosí importanti
queste assemblee a' nostri dí; dovunque rimanevano elle, fuori come addentro
Italia, il principe le distruggeva o serbava o dimenticava, a piacer suo, del
paro innocue, con pari facilitá. In somma, a que' tempi non era sorta, non era
quasi possibile l'arte di governar province straniere e lontane senza
tiranneggiarle, e si tiranneggiavano. Né contro a' turchi, quantunque soli
nemici stranieri che rimanessero, si poteva o si sapea difenderle. Il
Mediterraneo, non piú lago italiano, avrebbe dovuto essere spagnuolo; era
turco-spagnuolo. Una sola volta Spagna si destò al dovere di non lasciarlo
diventar tutto turco; e fatta una lega co' veneziani e il papa e il duca di
Savoia, allestirono una grande armata sotto agli ordini di don Giovanni
d'Austria figlio naturale di Carlo V, il quale die' una gran rotta ai turchi a
Lepanto nel 1571. Ma fosse gelosia di Filippo II contro al fratello, o mollezza
e incapacitá spagnuola o italiana o universale, non si proseguí la vittoria, si
sciolse la lega, si lasciarono soli i veneziani contro a' turchi, al solito. -
In Roma Pio IV Medici, che dicemmo [1559-1565], riadunò e terminò poi il
concilio di Trento [1562-1563]. Del quale molto sarebbe a dire certamente, se
avessimo luogo; ma non avendone nemmeno per gli affari, per li negoziati politici,
non sarebbe ragione che ci estendessimo sugli ecclesiastici, piú ardui a capire
e spiegare. Ondeché, riducendoci alle generalitá, diremo solamente: che il
concilio lasciò le cose ecclesiastiche tali quali erano prima o s'erano svolte
intanto tra' protestanti, i quali non v'assistettero mai e il respinser sempre;
ma che esso ordinò, rinnovò molto bene ed opportunamente la disciplina della
Chiesa cattolica; e che insomma da esso in poi il protestantismo non ottenne
piú una vittoria, un estendimento, e il cattolicismo non perdette piú una
chiesa o una provincia. È noto, è ammesso dagli stessi protestanti, che il loro
progresso non durò se non un cinquant'anni; che d'allora in poi essi non ebbero
se non stazione e regresso. Del resto, Pio IV fu papa buono, quantunque
nepotista, perché il nipote in credito trovossi essere san Carlo Borromeo. -
Successe Pio V [Ghisilieri, 1566-1572], che è l'ultimo papa beatificato dalla
Chiesa, che fu de' pochi non nepotisti fino a' nostri dí, severissimo del resto
contro agli eretici. E successe Gregorio XIII [Buoncompagni, 1572-1585], che
s'uní solo, non potendo unir altri, con Venezia contro a' turchi, ma non ne
riuscí nulla. - In Toscana, Cosimo il nuovo duca ordinò il ducato e governò
assoluto, severo, talor crudele, alla spagnuola; men cattivo, perché è sempre
minore la cattivezza d'un principe nazionale e presente. Ordinò le cerne, o
milizie del paese, ma piú simili a ciò che chiamiam ora «guardie nazionali»,
che non a veri corpi militari; ed intorno a sé guardie tedesche o spagnuole.
