18.Le colture straniere
derivate dall'italiana in questo periodo [1559- 1700] . - Noi dicemmo che i diversi popoli
cristiani, tedeschi, francesi e spagnuoli, accorsi da parecchi secoli in
Italia, non presero, dopo la rivoluzione comunale, guari nulla dalla nostra
civiltá. Ma presero incontrastabilmente non poco dalle nostre colture fin dal
secolo decimoquarto; molto, quasi tutto, quando nel decimosesto essi si
mescolarono con noi, invadendoci. Parrebbe che i primi a prenderne avrebber
dovuto essere tedeschi, cosí mescolatisi molto piú anticamente. Ma, fosse la diversitá
delle due nature settentrional-tedesca e meridionale-italiana, o che, quando
appunto essi furon maturi a prendere nostre colture e mentre giá le prendevano,
essi fossero disturbati dalle preoccupazioni, dall'invidie religiose della
Riforma, il fatto sta che essi non furono né primi, né secondi, né terzi, ma
solamente quarti a questo grande e bel convito da noi imbandito. Né furono
primi i francesi, che pur parrebbono aver ciò potuto; essi pure ebbero,
quantunque in grado minore, l'uno e l'altro impedimento. - Ad ogni modo, primi
furono gli spagnuoli, fratelli nostri meridionali, gemelli nostri di lingua, e
come noi, la Dio grazia, rimasti puri da quelle contese religiose che
distraggon naturalmente da tutto. Giá accennammo che la lingua spagnuola fu,
piú anticamente che non l'italiana, scritta nelle loro leggi e ne' loro canti
nazionali, o romances; ma, salvo in queste e poche altre poesie, ella
non comparisce letterariamente scritta, se non guari al principio del secolo
decimosesto. E comparisce allora primo, o de' primi, Garcilazo de la Vega
gentilissimo poeta, tutto imitatore, ma non servile, del Petrarca e de' nostri
bucolici del Quattrocento. E seguiron via via altri pur tali, che non
nomineremo, per non rifare senza necessitá di quegli elenchi, co' quali lo
scrittore scontenta sempre tutti i leggitori; gli eruditi, che li trovano
mancanti; gli altri, che li trovano sempre soprabbondanti di nomi illustri.
Noteremo bensí che la poesia spagnuola si staccò dalla nostra, e superolla di
gran lunga sul teatro; dove, tra molti altri, fiorirono Lope de Vega e
Calderon, superiori a tutti i contemporanei, salvo l'inglese Shakespeare. Ma di
nuovo procedettero da noi e da' classici latini risuscitati da noi, i prosatori
spagnuoli, gli storici principalmente, primo e principale Mariana, che diede,
fin dal secolo decimosesto, a sua patria ciò che non abbiam dato ancora alla
nostra, una storia nazionale. All'incontro, pur si staccarono da noi i
novellatori spagnuoli, e sommo fra essi, tra i sommi di dappertutto, Cervantes,
lo scrittore del Don Chisciotte. In altri generi di prosa non fecer gran
frutto; era naturale, non son frutti da colture serve, o peggio da
tiranneggiate. E poco fecero in filosofia spirituale; nulla (tralasciando
sempre le glorie ignote scoperte da' frugatori), nulla in filosofia materiale.
Ma fecer molto piú che niun popolo non italiano, in arti. Qui piú che in
null'altro vedonsi gemelli i due popoli meridionali. Come tutti, gli spagnuoli
preser lor arti dalle nostre; ma le preser primi, e vi furono sommi dopo noi,
incontrastabilmente secondi. Juan Juanez, il divino Morales ed altri
numerosissimi, fra cui s'alza quella triade di Ribera, Velasquez, e sopra tutti
Murillo, fanno una scuola ridivisa in altre cosí ricche d'artisti e di mirabili
opere d'arte, che non ha l'ugual finora in Francia, Fiandra, Olanda, Germania,
o peggio, Inghilterra. E tutto ciò era fatto, ed anzi, giá finito, giá decaduto
al finir del secolo decimosettimo. - Seguí seconda delle colture derivate
dall'italiana nuova e dall'antica risuscitata, la inglese. Il grandissimo
Shakespeare e il gran Bacone sono tutti e due del principio del secolo
decimosettimo, quando non era vero fior di coltura fuori d'Italia e Spagna. E
il primo prese dall'una e dall'altra i soggetti, i modi, tutte quelle quasi
materialitá dell'arte che i sommi non si dan guari fatica a mutare (come fanno
i piccoli che non posson altro), certi che sono quelli di riuscir grandi con
qualsiasi strumento in mano. Bacone poi egli pure prese molto da' nostri, dal
suo contemporaneo Galileo principalmente; e se non temessi cadere anch'io in
quel vizio uggioso di attribuirci noi cosí ricchi le glorie altrui, direi che
prese tutta l'essenza di sua gloria, il metodo sperimentale, non solamente giá
inventato, ma praticato da Galileo. E terzo grande di quella gran coltura
trovasi poi, a mezzo il secolo decimosettimo, Milton, che anch'egli fu e si
professò italiano in molte parti, che fu dantesco in alcune, benché poi, come
tutti i grandi, simile a sé solo in quelle che fanno sua grandezza. E
finalmente sorse verso la fine del medesimo secolo, quarto grande di colá,
grandissimo dappertutto, Newton. Questi non imitò nessuno, s'innalzò sulle
spalle a tutti, Copernico, Keplero (la sola luce di coltura germanica in tutto
questo periodo), e Galileo. E tutto ciò pure era fatto colá alla fine del
secolo decimosettimo; ma non era finito. Ché senza decadenza, dopo un riposo,
dopo una serie di minori per mezzo secolo, ricominciò colá una nuova etá di
poeti, e novellatori, e filosofi materiali e spirituali, e storici, ed oratori,
e scrittori economici e politici; giunti quasi tutti in cima a ciascuno di quei
generi. - Intanto sorgeva, terza delle derivate, la coltura francese, e (ci si
conceda la frase fatta triviale dagli esageratori) sorgeva gigante intorno alla
metá del secolo decimosettimo. Prima d'allora, non erano che Montaigne, De
Thou, Malherbes. Ma intorno a quell'epoca, dopo le guerre religiose della lega,
tra quelle dell'ultimo libero fiatar dell'aristocrazia francese dette della Fronda,
sorgono a un tratto sotto Luigi XIV (il quale anch'egli colse cosí le frutta
maturate prima di lui) Descartes, Pascal, Corneille, Racine, Molière, La
Fontaine, Malebranche, Bossuet, Massillon, Bourdaloue, Sévigné, uomini e donne
immortali tra una folla od anzi un esercito disciplinato di minori. I quali
tutti, piú che altrove, furono e si professarono seguaci de' latini, degli
italiani e degli spagnuoli primogeniti loro. Veggonsi squarci, scene intiere
italiane nelle commedie, citazioni italiane nelle lettere famigliari, classici
italiani studiati da Boileau e dagli altri critici; Régnier ed altri, scriventi
poesie e prose italiane; e la lingua elegante, la lingua di moda ed affettata
in corte, essere stata l'italiana; appunto come s'affettò poi da noi la
francese, ed or s'affetta l'inglese, con grave ma inutile scandalezzarsi di
alcuni nostri. Sempre, dappertutto s'affettaron le lingue de' piú colti ne'
paesi piú incolti: né giovano scandali ed esortazioni; il solo rimedio che vi
sia, è scriver bene ed utilmente anche noi; il solo modo di porre o ripor una
lingua alla moda, è di porla o riporta all'opera, dico a molta e grande opera.
- E di famiglia piú che mai italiana furono l'arti francesi; e tali si
mostrarono principalmente i due sommi artisti di colá, Poussin e Claudio, che
vissero in Italia, e ritrasser figure e paesi tutto italiani; e tutti gli altri
poi, i quali, salvo Lesueur, studiarono e imitarono in Italia. Ed in Francia
pure tutto ciò era fatto in poco piú di cinquant'anni, al chiudersi del secolo
decimosettimo. Ma in Francia neppure non era finito; che anzi (mi duole il
dirlo per que' misogalli che or abbondano tra noi, ma troppo tardi di mezzo
secolo), che anzi, non fu mai colá niun intervallo o riposo, non fu piú una
sola generazione letteraria o scientifica senza i suoi grandi, fino a' nostri
dí. - Ed ora, senza contare le colture minori, né la germanica allor sorgente
in Leibnizio, ora, dico, che si fece, in che si progredí egli
contemporaneamente in Italia? in quell'Italia madre della coltura antica latina
presa allora a modello universale, madre del risorgimento di quella, madre
della sola coltura moderna che fosse stata da tre secoli, stipite dunque
indubitato di tutte quelle colture straniere or cosí splendide? In Italia
caddero allora piú o meno tutte quante le colture; caddero le une a un tratto,
le altre a poco a poco ma pur pronte, tutte quelle lettere che giá trovammo
costanti compagne delle libertá interna ed esterna, la poesia, la storia,
l'eloquenza, la filosofia spirituale; ritardaron piú lor caduta le arti, che
trovammo men costanti alla libertá, piú cortigiane, ma pur caddero; e sole
fecero un vero e gran progresso quelle scienze materiali, che trovammo le piú
indifferenti alle due libertá. Né caddero certamente le nostre colture per
difetto di principi protettori, di grandi mecenati, di corti letterate; ché
anzi, grandi, corti e principi d'allora, ne faceano pompa e gara; caddero a
malgrado, anzi a cagione di queste stesse protezioni, corrotte in ozi, corrotte
a' vizi, corrotte perciò di gusto inevitabilmente. E quindi, questo nostro
Seicento, o piuttosto questi centoquarant'anni di che trattiamo, sono forse il
piú chiaro e compiuto commento che si trovi in tutta la storia umana, di questa
veritá cosí importante a capacitarcene da senno tutti noi, scrittori liberi,
scrittori protetti, o protettori: che la decadenza politica delle nazioni trae
e mantiene inevitabilmente seco la decadenza delle colture; che certo sono cose
buone le protezioni, le spese, i premi, le onoranze, i musei, le biblioteche,
le scuole, le cattedre e le universitá, ma ch'elle non servono di rimedio
sufficiente alle colture decadute, finché non si rimedia alle decadute civiltá.
- Ma veniamo a' particolari di ciò che furono tra quei grandi stranieri, i
pretesi grandi nostri de' centoquarant'anni. Non si dimentichi mai tal
contemporaneitá da chi voglia giudicarne rettamente, utilmente.
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