Nel 1569, ebbe dal papa titolo di granduca, che non gli fu riconosciuto
dall'imperatore. Protesse l'agricoltura, il commercio, Livorno, le lettere
innocue, e cosí [1540] l'Accademia fiorentina, madre di quella della Crusca. In
casa perdette due figliuoli a un tratto; e resta dubbio se fosse caso o
misfatto. Alfieri ne fece una tragedia. Morí nel 1574. Successegli suo figlio
Francesco I, giá molto dammeno. Congiuratogli contro, nel 1575, diventò
crudele, dentro e fuori, a' fuorusciti. Nel 1576, ebbe conferma dall'imperatore
del titolo di granduca; nel 1579, sposò Bianca Cappello, una veneziana fuggita
dalla casa paterna, e giá stata amanza d'un fiorentino, poi di esso granduca,
finché visse Giovanna d'Austria sua moglie. E Venezia, che avea giá sbandita
costei, la dichiarò ora figliuola della repubblica! A tale erano giunti giá i
tempi, di farsi pubblicamente, legalmente, senza pretender necessitá né utile,
per semplice compiacenteria, le viltá. - Dei duchi minori non abbiamo a dir
nemmeno molte successioni, ché in Urbino solo, a Guidobaldo della Rovere era
succeduto nel 1574 Francesco Maria figliuolo di lui; ed in Ferrara, Parma e
Mantova continuarono per questi vent'anni i medesimi Alfonso II d'Este, Ottavio
Farnese e Guglielmo Gonzaga, giá accennati. - In Genova risorsero turbamenti
che si potrebbon dire fuor d'etá, tra classe e classe di cittadini, tra' nobili
detti di «portico vecchio» e nobili di «portico nuovo» a cui s'aggiungevano i
popolani; ma non avendo noi detto de' turbamenti interni de' comuni antichi
dov'erano piú importanti, dove si disputava almeno della politica,
dell'operositá, della parte a cui rivolger la cittá, non diremo di queste
dispute le quali furono solamente di grado, o tutt'al piú di partecipazione ad
un governo inoperoso. E continuavan i turbamenti nella suddita Corsica. E tra
tutto ciò fu tolta Scio dai turchi ai Giustiniani, e cosí alla repubblica sotto
cui essi la tenevano [1566]. - In Venezia tutto languiva nella solita pace e
mediocritá. E ad essa pure fu tolta Cipro, una delle isole orientali, in quella
guerra ch'ella fece contro a' turchi dal 1570 al 1575, e in cui ella non ebbe
se non una volta a Lepanto un vero aiuto dalla cristianitá. Ei si vede: tutti
questi Stati decadevano, sopravvivevano, s'ordinavano a sopravvivere. - Casa
Savoia sola a crescere. Emmanuel Filiberto, non principe nuovo come i piú di
costoro, non di famiglie sporcatesi nel salire alla potenza, discendente d'una
lunga serie di principi buoni, provato dalla cattiva fortuna, e salito alla buona
per meriti propri, riuniva cosí i vantaggi de' principi antichi e de' nuovi. Se
ne seppe valere; e gran capitano a riacquistar lo Stato, fu gran legislatore a
riordinarlo, perché lo riordinò secondo il secolo suo. Non restaurato ancora in
tutti gli Stati suoi, nemmeno in Torino sua capitale, raunò gli Stati generali
in Chambéry. Voleva farsene aiuto a' suoi riordinamenti, trovolli ostacolo o
ritardo; li sciolse, e non li convocò mai piú, né egli né nessuno de'
successori fino a Carlo Alberto, riordinator nuovo e piú grande secondo il
secolo suo. Quindi Emmanuel Filiberto è vituperato da alcuni di noi altri
presenti, quasi principe illiberale, usurpator de' dritti popolani e costitutor
di despotismo. Ma se è certo e santo che de' vizi e della virtú è a giudicare
nel medesimo modo in tutti i tempi, certo e giusto è pure che delle istituzioni
è a giudicare diversissimamente secondo i tempi. E degli Stati generali od
assemblee rappresentative e deliberative, ei bisogna ritenere che a que' tempi
elle erano informi, indeterminate nella loro composizione di nobili e deputati
delle cittá, indeterminate nelle loro attribuzioni; ondeché, quali erano, o non
servivano a nulla, come in Napoli e Sicilia; o non servivano se non a turbare,
come in Francia e Inghilterra. E quanto a dire che Emmanuel Filiberto le
avrebbe dovute o potute costituire coi modi nuovi, trovati cento e piú anni
appresso in Inghilterra, e ducento e piú in Francia e altrove; questo sarebbe
poco men che dire ch'egli avrebbe pur dovuto fare ne' suoi Stati le strade
ferrate. Io, per me, credo che Emmanuel Filiberto avrebbe fatte le assemblee
de' nostri tempi a' nostri tempi; ma ch'ei fece a' suoi tutto quello che era da
essi. Il fatto sta, che intorno a quelli venne meno la monarchia
rappresentativa in tutta Europa, in Inghilterra stessa; e sottentrò una
monarchia quasi assoluta, ma che si può meglio dire consultativa, perché fu
temperata quasi dappertutto da vari Consigli che contribuivano in fare o
sancire le leggi. Nella sola Inghilterra, dove non erano e non si fecero tali
Consigli dai principi, la lotta diventò piú forte tra essi e i parlamenti, piú
franca tra assolutismo e libertá, e vinse questa due volte. E perché dopo aver
abusato della sua prima vittoria... la libertá seppe all'incontro usare moderatissimamente
della seconda, ad ordinarsi lentamente, meravigliosamente per un secolo e piú,
perciò ella fondò, perfezionò, compiè colá quella monarchia rappresentativa che
fece, che fa la felicitá, la grandezza, il primato di quella nazione tra tutte l'altre
cristiane; quella monarchia rappresentativa, che di lá venuta sessant'anni fa,
va vincendo a gran colpi di rivoluzione, e trionfando su quasi tutto oramai il
continente europeo, e trionferá, aiutante Iddio, su tutto. - Del resto,
nell'anno medesimo che Emmanuel Filiberto chiudeva i suoi Stati generali, egli
riordinò appunto que' senati o corti supreme di giustizia, che mal vi
supplirono tra noi come altrove, e regolò poi i tribunali minori. Nel 1561,
incominciò ad ordinare la milizia nazionale; proseguí egli e proseguirono poi
sempre tutti quanti i suoi successori, non eccettuati i men belligeri, in
mutare e rifare tali ordinamenti; ora piú or men bene, ma sempre secondo i
tempi e con operositá, con insistenza, con amore; tanto che non è cosa di governo
in che si sieno essi compiaciuti, né cosa poi in che sieno stati cosí secondati
da' lor popoli. Gli ordinamenti militari, l'esercito, furono, se sia lecito
dire, quasi patria costituzione ai piemontesi per poco meno che tre secoli. Ed
ora cedano pure il passo a questa, ma di poco, in nome de' destini del Piemonte
e d'Italia, e della stessa monarchia rappresentativa. Libertá e milizia sono
rivali altrove; ma (per la ragione che ognun sa, per le passioni ch'ognun
sente) elle dovrebbon essere sorelle in Italia. Sieno almeno su questa terra
intrisa di tanto sangue militare de' padri, de' fratelli e de' figli nostri.
Addí 17 dicembre 1562, Emmanuele Filiberto rientrò in Torino, e vi rimase poi
quasi sempre, diverso da' maggiori che prediligevano il soggiorno al di lá
delle Alpi. Ed a Torino ricondusse, restaurata prima a Mondoví, l'universitá
degli studi che n'era uscita durante l'occupazione straniera. Nel 1563,
estintasi la discendenza diretta degli antichi marchesi di Saluzzo, il
marchesato fu occupato da' francesi, e s'accrebbe cosí di nuovo la potenza di
essi nelle regioni subalpine. Nel 1564, il duca incominciò la cittadella di
Torino; ed altre fortezze fece poi, ad imperio addentro, e difesa all'infuori.
E nel medesimo anno incominciò ad ordinare le finanze. Nel 1565, aiutò Malta
contro a' turchi; e nel 1572, mandò sue galere a Lepanto, ed aiutò poi de' suoi
nuovi reggimenti or Francia or Austria contra gli acattolici. Contra quelli giá
antichi ne' suoi Stati, i valdesi dell'Alpi, si volse non senza inopportunitá,
od anche crudeltá per qualche tempo; ma lasciolli in pace poi. Nel 1573, ordinò
che gli atti pubblici si facessero in lingua italiana; e sempre chiamò,
protesse, pose nell'universitá di Torino letterati di altri paesi italiani.
Egli fu primo a dirozzare i suoi popoli, beati o macedoni d'Italia; primo ad
italianizzarli colla coltura. Nel 1574 solamente riebbe tutti gli Stati suoi,
vuotati di qua e di lá da' francesi e spagnuoli; e questo spiega e scusa come
dieci anni addietro avesse sofferta l'usurpazione di Saluzzo. Dal 1576 al 1579,
accrebbe gli Stati, comprando feudi imperiali dai Doria ed altri signorotti.
Nel 1579 ordinò la zecca, e nel 1580 morí; cosí fino all'ultimo operando,
legislatore, ordinatore, rinnovatore della sua monarchia. E tal vedemmo giá
dopo le antiche origini Amedeo VIII; e tali vedremo uno o due altri poi di
quella casa. Della quale resta cosí spiegato il perché, il come crescesse;
come, sola forse fra le dinastie europee, continuasse senza rivoluzioni o
mutazioni violente; fece ella medesima via via, sempre, indefessa, le mutazioni
volute, ma prima che violentata dai tempi. I tempi mutan sempre; ondeché i veri
conservatori sono quelli che mutan con essi; non gl'immobili, che a forza di
resistere si fanno impossibili, e rovinano sé e altrui. Ad Emmanuel Filiberto
debbono i posteri una nazionalitá che altri popoli loro invidiano, dice di lui
uno scrittore italiano, non piemontese: noi consentiamo volentieri.
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